La comparsa di effetti collaterali dopo inizio dell’assunzione di statina è sempre dovuta alla statina?
È impressionante apprendere come più del 50% dei soggetti che assumono statine, sia in prevenzione primaria che secondaria, dopo un periodo di tempo variabile abbandonano la terapia per “effetti collaterali”. I pazienti esternano spesso il timore di intraprendere o proseguire la terapia con statina per paura di “danni collaterali”. Le statine sono in realtà uno dei pochi caposaldi della medicina cardiovascolare, con una poderosa mole di dati che dimostrano stabilizzazione di placca, rallentamento dell’aterosclerosi e riduzione di eventi cardiovascolari. Eppure, il pregiudizio sulla loro sicurezza è diffuso capillarmente tra i pazienti. Il lavoro che segnalo in questo numero è il SAMSON (SelfAssessment Method for Statin Sideeffects Or Nocebo), recentemente apparso su JACC (J Am Coll Cardiol 2021;78:1210–1222). Si tratta di uno studio randomizzato, a 3 bracci di trattamento, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha arruolato soggetti precedentemente in terapia con statine (sia in prevenzione primaria che secondaria), successivamente abbandonate per “effetti collaterali”. Quando un paziente riferisce al medico sintomi che potrebbero essere correlati alla statina, in assenza di segni di danno epatico o muscolare, il medico deve decidere se i disturbi riferiti siano effettivamente causati dalla statina e quindi interrompere o modificare il trattamento. Il quesito posto degli Autori è: la scomparsa dei sintomi dopo sospensione della statina (e viceversa la ricomparsa dopo riassunzione) è criterio sufficiente per dimostrare il nesso causale tra farmaco e sintomo collaterale? Ciascun partecipante (60 in tutto) ha ricevuto 12 flaconi identici di cui 4 contenenti atorvastatina 20 mg, 4 contenenti compresse placebo indistinguibili dal farmaco e 4 flaconi vuoti. I 12 mesi di partecipazione allo studio prevedevano quindi che ciascun soggetto assumesse per 4 mesi complessivi atorvastatina, per 4 mesi placebo, e per 4 mesi nessun farmaco. I 4 mesi di assunzione del farmaco e del placebo erano non continuativi e dettati da una sequenza casuale di randomizzazione determinata centralmente. I soggetti registravano giornalmente su una app l’intensità dei sintomi su scala numerica da 0 a 100. Ebbene, è emerso che l’intensità degli “effetti collaterali” era sovrapponibile con l’assunzione di statina e di placebo (15.4 durante il “periodo placebo”, 16.3 durante il “periodo statina”, p = 0.39).
Non solo, la cinetica di comparsa degli effetti collaterali è risultata praticamente identica nel passaggio tra nessuna terapia e statina e nel passaggio tra nessuna terapia e placebo (ricordiamo che per ciascun soggetto arruolato erano previsti 4 mesi non continuativi di non-assunzione di placebo e di statina). Siamo quindi di fronte a una dimostrazione dell’effetto “nocebo”. È interessante riportare la definizione dello stesso da parte del vocabolario Treccani: “L’effetto nocebo è la risposta patologica dell’organismo umano in alcuni soggetti particolarmente suggestionabili che, temendo l’insorgere di un sintomo, ne favoriscono la comparsa; tale effetto si osserva anche in seguito alla somministrazione di un farmaco che prevede effetti collaterali, pur trattandosi di un placebo.” Le statine sono campioni dell’effetto nocebo. La pratica quotidiana ce lo insegna. Gli Autori del SAMSON non pretendono di fornire linee di indirizzo pratico per poter distinguere l’effetto nocebo dalla relazione causale tra statine ed effetto collaterale. Dimostrano “semplicemente” che gli stessi effetti collaterali possono essere associati alla assunzione di una statina o di un placebo. La compressa stessa, indipendentemente dalla composizione, può causare i proverbiali “dolori muscolari”. Dunque, senza retorica, in un’era di telemedicina e di app, le nostre parole e i nostri gesti influenzano drasticamente il comportamento di un paziente e la sua aderenza a un regime terapeutico. Concludere un articolo con una citazione può essere retorico ma… Jean Paul Sartre era uno che ci sapeva fare con le parole: “Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche”.
Statine ed effetto nocebo
La comparsa di effetti collaterali dopo inizio dell’assunzione di statina è sempre dovuta alla statina?
