Strategie di prevenzione, identificazione precoce e terapia della cardiotossicità indotta da farmaci chemioterapici

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Strategie di prevenzione, identificazione precoce e terapia della cardiotossicità indotta da farmaci chemioterapici

Le nuove terapie in ambito oncologico hanno migliorato la sopravvivenza al cancro, ma sono associate a complicazioni cardiovascolari

Una delle tossicità da farmaci oncologici più insidiosa è la cardiotossicità

Si prevede che entro il 2030 si aggiungeranno al carico globale oltre 20 milioni di nuovi casi di cancro. Le nuove terapie oncologiche hanno migliorato la sopravvivenza al cancro, ma sono associate a complicazioni cardiovascolari, soprattutto negli anziani e nei soggetti con comorbidità cardiovascolari preesistenti. Attualmente la maggior parte dei Cardiologi non conosce i trattamenti oncologici, non ha familiarità con i protocolli di dosaggio e le relative cardiotossicità. Questo può determinare la scelta di protocolli meno aggressivi e l’interruzione precoce di trattamenti importanti sia per le patologie oncologiche che per quelle cardiovascolari. È quindi necessaria una collaborazione multidisciplinare per migliorare le decisioni terapeutiche a beneficio dei pazienti oncologici1. Malattie cardiovascolari e cancro hanno in comune fattori di rischio modificabili e non modificabili; il primo passo è ottimizzare lo stile di vita per minimizzare i fattori di rischio cardiovascolare: smettere di fumare, limitare il consumo di alcol e mantenere un’adeguata attività fisica. Nella pratica clinica la gestione dei fattori di rischio cardiovascolare secondo le linee guida ESC 2021 sulla prevenzione è raccomandata prima, durante e dopo la terapia oncologica2. La prevenzione secondaria si riferisce invece agli interventi nei pazienti che sviluppano cardiotossicità correlata alle terapie oncologiche per i quali si raccomandano regolari valutazioni cliniche, esami fisici e indagini cardiologiche diagnostiche e strumentali, con una frequenza di sorveglianza guidata dal rischio basale e dall’emergere di complicanze. Conoscere il rischio cardiovascolare basale del soggetto e i possibili effetti causati dalla terapia in programma può agevolare la pianificazione della sorveglianza e la realizzazione delle più appropriate

