Trial con rappresentatività delle donne. Le gliflozine nell’HFpEF: anche se non c’è differenza, fa la differenza

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Trial con rappresentatività delle donne. Le gliflozine nell’HFpEF: anche se non c’è differenza, fa la differenza

Esplorare il valore aggiunto della differenza sex-related aiuta a rispondere efficacemente ai bisogni del singolo paziente

La variabile genere per valorizzare l’uguaglianza ed equità i due dei pilastri del nostro Servizio Sanitario Nazionale

Introduzione
Le malattie cardiovascolari (CVD) rappresentano la principale causa di morte nella popolazione di sesso femminile. Nonostante ciò le donne sono a tutt’oggi sottorappresentate nei CVD trials; sebbene molti progressi siano stati fatti da quando il National Institute of Health Revitalization Act del 1993 stabiliva linee guida e requisiti legali per garantire l’inclusione negli studi clinici di donne e di donne appartenenti alle minoranze (URM), ancora oggi queste categorie non sono adeguatamente rappresentate(1,2). Negli Stati Uniti circa la metà della popolazione adulta affetta da scompenso cardiaco (SC) è di sesso femminile(3); circa il 50% dei pazienti affetti da SC hanno come fenotipo uno scompenso a funzione sistolica preservata (HFpEF), in quest’ultimo la prevalenza in ogni fascia di età è più elevata nelle donne(4,5). Invece è stato dimostrato come il “lifetime risk” di scompenso cardiaco a funzione sistolica ridotta (HFrEF) è più basso nelle donne rispetto alla popolazione maschile, e si aggira approssimativamente intorno al 40%(5,6). Differenze legate al sesso (differenze biologiche) e al genere (fattori, socio-economici e culturali) sono state dimostrate lungo tutto lo spettro delle FE, nell’ambito dei fattori di rischio, negli aspetti fisiopatologici, nella diagnosi, nel trattamento e negli outcome dei soggetti affetti da scompenso cardiaco(5,7). Nonostante ciò ancora oggi un significativo numero di trials sullo scompenso cardiaco non riportano adeguatamente dati sui sottogruppi sex/gender specifici(8). In una recente analisi su 118 trials sullo scompenso cardiaco eseguiti tra 2001 e il 2016, è stato stimato che la percentuale delle donne arruolate era pari al 27%, e soprattutto interesssante il dato che tale percentuale non sia significativamente aumentata nel corso dei 15 anni esplorati(9). Se si considera il PPR (partecipation/ prevalence ratio), parametro che considera la proporzione del numero di donne arruolate rapportato a quella che è la prevalenza del sesso femminile nella patologia (un PPR < a 0.8 è stato generalmente usato per indicare una “sottorappresentazione” delle donne in uno studio clinico)(2) è stato stimato per i trials sullo SC un PPR di 0.48(9). Sebbene i trials sul HFpEF abbiano arruolato un numero maggiore di donne (58%), rispetto ai trials sul HFrEF (24%) o sullo SC acuto (32%), la percentuale rimane comunque al di sotto di quella che è la prevalenza della malattia nei soggetti di sesso femminile(10).

