Il “dr Knock e il trionfo della medicina” tra “progressi” e “regressioni” della medicina moderna

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Il “dr Knock e il trionfo della medicina” tra “progressi” e “regressioni” della medicina moderna

Scienza e Malattia, Medico e Malato: la necessità di una saggia riconciliazione

L’articolo di Giuseppe Di Tano affronta un’interessante riflessione sulla commedia del dr Knock scritta da Jules Romains all’inizio degli anni ’20. Romains propone nella sua opera temi rilevanti e che rimangono di facile trasposizione ai giorni nostri e permette di interrogarsi su alcuni aspetti che coinvolgono la medicina moderna e la società in cui viviamo. Il dr Knock senz’altro può rappresentare l’essenza, negativa, del “mercato della salute”, “la pan-medicalizzazione”, ma anche delle informazioni ingannevoli, distorte ed inventate “fake news”. Può evocare anche i tanti che promettono soluzioni mirabolanti manipolando soggetti e sfruttandone debolezze e paure indotte in tema di salute. Da tutt’altro punto di vista il dr Knock può rappresentare anche la spinta evolutiva della medicina in sé e del suo tentativo di avere sempre più impatto nella salute degli individui diventando sempre più preventiva ed interventistica. In tal senso non si può negare che l’evoluzione tecnologica della medicina abbia permesso un notevole miglioramento della qualità e quantità di vita dei pazienti sfruttando diagnosi precoci e comprensione di fini fattori prognostici che consentono interventi sempre più personalizzati. Cosa sarebbe la cura precoce di alcuni tumori senza gli screening sugli apparenti sani e cosa sarebbe la prevenzione cardiovascolare se non praticata fin da quando si ritiene di esser sani? Il progresso scientifico e la scoperta di geni “malati” che “predispongono” allo sviluppo di malattie in soggetti altrimenti sani pongono nuove sfide in campo clinico ed alimentano anche il dibattito tra scienza ed etica. L’epoca in cui viviamo è senz’altro diversa da quella del dr Knock, anche soprattutto per quel che riguarda il rapporto Medico-Paziente dove, all’epoca del dr Knock, il cittadino riservava stima e fiducia incondizionate nei confronti del medico. Oggi invece viviamo il passaggio da una medicina paternalistica ad una medicina condivisa, che riconosce il valore dell’individualità di ciascuno, e che quando non mette in secondo piano i dati scientifici può rappresentare un esempio di una buona medicina moderna. Dall’altro lato una sanità moderna, efficiente, equa e sostenibile si scontra con l’uso estensivo e spesso inappropriato di procedure diagnostiche. Del resto si è transitati da una medicina “scienza dell’incertezza e arte della probabilità” (come direbbe William Osler) alla spasmodica necessità di (false) “certezze” che provocano l’uso estensivo e spesso inappropriato di esami e test diagnostici. “Esami di controllo” richiesti per rassicurare medico e paziente con il risultato che anomalie che non hanno significato patologico (“incidentalomi”) costringono ad eseguire ulteriori esami al fine di “controllare” i “controlli” eseguiti (“sindrome di Ulisse”). In tal senso particolare rilevanza ha avuto negli ultimi anni la campagna “Choosing Wisely” il cui fine è quello di diffondere raccomandazioni scientificamente supportate riguardanti pratiche diagnostico terapeutiche potenzialmente inutili o inappropriate. Il rifiuto della complessità e dell’approccio ragionato ad essa sembra essere una deludente tendenza anche della società odierna in cui la cultura, la competenza, lo spirito critico, svaniscono soprattutto nell’era digitale dei social network in cui si sentenzia con certezza sui più svariati argomenti, pur non sapendone nulla, e in cui il dibattito è in realtà un “non confronto” spesso declinato da aggressività verbale a cui anche la politica ci sta abituando. La pandemia ci ha dimostrato e confermato la necessità di affidarsi alla Scienza ma al tempo stesso ci ha ricordato che anche la Scienza non può dare certezze immediate ma ha bisogno dei suoi tempi per fornire risposte adeguate. In un contesto già complesso, si sono sentite troppe opinioni non sempre serene e scientificamente fondate anche da parte di esperti e si comprendono quindi anche le perplessità e timori che hanno avuto i cittadini in questo difficile periodo pandemico. Noi professionisti dovremmo essere più disponibili all’incontro ed all’ascolto, chiari ma anche avere umiltà di approccio, consapevoli dei progressi ma anche dei limiti dei dati scientifici che abbiamo a disposizione. Basti pensare che nell’epoca dell’ “evidence based medicine”, in generale, la metà delle raccomandazioni delle Linee Guida rimangono prive di evidenze solide e basate su “opinioni” degli esperti. Nell’era della genomica, dei big data, dell’intelligenza artificiale rimane fondamentale una visione globale del soggetto ricordando quanto sia importante non curare solo “la malattia” ma curare i “malati”, ognuno con i suoi specifici bisogni, vissuti, contesti e realistici esiti attesi.

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