misure di cardioprotezione utili per la gestione del paziente candidato o sottoposto a terapia oncologica potenzialmente cardiotossica. Ewer e Lippman3 proposero una classificazione della cardiotossicità in base al tipo ed estensione del danno e alla sua reversibilità: la cardiotossicità di tipo I, tipica delle antraciclicline, è dose-dipendente e legata a citolisi con danno irreversibile; la cardiotossicità di tipo II, tipica del trastuzumab, è viceversa dovuta ad apoptosi dei cardiomiociti, non correla con la dose ed è caratterizzata da minime alterazioni strutturali e da una consistente probabilità di reversibilità del danno con la sospensione del trattamento. Tale distinzione è stata però recentemente messa in dubbio4 alla luce del fatto che nella pratica clinica gli agenti chemioterapici sono utilizzati raramente da soli, spesso sono preceduti o seguiti da altri trattamenti che possono condizionare la comparsa e l’entità del danno5 e dal fatto che la reversibilità del danno, valutata “macroscopicamente” come recupero della funzione contrattile, può verificarsi anche con le stesse antracicline se si instaura precocemente la terapia di antagonismo neurormonale (inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, betabloccanti, antialdosteronici). La classificazione inoltre non tiene conto delle caratteristiche cliniche e dei fattori di rischio del paziente stesso, né della durata del follow-up. L’attuale orientamento in termini di valutazione del rischio di cardiotossicità è quello di considerare l’evento “insufficienza cardiaca” come effetto sinergico/combinato di più fattori di rischio legati alla terapia e al
paziente che pertanto devono essere integrati e gestiti collegialmente6. L’insufficienza cardiaca per frequenza e rilevanza prognostica rappresenta la più frequente complicanza del trattamento con farmaci antitumorali e può rappresentare un serio problema per la salute e la sopravvivenza dei pazienti potendo comparire anche a distanza di tempo dalla cura del tumore. Numerose sono le terapie oncologiche associate a cardiotossicità nota ed includono antracicline, farmaci anti-HER-2, radiazioni, inibitori della tirosinchinasi, inibitori dell’aromatasi e anche trattamenti più moderni, tra cui il trapianto di cellule staminali e le terapie CAR-T. Tra queste le antracicline sono tra i più potenti farmaci antineoplastici mai sviluppati ma il loro utilizzo continua ad essere limitato dagli effetti cardiotossici che possono causare disfunzione ventricolare sinistra e scompenso cardiaco7. Il rischio di tossicità aumenta con dosi cumulative crescenti di tali medicinali ed è maggiore negli individui con anamnesi di cardiomiopatia, irradiazione mediastinica o patologia cardiaca preesistente. È possibile peraltro che il danno si manifesti a distanza di anni dal trattamento. Al fine di identificare precocemente i danni da cardiotossicità l’ecocardiografia di base è raccomandata in tutti i pazienti con cancro prima della chemioterapia con antracicline (classe I, B). In tutti gli adulti sottoposti a chemioterapia con antracicline, si raccomanda inoltre un ecocardiogramma entro 12 mesi dal termine del trattamento (classe I, B) e nei pazienti ad alto e altissimo rischio, l’ecocardiografia è raccomandata ogni due cicli ed entro 3 mesi dal termine del trattamento (classe I, C). Un ruolo importante nell’identificazione precoce del danno può essere svolto dall’uso dei biomarcatori, di cui i più utilizzati sono le troponine cardiache ed i peptidi natriuretici. Nello specifico la loro misurazione è raccomandata nei pazienti ad alto ed altissimo rischio al basale prima della chemioterapia e successivamente come monitoraggio prima di ogni ciclo di chemioterapia ed a 3 e 12 mesi dal termine. Qualora insorga disfunzione/ scompenso cardiaco la terapia, anche per queste forme di cardiopatia, ricalca quella raccomandata per le altre forme di insufficienza cardiaca. Dall’esperienza del gruppo dell’Istituto Europeo di Oncologia, l’avvio tempestivo della terapia con ACE-inibitore in associazione al Betabloccante dopo il riscontro di cardiotossicità si è associato a un significativo ripristino della funzionalità del ventricolo sinistro, parziale (aumento di almeno 5 punti e FE finale >50%) o completo (recupero di FE fino ai valori prechemioterapia), confermando che l’antagonismo neurormonale costituisce il cardine della terapia dell’insufficienza cardiaca, sintomatica o asintomatica, anche in questo gruppo di pazienti7,8. Alla luce della necessità di uno stretto monitoraggio di questi pazienti è auspicabile che fin dall’inizio del percorso terapeutico, la presa in carico del paziente, preveda un approccio multidisciplinare sostenuto da un’organizzazione dipartimentale delle attività intraospedaliere che, da un lato garantiscano il miglior trattamento antitumorale in termini di diagnosi, tempi e coordinazione degli interventi medici e chirurgici della malattia, dall’altro il riconoscimento precoce di eventuali eventi avversi correlati alle terapie impostate e non ultimo dai bisogni psicologici e riabilitativi della persona ammalata9. I servizi di cardio-oncologia sono poco numerosi e la maggior parte dei pazienti viene esaminata in cliniche cardiologiche generali. Sono necessari investimenti strategici nelle reti di assistenza cardio-oncologica e nell’offerta di servizi di cardio-oncologia per soddisfare l’aumento della domanda clinica previsto nel prossimo futuro e per facilitare la ricerca, la formazione e le attività educative. È urgente un programma di formazione medica di almeno un anno. È necessaria la collaborazione tra operatori sanitari, ricercatori clinici e di base, autorità sanitarie, enti regolatori, gruppi di difesa e associazioni di pazienti per rispondere alle esigenze future. Allo stato attuale esiste una significativa carenza di studi clinici per guidare il processo decisionale. Questo è complicato dal ritmo incalzante degli sviluppi dei nuovi trattamenti oncologici in un contesto di tossicità CV dinamica. Pertanto, sono necessari grandi numeri di pazienti e un follow-up più lungo per fornire una potenza statistica sufficiente e risposte definitive.


Bibliografia

  1. ESC Guidelines on cardio-oncology, 26 Aug 2022.
  2. ESC Guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice. Eur Heart J 2021.
  3. Ewer MS, Lippman SM. Type II chemotherapy-related cardiac dysfunction: time to recognize a new entity. J Clin Oncol 2005;23:2900-2.
  4. Bloom MW, Hamo CE, Cardinale D, et al. Cancer therapy-related cardiac dysfunction and heart failure: Part 1: Definitions, pathophysiology, risk factors, and imaging. Circ Heart Fail 2016;9:e002661.
  5. Nieto Y, Cagnoni PJ, Bearman SI, et al. Cardiac toxicity following highdose cyclophosphamide, cisplatin, and BCNU (STAMP-I) for breast cancer. Biol Blood Marrow Transplant 2000;6:198-203.
  6. Felker GM, Thompson RE, Hare JM, et al. Underlying causes and longterm survival in patients with initially unexplained cardiomyopathy. N Engl J Med 2000;342:1077-8.
  7. Cardinale D, Colombo A, Bacchiani G, et al. Early detection of anthracycline cardiotoxicity and improvement with heart failure therapy. Circulation 2015;131:1981-8.
  8. Menna P, Salvatorelli E, Minotti G. Cardiotoxicity of antitumor drugs. Chem Res Toxicol 2008;21:978-89.
  9. Albini A, Pennesi G, Donatelli F, Cammarota R, De Flora S, Noonan DM. Cardiotoxicity of anticancer drugs: the need for cardio-oncology and cardio-oncological prevention. J Natl Cancer Inst 2010;102:14- 25.

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