Empagliflozin e Dapagliflozin: differenze legate al sesso
L’update 2023 delle LG ESC sanciscono un cambio di paradigma nel trattamento dello SC a FE preservata , attribuendo una classe di indicazione I, livello di evidenza A ad emplagliflozin e dapagliflozin per ridurre il rischio di ospedalizzazione per HF e la morte cardiovascolare. Tale “strong raccomandation” si basa su due trials l’Emperor Preserved(13) e il Deliver(14), pubblicati rispettivamente nel 2021 e nel 2022 sul NEJM. Entrambe i trials hanno la caratteristica di aver arruolato un numero significativo di donne (44,7% nell’Emperor Preserved e 43,6% nel Deliver). Dal momento che le donne e gli uomini possono differire nelle caratteristiche cliniche e nella risposta alla terapia, in entrambi i trials ricercatori hanno valutato l’influenza del sesso sugli effetti dei 2 farmaci nella popolazione arruolata, prevedendo una analisi pre-specificata del sottogruppo maschio/femmina. Iniziamo con lo studio EMPEROR-Preserved (Empagliflozin Outcome Trial in Patients with Chronic Heart Failure with Preserved Ejection Fraction), studio multicentrico randomizzato(13), in cui è stato valutato l’impiego dell’ empagliflozin in pazienti con HFpEF e LVEF > 40%. Il disegno dello studio prevedeva l’arruolamento di pazienti con SC cronico, in classe funzionale II – IV con livello elevato di NT-proBNP e un’ospedalizzazione documentata per SC o evidenza di cardiopatia strutturale entro 12 mesi prima dell’arruolamento. Sono stati arruolati 5988 pazienti di cui solo la metà affetta da diabete, con un filtrato glomerulare superiore a 20ml/ min/1,73m2 e randomizzati a placebo o a empagliflozin 10 mg una volta al giorno in aggiunta alla terapia standard per lo SC, con una durata del follow up medio di circa 26 mesi. Gli outcome primari sono stati la mortalità cardiovascolare o il ricovero per SC, e gli outcomes secondari i ricoveri per SC, la mortalità cardiovascolare e per tutte le cause, lo stato di salute misurato dal Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ) e classe NYHA. Complessivamente, 2.676 (44,7%) donne e 3.312 (55,3%) uomini sono stati arruolati nello studio EMPEROR-Preserved. In un analisi post-hoc dell’Emperor Preserved(15) il trattamento ha ridotto l’endpoint composito di rischio di morte cardiovascolare o ospedalizzazioni per SC in modo simile in entrambi i sessi (HR, 0,75 per le donne e 0,81 per gli uomini); l’endpoint composito nel gruppo totale verso placebo è stato del 21% (P = 0.0003). Empagliflozin ha avuto un effetto simile in entrambi i sessi nel ridurre i ricoveri totali per scompenso cardiaco e primo ricovero per scompenso cardiaco. Quindi l’effetto del trattamento sull’endpoint primario e sulle ospedalizzazioni totali per SC era indipendente dal sesso e dalle categorie di FE con una tendenza verso una potenziale influenza della FE sull’effetto del farmaco sui ricoveri totali per SC negli uomini ma non nelle donne (P = 0,27). Gli aspetti fisiopatologici che caratterizzano i fenotipi di SC a FE preservata nei due sessi hanno evidenziato anche in questo studio alcune peculiarità di genere: una differente compliance cardiovascolare ed una ridotta volumetria ventricolare sinistra per la quale le donne più frequentemente utilizzano i diuretici, oppure nella risposta in termini di rimodellamento ventricolare all’ incremento del carico e dello stress. Nonostante queste premesse ed osservazioni non c’è stata una differente risposta al trattamento che è stato egualmente efficace nei due sessi. Nella Pooled Analysis(16) che comprendeva i pazienti dell’Emperor Reduced (3.730) e dell’Emperor Preserved (5.988), il totale dei pazienti veniva suddiviso in 6 gruppi in base al valore della FE (< 25%, 25 – 34% , 35 – 44% , 45 -54% , 55 – 64% , e ≥ 65%; i gruppi con FE più elevata presentavano un maggior numero di anziani, donne e con insufficienza renale. Il trattamento con Empagliflozin riduceva il rischio di un primo episodio di ricovero per SC in maniera simile in tutti i gruppi di FE, con una risposta attenuata per FE > 65%. Tra i pazienti con FE > del 25 % l’influenza della FE sugli outcome erano simili nei due sessi. Nello studio Deliver(14) (Dapagliflozin in Heart Failure with Mildly Reduced or Preserved Fraction) il Dapagliflozin è stato valutato in pazienti con HFmrEF e HFpEF con una FE > 40%, nel ridurre il rischio dell’outcome composito primario di Morte Cardiovascolare o Instabilizzazione dello SC, inteso come ospedalizzazione non programmata per scompenso cardiaco o visita urgente. Nello studio sono stati inclusi anche pazienti con una precedente FE < 40% che avevano poi all’arruolamento recuperato con una FE > 40% e pazienti sia ambulatoriali che in fase di ospedalizzazione per SC. I criteri d’inclusione prevedevano un’età > di 40 anni, con SC cronico stabile, NYHA II- IV, diabetici e non (DM al basale 45%), elevati valori di NTproBNP e un eGFR da 25 ml/ mn/1.73 m2 in sù. Il trattamento con Dapagliflozin ha ridotto in maniera significativa il composito primario di Morte Cardiovascolare o instabilizzazione dello SC (Hazard Ratio, 0.82; P<0.001). Dei 6236 pazienti arruolati il 43,6% erano donne e nell’analisi dei sottogruppi prespecificati l’effetto favorevole del trattamento non veniva influenzato dal sesso. E’ stata effettuata inoltre una Pooled Analysis prespecificata livellata sul paziente degli studi Dapa HF e Deliver(17) sugli outcomes clinici in base al sesso (Morte Cardiovascolare, Mortalità per tutte le cause, Eventi Totali (prima ospedalizzazione e tutte le ospedalizzazioni per SC e morte cardiovascolare), gli scores del KCCQ lungo l’intero spettro della FE. Degli 11.007 pazienti randomizzati, 3.856 (35%) erano donne, più anziane e con un BMI più alto, con un rischio più basso di Diabete, Infarto del Miocardio e Stroke e con un rischio superiore di Ipertensione Arteriosa e Fibrillazione Atriale, paragonate agli uomini. Al basale le donne presentavano una FE più elevata ma punteggi del KCCQ peggiori rispetto agli uomini. Dopo correzioni per le differenze al basale, le donne sperimentavano rispetto agli uomini un rischio più basso di Morte Cardiovascolare, Mortalità per tutte le Cause , Ospedalizzazioni per SC e Eventi Totali. Dapagliflozin ha dimostrato di ridurre l’end point primario sia nelle donne che negli uomini in maniera simile con un HR di 0.80 nelle donne e 0.78 negli uomini senza differenze legate al sesso negli outcomes secondari e in merito alla sicurezza. Il beneficio legato a Dapagliflozin è stato osservato lungo tutto lo spettro della FE e non è stato influenzato dal sesso dei partecipanti. Non ci sono state differenze sesso relate in merito agli Eventi Avversi o Interruzione del trattamento conseguente. Ad Aprile 2024 è stata presentata all’ACC(18) una ulteriore analisi, mirata ad identificare le differenze legate al sesso dei pazienti arruolati nel Deliver a fenotipo improved. Nel trial il 18% dei pazienti arruolati erano “improved” e di questi il 33% era rappresentato da soggetti di sesso femminile. Le donne erano più anziane, presentavano una FE più alta (53% vs 49%), una minor storia di cardiopatia infartuale con un simile livello di NT-proBNP (1019 vs. 1002) e più basso KCCQ score. Meno donne erano trattate con 3 farmaci previste dalle LG (29% vs 35%). L’endpoint primario di instabilizzazione di SC o morte cardiovascolare era più basso nelle donne, sebbene non statisticamente significativo. Pertanto anche nel fenotipo “improved” il sesso non modifica significativamente i benefici del trattamento con dapagliflozin sull’endpoint primario.