È impressionante apprendere come più del 50% dei soggetti che assumono statine, sia in prevenzione primaria che secondaria, dopo un periodo di tempo variabile abbandonano la terapia per “effetti collaterali”.
I pazienti esternano spesso il timore di intraprendere o proseguire la terapia con statina per paura di “danni collaterali”. Le statine sono in realtà uno dei pochi caposaldi della medicina cardiovascolare, con una poderosa mole di dati che dimostrano stabilizzazione di placca, rallentamento dell’aterosclerosi e riduzione di eventi cardiovascolari.
Eppure, il pregiudizio sulla loro sicurezza è diffuso capillarmente tra i pazienti. Il lavoro che segnalo in questo numero è il SAMSON (SelfAssessment Method for Statin Sideeffects Or Nocebo), recentemente apparso su JACC (J Am Coll Cardiol 2021;78:1210–1222). Si tratta di uno studio randomizzato, a 3 bracci di trattamento, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha arruolato soggetti precedentemente in terapia con statine (sia in prevenzione primaria che secondaria), successivamente abbandonate per “effetti collaterali”.
Quando un paziente riferisce al medico sintomi che potrebbero essere correlati alla statina, in assenza di segni di danno epatico o muscolare, il medico deve decidere se i disturbi riferiti siano effettivamente causati dalla statina e quindi interrompere o modificare il trattamento. Il quesito posto degli Autori è: la scomparsa dei sintomi dopo sospensione della statina (e viceversa la ricomparsa dopo riassunzione) è criterio sufficiente per dimostrare il nesso causale tra farmaco e sintomo collaterale?
Ciascun partecipante (60 in tutto) ha ricevuto 12 flaconi identici di cui 4 contenenti atorvastatina 20 mg, 4 contenenti compresse placebo indistinguibili dal farmaco e 4 flaconi vuoti. I 12 mesi di partecipazione allo studio prevedevano quindi che ciascun soggetto assumesse per 4 mesi complessivi atorvastatina, per 4 mesi placebo, e per 4 mesi nessun farmaco. I 4 mesi di assunzione del farmaco e del placebo erano non continuativi e dettati da una sequenza casuale di randomizzazione determinata centralmente. I soggetti registravano giornalmente su una app l’intensità dei sintomi su scala numerica da 0 a 100. Ebbene, è emerso che l’intensità degli “effetti collaterali” era sovrapponibile con l’assunzione di statina e di placebo (15.4 durante il “periodo placebo”, 16.3 durante il “periodo statina”, p = 0.39).
Non solo, la cinetica di comparsa degli effetti collaterali è risultata praticamente identica nel passaggio tra nessuna terapia e statina e nel passaggio tra nessuna terapia e placebo (ricordiamo che per ciascun soggetto arruolato erano previsti 4 mesi non continuativi di non-assunzione di placebo e di statina). Siamo quindi di fronte a una dimostrazione dell’effetto “nocebo”. È interessante riportare la definizione dello stesso da parte del vocabolario Treccani: “L’effetto nocebo è la risposta patologica dell’organismo umano in alcuni soggetti particolarmente suggestionabili che, temendo l’insorgere di un sintomo, ne favoriscono la comparsa; tale effetto si osserva anche in seguito alla somministrazione di un farmaco che prevede effetti collaterali, pur trattandosi di un placebo.” Le statine sono campioni dell’effetto nocebo. La pratica quotidiana ce lo insegna. Gli Autori del SAMSON non pretendono di fornire linee di indirizzo pratico per poter distinguere l’effetto nocebo dalla relazione causale tra statine ed effetto collaterale. Dimostrano “semplicemente” che gli stessi effetti collaterali possono essere associati alla assunzione di una statina o di un placebo. La compressa stessa, indipendentemente dalla composizione, può causare i proverbiali “dolori muscolari”.
Dunque, senza retorica, in un’era di telemedicina e di app, le nostre parole e i nostri gesti influenzano drasticamente il comportamento di un paziente e la sua aderenza a un regime terapeutico. Concludere un articolo con una citazione può essere retorico ma… Jean Paul Sartre era uno che ci sapeva fare con le parole: “Ogni parola ha conseguenze. Ogni
silenzio anche”.
Autore
AUTHOR: Leonardo Misuraca
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