Grazie a Linee Guida dedicate le cardiomiopatie acquistano la dignità di una branca importante della cardiologia
Il viaggio dal fenotipo alla diagnosi completa delle cardiomiopatie è un percorso spesso lungo e complicato, che richiede competenza multidisciplinare, risorse adeguate e un approccio personalizzato per ciascun paziente
Le cardiomiopatie sono un gruppo di patologie del muscolo cardiaco eterogenee, che hanno sempre costituito una sfida per medici e ricercatori. Tuttavia, un momento epocale si è verificato alla fine di agosto di quest’anno, durante il Congresso della Società Europea di Cardiologia ad Amsterdam, quando sono state presentate per la prima volta le Linee Guida sulle Cardiomiopatie. Queste Linee Guida rappresentano un’importante novità nel campo della cardiologia, in quanto prima della loro pubblicazione non esisteva una guida chiara e completa per affrontare nel loro insieme queste complesse malattie ma soltanto documenti di consenso e position paper frammentari. Con la loro introduzione le cardiomiopatie smettono di essere un argomento confuso gestito da pochi esperti e acquistano la dignità di una branca importante della cardiologia. Queste Linee Guida offrono un quadro completo che unisce tra loro le diverse cardiomiopatie, e, oltre a fornire una panoramica dettagliata di ciascuna condizione, si concentrano sul concetto di “fenotipo” della cardiomiopatia, ossia l’insieme delle caratteristiche fisiche e funzionali del miocardio che ne consentono la classificazione. Nei centri di cardiologia, grandi e piccoli, la sfida attuale sta nell’applicare queste Linee Guida in modo efficace, specialmente nei contesti con risorse limitate e nei piccoli ospedali periferici.
Il fenotipo: solo l’inizio del viaggio
Sebbene l’identificazione accurata del fenotipo sia fondamentale, è importante sottolineare che non rappresenta la fine, ma piuttosto l’inizio di un viaggio lungo e complesso che richiede competenze multidisciplinari e l’uso di una vasta gamma di metodiche diagnostiche. Questo approccio completo è essenziale per ottenere una diagnosi precisa eziologica, che a sua volta guiderà il trattamento più adeguato per il singolo il paziente, definirà la prognosi e permetterà di stratificare e gestire il rischio di morte cardiaca improvvisa, oltre che valutare concretamente il rischio di trasmissione genetica della malattia analizzando i familiari dei pazienti affetti. Ecco quindi che diventa di fondamentale importaza che il cardiologo che intercetta un paziente con sospetta cardiomiopatia abbia un approccio sistematico utilizzando una visione “cardiomyopathy mindset” del paziente che includa anche la costruzione di un albero genealogico accurato che si estenda ad almeno tre generazioni.
Viaggio lungo, tappe non sempre facili
Ma come si fa a identificare il fenotipo della cardiomiopatia? Quali armi ha il cardiologo ospedaliero o ambulatoriale per riconoscerlo? Il vantaggio di questa classificazione fenotipica sta nel fatto che la maggior parte delle armi che abbiamo a nostra disposizione sono in realtà facilmente praticabili in qualunque realtà cardiologica italiana. Consistono infatti in una accurata valutazione dell’anamnesi, che includa anche la costruzione di un albero genealogico, dell’esame obbiettivo, dell’elettrocardiogramma e dell’ecocardiogramma. Se questi strumenti di indagine vengono applicati al paziente con una mente orientata alle cardiomiopatie, riescono a definire il fenotipo clinico e a procurare al cardiologo informazioni importanti anche sulla causa della malattia. Il viaggio dal fenotipo alla diagnosi eziologica comprende una serie di altre tappe spesso fondamentali, tra cui l’utilizzo della risonanza magnetica cardiaca (RMC) e del test genetico, che rivestono un ruolo cruciale nella definizione precisa della patologia. La RMC non solo fornisce una valutazione accurata della funzione cardiaca, ma permette anche una dettagliata caratterizzazione del tessuto cardiaco, elemento essenziale per orientare la diagnosi. Inoltre, l’individuazione di aree di fibrosi mediante il contrasto con gadolinio può servire come importante predittore di aritmie ventricolari, aiutando a stratificare il rischio del paziente. Una criticità nel seguire le indicazioni di queste Linee Guida nasce proprio dall’applicabilità su larga scala di