La medicina nell’era di internet: tra soluzioni fast, “tuttologia” e misunderstanding
Dica trentatrè
“Medico: persona alla quale guardiamo fiduciosi quando siamo malati e ringhiamo sospettosi quando stiamo bene” Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911
Mini viaggio tra delizie e dolori di un camice bianco alla prese col paziente “informato”
“Salve dottore, ho la laringite.” “Una compressa di diuretico è troppo per me, va bene mezza? È ormai raro il paziente “naive” che giunge in ambulatorio riferendo nient’altro che il sintomo che lo ha condotto lì: la tosse per esempio. Il paziente moderno non vuole farsi cogliere “impreparato”: inizia a leggere qua e là, parla col vicino di casa, segue con interesse quella nuova rubrica televisiva di medicina. Immancabile poi l’ausilio di Dottor Google (chapeau!). A cercare di capir meglio, per carità, non vi è nulla di male. A patto che ci si fermi all’ambito, per così dire, gnoseologico. E invece no. Ridendo e scherzando “ci scappa la diagnosi”. Dietro quest’affermazione “ho la laringite” (ipse dixit!) ci sono arguti chiacchiericci e alla fine la “diagnosi” non può che essere quella. C’è chi tra i colleghi reagisce male: è il frutto di una crescente sfiducia verso la categoria medica; ma c’è chi, più caparbio, cerca di vederci chiaro perché la realtà va sempre letta a fondo e tra le righe. Perché il paziente non riesce più a “fare il paziente”? Il rapporto medicopaziente si è nel tempo evoluto col passaggio da una concezione rigida al coevo modello di interazione fluida, biunivoca nel quale il risultato finale necessita di un continuo feedback e corrisponde a molto più della somma algebrica dei singoli messaggi. Un’efficace comunicazione costituisce la conditio sine qua non per la costruzione del rapporto di fiducia necessario all’instaurarsi del processo diagnostico-terapeutico. In soldoni, molto prima che il paziente ci lasci “fare il nostro mestiere” è necessario che quest’ultimo si fidi e si affidi a noi medici. Lungi dal trattarsi di una fiducia cieca, il paziente osserva il micro e macroscopico, analizza i dettagli a livello conscio e subconscio e ricerca una serie di qualità per lui imprescindibili per “l’affidamento” nonché per la nostra presa in carico. Sarà richiesto al professionista di conoscere approfonditamente la sua branca di specializzazione, di essere costantemente aggiornato sulle ultime novità scientifiche, nonché di aver maturato abbondante (e preziosa) esperienza sul campo. Ma le doti professionali e intellettive da sole non bastano e non possono essere subordinate al piano “umano”. Il buon medico non può permettersi di essere un “genio asettico” ma dovrà imparare a gestire al meglio e a dosare la sua “emotività”, sfera alla quale non potrà sottrarsi, mai del tutto. Tale capacità non si apprende sui libri di testo ma si matura giorno dopo giorno, tanto in corsia quanto nella vita privata, dove, al termine di una serie di tentativi riusciamo a trovare il nostro personale “modello comunicativo” ovvero sviluppiamo una capacità relazionale funzionale, un registro di comunicazione equilibrato e suscettibile di successive modifiche. Il medico in corsia impara a ragionare per priorità. Una di queste, non secondaria, è che il paziente comprenda sempre quanto gli sta accadendo. L’ansia e tutte le emozioni negative che la malattia porta con sé non possono essere ignorate né trascurate. La malattia, a volte purtroppo, è l’anticamera della morte e forse proprio questa cruda consapevolezza ci esorta ogni giorno ad avere il massimo rispetto della vita. Ma il paziente è e deve rimanere tale: può di certo informarsi in quanto capire lo aiuterà a non sentirsi “in balia” della malattia. Conoscere e comprendere diventano quindi momenti fondamentali a patto che non pretendiamo che sia Dottor Google a “chiarirci le idee”; ben venga, piuttosto, un secondo e/o un terzo consulto qualora non si sia “convinti”, tutto purché si eviti di cadere nelle trappole di cui sono zeppi i media, le quali inducono a confondere, banalizzare e inquinare termini, sintomi, pazienti e patologie. La medicina è una scienza, dunque come pretendere di discuterla nei talk show o di ottenere una “laurea fast” dopo un’ora di navigazione nel web? Del resto chi chiederebbe al proprio commercialista di sostituirsi al meccanico di fiducia? O al medico di progettare un edificio? O all’architetto di eseguire una delicata operazione chirurgica a cuore aperto? Ecco alcuni esempi perfetti di quanto diventi fuori luogo pretendere di acquisire conoscenze mediche (vere ed evidence based) confrontando (o meglio leggendo al volo) la moltitudine di fonti (non sempre e non tutte attendibili) provenienti dal web. Anche perché la cultura non è mai stata un insieme di nozioni ma piuttosto la loro rielaborazione critica e possederle e padroneggiarle richiede anni di studio, pratica e apprendimento che dura una vita intera. Riappropriamoci dunque della comunicazione di qualità con esperti del campo, preferibilmente in carne ed ossa, che possano realmente dissuadere dubbi con certezze. Se il paziente deve affidarsi al medico è chiaro che quest’ultimo deve anch’esso in qualche modo “guadagnarsi” tale fiducia: è necessario porre il paziente al centro della relazione comunicativa e che ogni messaggio sia aperto, chiaro e privo di “ombre”; bisogna incoraggiarlo a porre domande altrimenti, per paura o per timidezza, andrà a ricercare quelle risposte chissà dove. Qualsiasi proposta terapeutica non potrà, infine, prescindere dall’esplicita espressione del consenso informato, atto che suggella la presa di coscienza del paziente e dunque il suo “affidarsi” nelle mani del curante. Questo “patto” ha una valenza cardine e rappresenta il primo passo di un lungo percorso, ma che è, forse, il più importante in assoluto. Vale la pena sottolineare come comunicare sia sempre un atto alquanto “delicato”, del quale fare un uso oculato: comunichiamo sempre, anche in silenzio. L’unica cosa forse impossibile è proprio la “non comunicazione”: i linguaggi verbale, paraverbale e non verbale parlano di noi, per noi e talvolta in nostra vece. Sarà dunque utile imparare a gestirli in maniera efficiente ed efficace per non lasciare nulla al caso.