Perché non si ripeta più

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Perché non si ripeta più

La narrazione favorisce l’immedesimazione in un modo che non sarebbe possibile con la semplice argomentazione, anche se basata sui fatti

Atleti, sport, agonismo, fatica viaggiano in pianeti lontani e molto difficili da riprodurre

In un recente articolo segnalato da un amico, Stefania Garassini, giornalista di Avvenire,mette in luce la potenza dello storytelling: la narrazione favorisce l’immedesimazione in un modo che non sarebbe possibile con la semplice argomentazione, anche se basata sui fatti. Quando si decide però di non “raccontare”, bisogna assumersi la responsabilità di non rilevare una verità. Gli incontri al Centro Regionale per lo Sport nei Giovani con Cardiopatia di Treviso ci toccano profondamente ogni volta. Hanno la capacità di modificare le nostre vite, quella dei miei colleghi, di Alice, la nostra casa manager, di Serena, recentemente entrata nel gruppo e di tutto il personale. Qualche mese fa, su segnalazione della professoressa Barbara Bauce, incontriamo, inizialmente via Meet, mamma Emanuela e papà Giuseppe, genitori colmi d’amore per i loro due figli: Lorenzo e Alessandro. È mamma Emanuela a raccontare. Parla sempre lei. Voce dolce e

Quando si decide di non “raccontare”, bisogna assumersi la responsabilità di non rilevare una verità

flebile, ma intrisa di una sofferenza immensa. Durante il colloquio, chiediamo a papà Giuseppe se desidera dire qualcosa. “No, non ho nulla da dire. Questa è una cosa che probabilmente doveva succedere. È andata così.” Non era un atteggiamento fatalistico, ma la ricerca di forza per andare avanti, con il dolore che traspariva da ogni parola. Il loro desiderio è dare risposte ad Alessandro: cosa può fare dal punto di vista sportivo? Decidiamo di incontrarci a Treviso poche settimane dopo.

Mamma Emanuela e Alessandro sono finalmente arrivati. Alessandro, diciottenne, fisico statuario, dolce ma determinato. Avevo preparato lo staff a questo incontro, consapevole che sarebbe stato drammatico. Dovevamo accogliere e sostenere la disperazione di una madre: sofferenza composta, educata, che lasciava trasparire tutto il dolore con cui ogni giorno deve confrontarsi. Questa storia si svolge in due atti.

Atto primo: Lorenzo

Lorenzo è un giovane di 20 anni, amante della vita e dello sport, come molti ragazzi della sua età. Nell’aprile 2024, si trovava in viaggio di piacere negli Stati Uniti con un gruppo di amici. Una sera prima di andare a cena fa delle trazioni, un esercizio della sua attività fisica preferita: l’allenamento della forza. Improvvisamente si sente male: crolla a terra. Il suo amico chiama i soccorsi mentre altri due compagni iniziano a praticare il massaggio cardiaco. L’ambulanza arriva dopo circa 10 interminabili minuti. Troppo tardi. Lorenzo è morto improvvisamente in terra straniera, lontano dai genitori e da Alessandro, il fratello con cui condivideva tutto. Un arresto cardiaco improvviso, da causa naturale, questa è stata la prima spiegazione fornita dai medici italiani, ai genitori e ad Alessandro al rientro della salma. Se ci fermassimo qui, se congelassimo il racconto a questo punto, perderemmo qualcosa di essenziale. 

