Come salvare la Sanità Pubblica Servono 40 miliardi, per i quali basterebbe eliminare gli sprechi Intanto, Governo e Parlamento lavorino insieme per garantire a tutti la miglior assistenza
Molti dei nostri concittadini non sono in buona salute e non hanno abbastanza soldi per curarsi, è venuto il momento di aiutarli. Medici ne abbiamo, ma non sempre dove servono. E non è sufficiente costruire infrastrutture, le dobbiamo distribuire in modo uniforme nel Paese e farci carico degli operatori e dei servizi. Per i tumori abbiamo fatto molto, ma siamo lontani dall’aver risolto il problema, abbiamo fatto troppo poco per le malattie mentali e troppo poco per incentivare i giovani a essere medici e infermieri. E troppo poco per la ricerca biomedica».
Il progetto Usa del ‘45
Con questo messaggio, letto di fronte al Congresso degli Stati Uniti il 19 novembre 1945, Harry Truman chiedeva per il suo Paese un servizio sanitario, e che fosse per tutti e per tutte le malattie: un grande progetto governativo (come stavano facendo proprio in quegli anni nel Regno Unito e come avremmo fatto noi molto dopo col Servizio Sanitario Nazionale). Il Congresso fu contrario alla proposta di Truman che mirava fra l’altro a togliere ai suoi cittadini la preoccupazione dei soldi quando si dovessero ammalare. E come è finita? Vediamo, passano ottanta anni precisi e David Blumental che è professore a Harvard scrive sul New England Journal of Medicine: «Gli Stati Uniti hanno fallito, si sono sottratti alla responsabilità fondamentale di ogni Nazione: proteggere i propri cittadini dal soffrire e morire “needless”, senza una ragione». Gli fa eco David Berwick: «In America nessun settore di salute è immune dalla smodata ricerca del profitto: non le compagnie farmaceutiche, non le assicurazioni, non gli ospedali, non i medici». Mentre Berwick – che è professore a Boston – scrive così: al nostro ospedale arriva un neonato in condizioni disperate con una polmonite interstiziale bilaterale da enterovirus: ha bisogno di supporto respiratorio e tanto d’altro ma le probabilità di farcela sono poche, pochissime; medici e infermieri fanno il possibile e l’impossibile, nessuno pensa ad altro che alla vita di quel piccolino. Dopo qualche giorno Luca – non è il suo vero nome – mostra piccoli segni di ripresa per poi migliorare giorno dopo giorno; dalla rianimazione alla pediatria e poi a casa, guarito. (Luca è figlio di un pastore, è troppo azzardato pensare che di là dell’oceano, in Ospedale non ci sarebbe nemmeno arrivato?). La nostra Sanità Pubblica sa fare quello che ha saputo fare per Luca e molto d’altro e non si spende un euro. Ma «ce la possiamo permettere?».
Cure e responsabilità
E se ci chiedessimo invece: «Ci possiamo permettere di non averla la Sanità Pubblica?». Che futuro può avere un Paese che non consente ai suoi cittadini di accedere ai servizi essenziali? Davvero vogliamo che anche da noi le persone soffranoe muoiano anche quando lo si potrebbe evitare? Evitare tutto questo si può, ci sono ragioni morali per farlo ed è un problema soprattutto culturale: il poter essere curati quando ci si ammala è l’essenza di una società giusta e il fondamento stesso dell’essere liberi. Ma farsi carico della salute dei cittadini implica una enorme responsabilità, che non può essere delegata a organizzazioni private, costruite attorno a numeri ed efficienza.

Deve essere un vero e proprio «servizio», ispirato a compassione, desiderio di alleviare il dolore degli altri, attenzione ai dettagli e qualità. Ma «ci sono le assicurazioni, fatevene una e siete a posto». Davvero? Un’indagine recente fatta da Kaiser Foundation – un’agenzia indipendente che si occupa di salute pubblica – rivela che la maggior parte degli americani super-assicurati ha difficoltà ad ottenere quello che serve per curarsi, non trova un accordo con l’assicurazione, intanto la malattia va avanti e servono consulenti per orientarsi nel labirinto delle clausole. E chi non se lo può permettere? Insomma da loro è un disastro, da noi ancora no e speriamo di non arrivarci mai. Sarebbe comunque preferibile a mio parere che la salute non sia mai l’occasione per arricchire qualcuno a scapito di altri; se c’è accordo su questo il rimedio non è nemmeno tanto complicato: basta tener fede all’impegno preso con l’Europa nell’ambito del PNRR, tanto per cominciare, per poi arrivare a qualcosa di più strutturale. Un sogno? Mica tanto, ho provato a tratteggiare l’essenziale nel grafico che trovate in questa pagina. Si parte dal territorio col Distretto Sanitario, una unità organizzativa già in essere, il cui compito principale è quello di pianificare e organizzare i servizi sanitari sul territorio e integrarele attività di prevenzione cura e riabilitazione. La maggior parte di queste attività si fondano sul medico di famiglia, colonna portante del sistema, che deve poter dipendere dal Servizio Sanitario Nazionale (questo è un punto fermo sul quale non transigere, se no crolla tutto il resto). Il medico di famiglia farà prima di tutto prevenzione e quando questa non basta, potrà contare sulla disponibilità illimitata dei letti di casa.