queste metodiche. Per quanto concerne la RMC la non disponibilità dell’apparecchiatura in tutti i centri cardiologici, i talora lunghi tempi di attesa, i costi elevati e la necessità di operatori altamente specializzati per condurre l’esame, selezionare le sequenze appropriate e interpretare i dati rendono l’accesso a questa tecnologia un ostacolo significativo in molte realtà cliniche. L’analisi genetica è un’altra tappa cruciale in questo percorso diagnostico. Conoscere la mutazione specifica è fondamentale per confermare la diagnosi, ma offre anche informazioni importanti per la gestione clinica del paziente e dei suoi familiari. I risultati genetici forniscono informazioni sulla prognosi, il rischio di morte improvvisa e la risposta a terapie farmacologiche specifiche. Tuttavia il test genetico presenta alcune criticità legate alla disponibilità limitata di centri diagnostici specializzati con personale altamente qualificato e i lunghi tempi per ottenere una risposta, nonché la spesso non semplice interpretabilità dei dati che si ottengono analizzando ampi pannelli di geni o addirittura tutto l’intero esoma. Infine, in alcune circostanze, può essere necessaria una tappa aggiuntiva nel nostro viaggio: la biopsia endomiocardica. Questa tappa è riservata a casi complessi in cui la diagnosi non può essere stabilita in altro modo. Tuttavia anche la biopsia endomiocardica comporta sfide significative, dalla necessità di strutture e strumentazioni specializzate per l’esecuzione dell’intervento, di operatori esperti per ridurre al minimo i rischi della procedura, fino alla assoluta necessità di un anatomopatologo esperto nella valutazione dei risultati. Un modo per ovviare alle difficoltà che l’utilizzo di queste metodiche può presentare è quello di identificare dei centri di riferimento a livello regionale che possano supportare le realtà locali in una ottica di contiguità che permetta al paziente di eseguire l’esame necessario alla definizione eziologica della cardiomiopatia di cui è affetto senza dover intraprendere viaggi lunghi e costosi. Il viaggio dal fenotipo alla diagnosi completa delle cardiomiopatie è un percorso spesso lungo e complicato, che richiede competenza multidisciplinare, risorse adeguate e un approccio personalizzato per ciascun paziente.
Approcci terapeutici mirati, l’importanza della diagnosi specifica
Le nuove Linee Guida riflettono anche le crescenti opportunità terapeutiche nelle cardiomiopatie. Raggiungere la diagnosi infatti spesso apre la prospettiva a terapie specifiche come nel caso dell’Amiloidosi, della Malattia di Fabry e presto anche della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, con la possibilità che ci sarà a breve di utilizzare il Mavacamten, un inibitore competitivo della miosina capace di agire sul meccanismo di malattia. Ancora una volta però si rende necessaria la creazione di un gruppo multidisciplinare in grado di integrare le competenze specifiche per approcci terapeutici che a volte non sono prescrivibili dai cardiologi ma da altri specialisti (es: ematologo per amiloidosi AL, neurologo per amiloidosi eredofamiliare con coinvolgimento neurologico e cardiologico).
L’importanza della rete sanitaria integrata
Un importante strumento per poter raggiungere gli obiettivi intermedi e finali del paziente con cardiomiopatia è nell’organizzazione sanitaria in rete. In questa visione, i centri periferici diventano il punto di ingresso per i pazienti con sospetto di cardiomiopatia. Qui, i cardiologi clinici possono iniziare le indagini diagnostiche di base, utilizzando metodi come l’ECG, l’ecocardiografia e i marcatori sierici. Quando il caso diventa più complesso o richiede procedure avanzate come la risonanza magnetica cardiaca, la biopsia endomiocardica o i test genetici, i pazienti sono indirizzati a centri di riferimento specializzati. In questi centri, esperti altamente qualificati completano l’iter diagnostico, attribuendo una diagnosi specifica al paziente. Fondamentale è anche poi la presa in carico inversa del paziente. Una volta raggiunta la diagnosi di malattia e impostata la terapia specifica il paziente deve essere riferito nuovamente al cardiologo del territorio che dovrà continuare ad interagire con gli esperti dei centri di riferimento per la gestione delle problematiche del paziente.