Tutto potrebbe apparire, nella sua tragicità, quasi normale. I fatti, però, sono ben diversi. Come accennato, Lorenzo praticava sport agonistico fin dalla giovane età e, come tutti i ragazzi in Italia, si sottoponeva annualmente al consueto screening medico sportivo. Controllo troppe volte sottovalutato da noi cardiologi. Troppa sufficienza. Troppe certezze che derivano dalla pratica clinica. Ma l’atleta, lo sport, l’agonismo, la fatica viaggiano in pianeti lontani e molto difficili da riprodurre. Questa tragedia era evitabile? Non lo sappiamo. Quante volte abbiamo sentito dire che, se lo screening medico sportivo non funziona, deve intervenire il defibrillatore. Niente di più vero. Bisogna però fare molta attenzione e non sottovalutare mai quanto emerge dallo screening. Lorenzo, a undici anni, partecipa ad unagara campestre con la scuola dopo nemmeno 500 metri dalla partenza si manifesta la prima sincope. Viene trasportato al Pronto soccorso, si eseguono tutti gli accertamenti: tutto normale. A 14 anni Lorenzo sta tornando da scuola, è in ritardo, corre, scavalca un muretto vicino alla stazione, cade e in quel preciso momento sente il fischio di un treno, si spaventa e sviene. Seconda sincope. Altra corsa al Pronto soccorso viene ricoverato, nuovi esami neurologici e cardiologici, ancora una volta tutto negativo ma si decide di applicare un loop recorder per monitorare eventuali aritmie cardiache. Nella nostra esperienza, vere e proprie sincopi da sforzo sono rare. Nei miei ricordi, forse quattro. La sincope quando è da sforzo deve sempre spaventare. Il medico dello sport fa il test da sforzo: compare una bruttissima aritma ventricolare polimorfa ad alta frequenza con aspetto morfologico a blocco di branca destra ed asse variabile (Figura 1). Lorenzo viene fermato, nuovi accertamenti. È tutto “negativo”: via libera concessa. Mamma, Lorenzo e medico dello sport vengono rassicurati: Lorenzo non ha nulla di cui preoccuparsi. Lorenzo vive immerso nella natura. Un giorno, mentre usa il trattore con suo fratello, colpisce il cordolo della strada, il trattore sobbalza e Lorenzo si spaventa. Il loop recorder registra una tachicardia a complessi larghi, nuovo ricovero, nuovi esami: studio elettrofisiologico e risonanza magnetica: tutto negativo. I medici rassicurano Lorenzo, mamma Emanuela, il papà Giuseppe e il fratello Alessandro. Si torna dal medico dello sport, si ripetono i controlli cardiologici, nuovo test da sforzo e ancora una volta compare una aritmia ventricolare “brutta” polimorfa con asse che varia (Figura 2). Si torna in ospedale. Mamma Emanuela non comprende vuole capire, avere risposte: si sente ripetere che è tutto normale e poi, quella frase che ancora oggi le rimbomba nella mente: “Signora, lei è troppo ansiosa”. Lorenzo replica: “Mamma, come sempre fai troppe domande”. Tutto finisce lì. A febbraio del 2023 la batteria del loop recorder si scarica si decide di liberare Lorenzo. Siamo sicuri chiede mamma Emanuela? Si, può fare tutto, è la risposta. Che grazia, finalmente. Se dovessimo ripercorre questo caso potrebbe essere riassunto così: giovane fisicamente performante, atleta agonista, due sincopi (una da sforzo e una da sforzo associata ad emozione), una tachicardia a complessi larghi registrata dal loop recorder, aritmie ventricolari polimorfe ad alta frequenza con asse variabile in due test da sforzo e, dopo approfondite indagini, assenza di patologia strutturale cardiaca. Tutto ciò non era sufficiente per avere comunque forti sospetti? L’esame genetico era stato eseguito? La terapia beta-bloccante era stata proposta? Domande legittime alle quali non sappiamo se ci sono risposte. A volte, forse troppo spesso, quando vengono valutati atleti si pensa che una stratificazione del rischio tarato per la popolazione normale possa essere traslata nell’atleta. Una delle condizioni che in questo contesto poteva essere considerata era la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (CPVT), un raro ma potenzialmente letale disturbo genetico del ritmo cardiaco associato a varianti nel gene RYR2, in genere diagnosticata per la comparsa di aritmie ventricolari con asse variabile durante un test da sforzo. In questa particolare patologia “elettrica” l’esame genetico riscontra una mutazione nel 60-70 % dei casi. La negatività però non la esclude categoricamente. Le aritmie in questo contesto sono scatenate dallo sforzo e dallo stress emotivo. Ciò potrebbe causare sincope, arresto cardiaco o morte cardiaca improvvisa. Nel caso di Lorenzo, si evidenziavano le condizioni per poterlo almeno sospettare: sincope da sforzo associata ad emozione e aritmie ventricolari polimorfe e bidirezionali riproducibili (dato che non può essere trascurato) al test da sforzo in assenza di alterazioni strutturali cardiache. Forse il caso avrebbe meritato una terapia beta bloccante. Sarebbe bastato? Nessuno può affermarlo con certezza. Poi, in quel pomeriggio americano, mentre fa poche trazioni, crolla a terra. Muore improvvisamente. L’autopsia racconta di un ventricolo destro distrutto, assottigliato. Ma come? Se la risonanza era negativa? Ad oggi, la diagnosi non è ancora nota. Serve ancora pazienza. Questa è la storia di Lorenzo. È la storia di una madre che voleva capire, che cercava risposte e che soprattutto ama suo figlio.

