Terapie altamente personalizzate
In questo editoriale della serie NEXT, parliamo di come lo sviluppo delle nuove tecnologie basate sul sequenziamento genico stiano indirizzando la medicina verso una terapia sempre più personalizzata
Paradossale eccezione a questa regola rimane la cardiologia, dove le terapie per lo scompenso cardiaco e la cardiopatia ischemica continuano a essere ancora basate su farmaci standardizzati per la popolazione generale
Si parla ormai da almeno 3 decenni di terapie personalizzate, basate sulla scelta di farmaci in base al profilo genetico o alle caratteristiche della malattia del paziente. Esempi eclatanti vengono dal mondo oncologico. Ad esempio, l’utilizzo di specifici inibitori delle tirosinochinasi (EGFR, ALK) solo se il bersaglio è espresso dalle cellule tumorali o del tamoxifene nel tumore della mammella se le cellule tumorali esprimono il recettore degli estrogeni. Altri esempi di medicina personalizzata vengono dalla farmacogenomica, dove il profilo genetico del paziente è utilizzato per decidere sulla scelta o il dosaggio di un farmaco. Esempi da libro di testo sono i polimorfismi del gene tiopurina S-metiltransferasi (TPMT) per decidere la terapia con diversi farmaci immunosoppressivi o antitumorali, o dei genotipi dei geni CYP2C9 and VKORC1 nella terapia anticoagulante con il warfarin. Questi esempi classici di terapia personalizzata si basano su variazioni genetiche di singoli geni che sono relativamente frequenti nella popolazione o nei pazienti. Ma la capacità di sequenziamento del DNA e degli RNA ora inizia a consentire approcci ancora più esasperatamente personalizzati e disegnati per ciascun paziente individuale. Due esempi illustrano bene questo concetto. A luglio del 2023, sulla scia del successo dei vaccini a RNA contro il COVID, Moderna e Merk hanno annunciato il lancio di una sperimentazione su più di 1.000 pazienti con il melanoma. La sperimentazione è basata sulla vaccinazione personalizzata. Da ciascun paziente il melanoma viene rimosso chirurgicamente, e ne viene determinata la sequenza del DNA; basandosi su questa informazione, viene generato un vaccino a RNA che contiene fino a 34 RNA messaggeri che esprimono i geni mutati. Ogni vaccino è unico e specifico per ciascun paziente. Alla fine dello scorso anno sono stati presentati i primi risultati. In quasi la metà di 157 pazienti trattati con questo vaccino, insieme a un anticorpo che blocca un checkpoint immunitario, il tumore non si è ripresentato. Un approccio analogo è anche portato avanti da BioNTech, che ha prodotto il vaccino per il COVID commercializzato da Pfizer, in collaborazione con il gigante biotech Genentech in California per il tumore del pancreas. Una sperimentazione pilota su 16 pazienti ha mostrato come, anche in questo caso, il tumore non si è ripresentato per almeno 18 mesi in metà dei pazienti trattati. Il secondo esempio, ancora più estremo, di terapie personalizzate viene dal mondo delle malattie genetiche. La capacità di sequenziamento del DNA ha ormai allungato in maniera impressionante la lista delle mutazioni che sono responsabili di oltre 5.000 malattie ereditarie. Alcune di queste malattie sono relativamente frequenti, ma le mutazioni nei geni responsabili sono diverse nei singoli pazienti. In altri casi, le malattie sono molto rare. Già nel 2017 Richard Horgan, quando era ancora uno studente a Boston, aveva fondato l’organizzazione non profit Cure Rare Disease, con lo scopo di curare Terry Horgan, suo fratello affetto da distrofia muscolare. Nel 2019, Richard aveva messo insieme un team di scienziati di diverse università per sviluppare una terapia basata sull’editing genetico basato sulla tecnologia CRISPR/Cas9. Questa aveva come obiettivo quello di curare in maniera specifica la mutazione presente nel fratello direttamente correggendo il difetto nel DNA. La terapia fu effettivamente somministrata nel 2022, ma Richard morì 8 giorni dopo l’infusione, probabilmente a causa di una risposta immunitaria contro il virus che veicolava il trattamento. Questo non ha scoraggiato Cure Rare Disease, che ha altre 18 terapie sperimentali personalizzate in fase di sviluppo, ciascuna delle quali ha come obiettivo quello di curare un singolo bambino. Lo scorso anno è anche morta in India Uditi Sara, una bambina indiana con una malattia genetica estremamente rara che progressivamente altera le funzioni del cervello. Si conoscono solo pochissimi casi di questa malattia in tutto il mondo. La famiglia di Uditi, molto facoltosa, aveva commissionato una terapia genetica prima a un team di ricercatori negli Stati Uniti e poi ad un altro a New Delhi. I due team hanno ingaggiato una corsa contro il tempo per sviluppare un trattamento basato su una nuova tecnologia di editing genetico preciso per correggere il difetto della bambina. Ma è stata una corsa vana: Uditi è progressivamente peggiorata ed è mancata lo scorso ottobre prima che la terapia potesse essere somministrata. Questa transizione tra medicina basata sull’efficacia statistica a medicina basata sull’efficacia individuale pone problemi non di poco conto. Un primo è quello regolatorio: come fare a sperimentare la sicurezza e l’efficacia del trattamento, visto che la terapia ha l’obiettivo di curare singoli pazienti? E poi: come rendere sostenibile lo sviluppo di questi trattamenti personalizzati? Le ultime terapie geniche hanno un costo che si aggira intorno ai 2-3 milioni di dollari a paziente, ma ciascuna almeno ha un bacino di applicazione di centinaia o anche migliaia di individui. Quanto può venire a costare lo sviluppo di una terapia per ogni singolo paziente? Questi progressi in altri settori della medicina contrastano in maniera eclatante con la situazione in cardiologia, in particolare per lo scompenso cardiaco: nessuna terapia personalizzata è disponibile per questa condizione, nonostante la sua prevalenza sia ormai epidemica (più di 65 milioni di persone affette al mondo, 2-3% del PIL per la spesa sanitaria nei paesi industrializzati). Non soltanto, ma persino la predizione del rischio cardiovascolare in generale non ha fatto significativi progressi rispetto all’utilizzo dei canonici fattori di rischio (ipertensione, colesterolo, BMI, etc), a dispetto di migliaia (letteralmente!) di studi che hanno cercato di dissezionare la componente genetica di queste malattie. Non è semplice interpretare questa situazione paradossale. Una possibile spiegazione per l’assenza di informazioni personalizzate per lo scompenso cardiaco e le malattie cardiovascolari in generale è legata alla loro complessità: sono talmente tanti i geni coinvolti che ciascun paziente diventa un caso complesso e unico. Per ora, questo aumenta a dismisura la difficoltà sia di predire lo sviluppo della patologia e ancora di più la possibilità di sviluppare una terapia mirata. Fino a quando questa complessità non sarà risolta, dovremo “accontentarci” di farmaci che hanno come obiettivi meccanismi molecolari condivisi da tutti i pazienti, tipo “one-size-fit-all”.