Interessante riflessione filosofica e morale su quali siano i limiti fino a cui un uomo può spingersi per evitare avvenimenti tragici a danno della collettività
Javier Marías scrive un racconto di spionaggio nel quale il protagonista Tomás dovrà far fronte a complessi dilemmi morali
L’ultimo romanzo di Javier Marías, mancato proprio in questi giorni di settembre, è un romanzo denso e complesso, che permette al lettore di approfondire e di entrare nella vita di Tomás Nevinson, il protagonista maschile conosciuto nel suo precedente capolavoro “Berta Isla”. I due libri vanno visti come un dittico e pertanto non è necessario aver letto il precedente per apprezzare “Tomás Nevinson”, che risulta essere una storia autonoma e compiuta, dotata di vita propria. Ritorna Tomás, uno dei personaggi più tormentati di Marías, prigioniero di una solitudine senza scampo, un uomo alla costante ricerca della propria identità originaria, smarrita negli anni a causa del suo lavoro di agente segreto che lo ha costretto a rivestire le personalità più disparate, a seconda della missione affidatagli in un dato periodo. Dal momento in cui è tornato a Madrid dopo tanti anni di servizio, Tomás si concede un periodo di inattività e riesce pertanto a riallacciare un debole legame con la moglie Berta a lungo trascurata. È proprio in questo momento di calma apparente che Tomás viene ricontattato dal suo enigmatico e collerico ex capo Bertram Tupra e, sebbene riluttante, decide di accettare una nuova missione, di fronte alla quale non è in grado di tirarsi indietro: il compito che gli viene affidato consiste nell’individuare la persona responsabile di alcuni sanguinosi attentati dell’Eta – con forti legami con l’IRA nord irlandese a partire dalla segnalazione di tre donne identificate e sospettate. L’indiziata, che Tomás dovrà scoprire e uccidere, è una donna che per anni si è nascosta e vive la sua esistenza sotto falso nome, in una piccola città del nord-ovest della Spagna. La vicenda si svolge nel 1997 a Ruán, cittadina a cui è attribuito un nome di fantasia, dove Tomás si trasferisce sotto falsa identità con il nome di Miguel Centurion e dove vivono le tre donne indiziate, Inés Marzán, Celia Bayo e María Viana. Una di loro, a detta del determinato Tupra, che impartisce ordini a Tomás senza alcuna remora, è di certo la terrorista Marías Magdalena Orúe O’Dea, un’irlandese con sangue spagnolo, colei che, dieci anni prima, ha preso parte ad alcuni dei più sanguinosi attentati dell’ETA in Spagna e che, proprio per le sue origini miste, rappresenta pienamente l’organizzazione armata. Sullo sfondo di fatti realmente accaduti negli anni in cui la Spagna ha subito gravi colpi a causa degli attentati dei separatisti baschi, Marías descrive il tormento morale di Tomás, un uomo costretto dal proprio lavoro a scegliere di porre fine alla vita di una delle tre donne per impedire che possa ripetere i crimini di cui si è macchiata anni prima. Mesi di indagini e appostamenti, osservazioni e intimità con le tre donne, potrebbero non bastare a Tomás per individuare con certezza la responsabile dei delitti. Nel caso in cui il tempo non fosse sufficiente, Tupra sostiene che non esiterà a far uccidere tutte e tre le sospettate. La struttura narrativa e la vicenda sono perfettamente annoverabili nel genere spionistico, ma questo romanzo, articolato su più piani narrativi, è molto più stratificato e complesso poiché l’autore scava in profondità nella psiche dei personaggi e conduce un’interessante riflessione filosofica e morale su quali siano i limiti fino a cui è lecito spingersi – persino uccidere una o più persone? – per impedire che venga fatto del male a più esseri umani, per esempio per mezzo di un atto terroristico. Ogni azione porta con sé innumerevoli dilemmi morali e questo lo sa bene Tomás, che si domanda in continuazione se l’uccisione di una donna che ha commesso dei crimini possa divenire un atto “lecito” per evitare stragi future e se un omicidio possa addirittura diventare un “vantaggio” per l’intera umanità. La narrazione, ricca di incisi e di citazioni – in particolare di interi brani dal “Macbeth” dell’amato Shakespeare -, procede attraverso le numerose digressioni del protagonista, che parla di sé in prima e terza persona, a evidenziare lo sdoppiamento interiore che lo caratterizza, e coinvolge il lettore facendolo riflettere su temi importanti per ogni essere umano, quali il tempo e il suo scorrere inesorabile, la morte del singolo e della collettività, le relazioni e la fiducia in se stessi e negli altri. Come un puzzle da migliaia di pezzi, che va definendosi man mano che i tasselli vengono incastrati al loro posto, questo libro ha la capacità di far sì che il tempo si dilati lentamente creando una piacevole sospensione, preambolo di un culmine narrativo che arriverà soltanto alla fine del romanzo.