Atto secondo: Alessandro

La storia non finisce qui. Perché c’è Alessandro. Alessandro, il ragazzo dal fisico statuario, di una dolcezza e maturità che sorprende. Anche lui ama la vita e il suo sport. “Sono nato per fare sport come mio fratello”. Quando la tragedia travolge la famiglia con la morte improvvisa di Lorenzo, la mamma contatta il centro che aveva seguito Lorenzo fino a poco tempo prima. Nuovi esami, stavolta su Alessandro, “Signora Emanuela, signor Giuseppe, caro Alessandro tu sei a rischio di morte improvvisa. Occorre impiantare un defibrillatore.” La notizia sconvolge nuovamente la famiglia ma questo significa anche protezione, sicurezza. Un sollievo dentro al dolore: almeno questa volta si può prevenire. Tutti sono più tranquilli. Il defibrillatore sarà il salvavita di Alessandro. Ma i dubbi restano. Alessandro non ci sta. Non vuole. Rifiuta, con tutte le sue forze. Prima di accettare, vuole capire. Vuole “sopravvivere” sportivamente. E lo fa. Si chiude in sé stesso, ma insieme ai genitori inizia un percorso di ricerca. Vogliono sapere con certezza se davvero Alessandro è malato. Mamma Emanuela racconta che contattano un centro specializzato e una dottoressa “di una gentilezza di altri tempi” finalmente si assume il rischio dell’ascolto e quello che si viene a creare è irriducibile ed eccedente

Ancora una volta lo screening medico sportivo evidenzia una condizione che merita attenzione e fa rifiettere sul senso di traslare nella popolazione sportiva, la stratificazione del rischio tarata per la popolazione normale

Il loro desiderio è dare risposte ad Alessandro: cosa può fare dal punto di vista sportivo? La risposta potrebbe sembrare semplice Ma comprendiamo che mancano dei pezzi nell’anamnesi, indispensabili a comprendere meglio

