Mitral annular disjunction: esempio eccellente di speculazione e di integrazione di varie competenze
Negli ultimi 20 anni è “esploso” l’interesse di diversi specialisti (anatomopatologici, esperti di imaging, aritmologi, cardiochirurghi) per la mitral annular disjunction (MAD) che nella definizione originale è un’anomala inserzione del lembo posteriore, che si trova ad essere distaccato dalla giunzione e dal miocardio ventricolare adiacente e dislocato sul versante atriale. Questo crescente interesse multidisciplinare si è tradotto in linee-guida ad hoc e position paper. Tuttavia, anche i pareri degli esperti sono stati contraddittori: si è passati dal considerarla una malattia con un rischio aritmico pari ad alcune delle peggiori cardiomiopatie a considerarla una variante della normalità. Come molte cose in medicina, e nella vita, la verità sta forse nel mezzo e chi sconta la mancata univocità di comunicazione e la carenza di una terapia personalizzata è proprio il nostro paziente, colpevole di esprimere fenotipi estremamente differenti tra loro. Gli incredibili passi avanti della diagnostica cardiologica non invasiva con ecocardiografia, tomografia computerizzata (TC) e risonanza magnetica (RM) cardiaca e il confronto con i reperti anatomopatologici hanno rivelato che non tutte le MAD classificate come tali sono delle vere disgiunzioni e che solo una piccola parte (“true MAD”) risulta avere un’inserzione diretta del lembo sulla parete atriale, presente in qualunque fase del ciclo cardiaco e talvolta in assenza di prolasso mitralico, quest’ultimo vero e proprio confondente nell’analisi delle immagini soprattutto ecocardiografiche. La MAD, se consideriamo come significativo all’eco un cutoff ≥5 mm, è presente “solo” nel 40% circa dei pazienti con malattia di Barlow e prolasso multiscallop, sebbene questo tasso possa variare in base alle diverse popolazioni, alle modalità di imaging e al cutoff considerato. Questi ultimi due punti sono cruciali: sarebbe a questo punto corretto parlare di presenza/assenza di disgiunzione e pertanto basterebbe un cutoff di 1 mm o forse meno, ma dovremmo riferirci ad esami TC futuristici per diagnosticarla, come la HiP-TC. D’altro canto, una MAD con importante lunghezza di disgiunzione, fino a 12-13 mm o anche di più, risulta avere impatto prognostico peggiore. Anche la posizione conta; la sede inferolaterale rispetto a quella commissurale, parafisiologica secondo alcuni, identifica i pazienti a maggior rischio di eventi aritmici ventricolari.
La spiegazione di questo rischio aritmico è stata attribuita ad un movimento paradosso dell’anulus che, durante la sistole, andrebbe incontro ad un appiattimento e ad un aumento di dimensioni. Si verificherebbe in questo modo un disaccoppiamento funzionale tra anulus mitralico e miocardio ventricolare adiacente, con conseguente stretch meccanico a carico del muscolo papillare posteriore e della parete libera ventricolare vicina, in grado di indurre alterazioni istopatologiche di tipo fibrotico visibili alla RM. La commistione tra MAD e prolasso valvolare mitralico (quest’ultimo caratterizzato da un displacement sistolico di almeno una scallop in atrio >2 mm o ≥2 mm in base agli studi) ha portato allo sviluppo di termini come “prolasso valvolare aritmico”, oggetto di un recente consensus dell’EHRA sul rischio aritmico di tale condizione. Chi si occupa di imaging clinico nelle valvulopatie deve fortunatamente valutare nel suo complesso il paziente con MAD, tendenzialmente giovane, con dilatazione e lieve disfunzione del ventricolo sinistro e visibile ridondanza dei lembi mitralici soprattutto in caso di disgiunzione importante; questo paziente può presentare palpitazioni, dolore toracico, sincope e aritmie così come il paziente con prolasso mitralico senza MAD; complica ulteriormente le cose il fatto che il quadro di presentazione sia spesso indipendente dal grado di rigurgito mitralico.
E l’indicazione cardiochirurgica o interventistica?
Vi sono mai capitati pazienti che lamentino importante dispnea ed astenia da sforzo, talora sproporzionate al grado di rigurgito mitralico, con incremento delle aritmie ventricolari durante la prova da sforzo? Il gesto terapeutico sulla valvola può in questi casi essere considerato come terapia “antiaritmica” ed essere anticipato? Ultimi studi segnalano casi di regressione delle aritmie ventricolari anche in base a diversi approcci chirurgici di riparazione valvolare. Dal punto di vista percutaneo si è pure assistito ad un progressivo interesse per questa alterazione, indagata con maggiore attenzione prima della procedura; quali considerazioni preliminari sono emerse la peggior prognosi dei pazienti con MAD rispetto a quelli senza MAD e la necessità di utilizzare un maggior numero di device per stabilizzare la valvola. Vero è che se gli stress meccanici che generano aritmie ventricolari hanno già condizionato un’estesa fibrosi dei muscoli papillari, anche il gesto di ridurre il perdurare di tali stress potrebbe non portare agli esiti sperati. Pertanto, la discussione su un’indicazione “anticipata” in valvole con rigurgiti non severi terrà sicuramente banco nei prossimi anni.
Da sinistra a destra
La MAD può verificarsi anche in concomitanza con la disgiunzione anulare tricuspide (TAD), suggerendo come la patologia interessi l’anulus fibroso nella sua totalità. Pazienti con concomitante TAD non sembrano presentare un rischio aggiuntivo di aritmia e la TAD non è generalmente associata a disfunzione significativa della valvola tricuspide. L’imaging morfologico con RM anche in questo caso risulta fondamentale.
Conclusioni
Riteniamo che la MAD e, più in generale, la valvulopatia mitralica in questo contesto siano un esempio eccellente di speculazione e di integrazione di varie competenze. Solo un tale approccio può far luce sia sulla storia naturale di questa entità sia sul risvolto diagnosticoterapeutico per il nostro paziente.
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