Le cure a domicilio
E chi non può essere curato a casa? Per loro c’è la «casa della comunità» che vedrà medici di medicina generale, specialisti, infermieri, assistenti sociali e personale amministrativo lavorare insieme per lo stesso obiettivo; secondo la missione 6 del PNRR, entro il 2026 le case della comunità in Italia dovranno essere 1.350. Poi, sempre sul territorio, ci saranno ospedali di prossimità – i piccoli ospedali di oggi – che diventeranno «ospedali degli infermieri»; si faranno carico di tutto quello che gli infermieri fanno egregiamente già oggi (dalle medicazioni ai prelievi di sangue, alle infusioni, alla chemioterapia, alla diagnostica che sarà integrata con sistemi di intelligenza artificiale già largamente disponibili). Se a un certo Pronto Soccorso oggi arrivano, poniamo, 200 persone al giorno, quando ci sarà una buona assistenza sul territorio, quelle persone saranno 40: e allora niente più ore e ore di attesa, nessuno che perde la pazienza, nessuno che aggredisce nessuno. I reparti dell’ospedale di quel Pronto Soccorso avranno sempre i posti che servono per accogliere gli ammalati gravi, un po’ perché dal Pronto Soccorso le richieste di ricovero diminuiranno e poi perché si potrà contare ancora una volta sull’ospedale degli infermieri dove ricoverare chi ha superato la fase più difficile della sua malattia ma non può ancora essere assistito a casa. Il lavoro di medici e infermieri va remunerato adeguatamente, si capisce, e qui ci viene in aiuto un editoriale del Lancet: «Il servizio sanitario (quello inglese, ndr) è malato ma si può curare». Loro scrivono fra l’altro: «basta col finanziare un pochino ogni criticità che si presenta, serve una visione globale se no quei soldi si buttano: una volta deciso che servizio vogliamo si deciderà come sostenerlo». E per il nostro cosa potrebbe servire? Quaranta miliardi di euro – solo per portarci al livello di Francia e Germania – sembrerebbe tanto e qualcuno obietterà che non abbiamo tutti questi soldi. Non è così, quei soldi ci sono e li spendiamo già: fra farmaci, interventi inutili e servizi ridondanti sprechiamo ogni anno proprio quaranta miliardi di euro, quanto servirebbe per rimettere in ordine il Servizio Sanitario Nazionale. Evitare gli sprechi è possibile e dovrebbe essere un imperativo morale, ma perché succeda davvero servono azioni concrete e senso civico da parte di tutti: a partire da chi ha posizioni di responsabilità, ai medici, ai cittadini. Howard Brody, che è stato professore di medicina nel Texas, ha scritto: «È ora di passare dall’etica dei tagli all’etica di evitare gli sprechi». E adesso immaginiamo di condividere questa impostazione e che i soldi si trovino, cos’altro serve perché tutto questo possa realizzarsi? Qui arriviamo all’aspetto più delicato di tutti: il «governo» del sistema. Direzioni di distretto, assessorati regionali, ministeri, dovrebbero per una volta lavorare insieme due obiettivi semplici quanto ambiziosi: migliorare il benessere dei cittadini e ridurre le diseguaglianze. Perché succeda davvero però governo e Parlamento ci devono credere, sottrarsi alla logica degli schieramenti e lavorare insieme, nello spirito della Costituzione, per dare ai nostri concittadini la possibilità concreta di accedere alle prestazioni mediche di cui hanno bisogno nei tempi giusti.
La nuova Sanità
Vuol dire che non ci sarà più spazio per la sanità privata? Niente affatto, il privato-privato (in strutture private) va benissimo; vuol dire che chiunque, pagando di tasca sua, può avere tutto quello che vuole dove vuole. Non solo ma le organizzazioni private dovrebbero venire in aiuto al pubblico dove e quando il pubblico è carente, a condizione però checi sia una regia: ospedali pubblici e privati che a pochi chilometri di distanza fanno le stesse cose non ce ne dovrebbero essere più e nemmeno ammalati che per avere una prestazione in tempo utile devono rivolgersi al privato. Intanto in quell’America che ottant’anni fa aveva snobbato la proposta di Truman ci si comincia a chiedere se non sia arrivato il momento di avere un servizio di salute per tutti e che sia pubblico «per riuscirci davvero si dovranno superare grandi difficoltà, ma le ragioni per farlo sono gigantesche» scrive sul New England Journal of Medicine Margaret (“Peggy”) Hamburg, che è stata presidente dell’American Association for the Advancement of Science, e aggiunge: «se non ora quando?».