all’osservazione per la diagnosi. Il benessere non chiede distanza ma una lettura che mescola e ci mette in relazione per non perdere quella verità che fa la differenza tra speranza e resa, tra cura e perdita. Alessandro intanto continua ad essere seguito dallo stesso centro e indirizzato all’impianto del defibrillatore ma mentre è in sala di elettrofisiologia viene deciso di procedere all’impianto del loop recorder. Tutta la famiglia è destabilizzata. Ma perché? Non era a rischio di vita? Alessandro, Giuseppe ed Emanuela sono terrorizzati. Alessandro ha paura. È smarrito. Quel rischio di morte improvvisa gli pesa come un’ombra. Vive nell’attesa di un colpo fatale, lo stesso che ha portato via suo fratello. Inizia ad avvertire strani “colpi di calore” alla “bocca dello stomaco”, sia a riposo che da sforzo. Non gli danno pace. Gli viene proposto dai medici e lui stesso chiede di poter almeno indossare il giubbotto salvavita LifeVest in attesa che gli venga impiantato il defibrillatore, solo così può tornare a casa, a scuola a vivere. Viene accontentato. Alessandro se lo stringe al petto con tutte le sue forze. Per un mese diventa la sua seconda pelle. “Almeno così,” dice, “se il mio cuore dovesse impazzire, mi salverà.” E così per un mese non se ne separa mai. Vive con quel giubbotto, dorme con quel giubbotto. Quando è ora di farsi la doccia, deve toglierlo, non può stare da solo, così gli hanno consigliato, lui esegue e chiede alla mamma e al papà di entrare in bagno per stargli accanto, Emanuela e Giuseppe lo fanno, con dolore, paura e dignità. Non vedevano il loro figlio nudo da quando era bambino. Alessandro si lascia bagnare dal getto d’acqua in attesa del corto circuito mortale. Ma non arriva. Di notte mentre Alessandro dorme a volte le placche si staccano, l’apparecchio comincia a suonare e tutta la famiglia si sveglia nel terrore. Quando finirà tutto questo folle dolore? Finalmente la dottoressa “gentile” incontra e valutata l’intera famiglia. Nessuno né mamma, né papà, né Alessandro presenta nemmeno un’extrasistole sotto sforzo. Sembra esclusa la forma catecolaminergica. Alessandro può togliere il LifeVest. Inoltre, viene consigliata una valutazione presso il nostro Centro. Per la famiglia viene prima la salute ma per avvicinarci il più possibile alla verità e sostenere Alessandro si provano tutti i sentieri disposti a frugare nelle pieghe più segrete. Alessandro arriva al nostro centro. Inizia il suo di racconto. Mesi di sofferenza e terrore, e mentre la storia prende forma, i suoi occhi si riempiono di lacrime, scivolano giù inondando il viso, senza piangere. Era un’immagine mai vista prima. Chissà da quanto quel dolore era stato confinato dentro il suo di cuore senza trovare la forza di raccontarlo nel rispetto dei genitori che stavano già soffrendo tanto per la perdita di Lorenzo. Si ricomincia da capo. Ripercorriamo tutto: ECG normale, ecocardiogramma normale, risonanza magnetica cardiaca anche dopo una second opinion risulta essere normale. All’analisi del loop recorder nessuna aritmia. Sottoponiamo Alessandro a un test da sforzo. Ancora nessuna aritmia. Come facciamo per ogni caso ad alto rischio, lo portiamo oltre il limite: sforzo strenuo monitorato presso la nostra palestra, lattato a 10 mm/l, arriva quasi al vomito. Nessuna aritmia, contrariamente a quanto era stato osservato in suo fratello. Il cuore “tiene”. Durante la nostra valutazione da sforzo abbiamo anche la fortuna venga riprodotto quel “senso di calore” alla “bocca dello stomaco” ma non è accompagnato da aritmie o anomalie dell’elettrocardiogramma. Tutto normale. Nel frattempo, arriva anche il risultato dell’esame genetico: negativo. Nessuna patologia nota, associata ad arresto cardiaco strutturale od elettrica. Discussione plenaria: siamo tutti d’accordo. Sembra finita. Sembra davvero che per Alessandro la storia possa chiudersi qui, almeno per ora. Il nostro desiderio è uno solo: liberarlo. Liberarlo dalla paura. Dal peso del terrore di morire improvvisamente. Ridargli la sua vita, restituirgli la libertà. Quella vera. Questa è una storia che è iniziata nel dolore e disperazione, ma finisce con la speranza. Finisce con un ragazzo di 18 anni che torna a correre, a respirare, a sognare. ♥

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