Considerazioni
Lo SC con FE preservata ha una maggiore prevalenza nelle fasce di età più avanzata e nelle donne rispetto agli uomini(19). Ci sono diversi meccanismi proposti per spiegare questa discrepanza, tra cui differenze di genere nell’adattamento cardiovascolare alle comorbilità e potenziali meccanismi eziologici sottostanti(5,19). Inoltre diversi sono gli outcomes descritti in letteratura: le donne mostrano una sopravvivenza maggiore, ma una più scadente qualità di vita. Già nei trials TOPCAT(20) e PARAGON-HF(21), che miravano a testare l’efficacia rispettivamente di spironolattone e sacubitril – valsartan nello SC a FE preservata, e che avevano entrambe arruolato un elevato numero di donne, l’analisi pre-specificata, dimostrava risultati differenti nel gruppo di sesso maschile rispetto al gruppo di sesso femminile (entrambe complessivamente evidenziavano una migliore efficacia dei farmaci nelle donne); nella popolazione generale di entrambi gli studi però non veniva raggiunta la significatività statistica nei rispettivi endopoint primari. I trials sulle glifozine nello scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata, hanno entrambe centrato l’endopoint primario, ma contemporaneamente hanno evidenziato che i risultati ottenuti sono indipendenti dal sesso. Il valore aggiunto di questi trials è che la popolazione arruolata non è molto dissimile alla popolazione della “real life” affetta da HFpEF: più donne, più anziani e più comorbidità. I recenti dati epidemiologici stimano, considerando i dati dei registri, come la popolazione dei pazienti affetti HFpEF rappresenti circa il 50% dell’intera popolazione con SC(22), pertanto sia l’Emperor Preserved che il Deliver avendo arruolato rispettivamente il 44.7% e il 43.6%, presentano entrambe un PPR (Partecipation/Prevalence Ratio), anche se di poco, superiore a 0.8 (0.89 per l’empagliflozin, 0.87 per dapagliflozin). Sicuramente l’Emperor Preserved e il Deliver, sono due trials disegnati con un approccio moderno alla medicina di genere, con una attenzione particolare alle differenze sesso-relate. Tale approccio è ad oggi necessario per assicurare ai paziente un terapia “personalizzata” e anche per comprendere eventuali differenze nei meccanismi fisiopatologici che sottendono all’insorgenza dello scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata nei soggetti di sesso maschile e femminile. E’ inoltre necessario comprendere in maniera più approfondita le motivazioni alla base di una minore partecipazione delle donne nei clinical trials, per poi mettere in atto delle strategie finalizzate a ridurre questo aspetto del gender-gap(23,24). Finalmente sembra sia iniziato il tempo di “to shatter this ceiling glass”(25). Il genere è però etnia, condizioni socio-economiche e culturali, che possono influire sugli outomes di una patologia, aspetti sicuramente complessi che in un prossimo futuro sarà necessario approfondire, per mettere in atto una medicina di “precisione”, che preveda non solo l’utilizzo di farmaci che eventualmente si mostrano efficaci in modo differente su uomini e donne, giovani e anziani, etnie diverse , ma soprattutto la costruzione di percorsi di cura dedicati in particolar modo alle popolazioni più fragili.


Bibliografia

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