L’Intelligenza Artificiale (IA) è la disciplina che studia la capacità dei sistemi informatici di simulare l’intelligenza umana, supportando la stessa in compiti complessi. Lo sviluppo tecnologico delle ultime decadi ha consentito l’applicazione dell’IA in numerosi campi, ivi compreso quello medico. Nelle branche mediche l’IA può essere uno strumento in grado di integrare l’abilità dei clinici al fine di migliorarne la performance nella pratica clinica, specie in ambiti complessi. L’IA ha dimostrato, ad esempio, di poter favorire la diagnosi eziologica di malattia, con tutto ciò che ne consegue in termini di miglioramento dell’iter preventivo e diagnostico del paziente. Le difficoltà diagnostiche delle malattie complesse La diagnosi eziologica di malattie complesse e a bassa prevalenza quali le cardiomiopatie è spesso resa difficile dalla necessità di mettere insieme dati di diversa provenienza (clinici, laboratoristici e strumentali), spesso scarsi o poco specifici, raccolti in tempi diversi e valutati con un processo di iterativo necessario per il sorgere del sospetto diagnostico. L’IA può supportare il clinico in questo processo al fine di favorire il riconoscimento di una specifica patologia nell’ambito di una popolazione in studio a partire dall’identificazione e dalla connessione di quei segni e sintomi che rimandano ad essa (red flags diagnostiche). Il risultato finale è in genere espresso in modo classificatorio (es. presenza/assenza di malattia) o probabilistico (es. probabilità che un certo sottogruppo presenti la malattia). La amiloidosi cardiaca rappresenta, in tal senso, un esempio paradigmatico delle difficoltà diagnostiche che si possono incontrare qualora occorra individuarla in una data popolazione di studio. Tuttavia, essa può essere al contempo anche un esempio dell’utilità dell’impiego dell’IA in questo campo. Per lungo tempo considerata rara, complessa e sostanzialmente intrattabile, negli ultimi anni le novità in ambito di diagnosi e trattamento hanno invece profondamente modificato la percezione della amiloidosi cardiaca da parte dei clinici. Ciononostante, la amiloidosi cardiaca è ancora ad oggi largamente sotto diagnosticata. Anche grazie agli avanzamenti in ambito di diagnosi non invasiva, il processo diagnostico è stato reso più agevole negli ultimi anni. Il principale fattore limitante la diagnosi resta quindi la difficoltà nel far sorgerne il sospetto di amiloidosi nella mente del clinico: la aspecificità delle manifestazioni cardiovascolari, la sovrapposizione delle manifestazioni fenotipiche con altre forme a maggior prevalenza nella popolazione generale, e la difficoltà nel riconoscimento di segni e sintomi extracardiaci da parte di clinici meno esperti in cardiomiopatie sono tutti fattori che influiscono negativamente in tal senso. Tali difficoltà diagnostiche sono a loro volte responsabili del ritardo diagnostico, poco tollerabile se si considera l’attuale disponibilità di trattamenti tanto più efficaci quanto più precocemente posti in atto. Si stima, infatti, che il tempo medio tra l’insorgenza delle manifestazioni di malattia e la diagnosi eziologica va dai 6 mesi ai 5 anni. È intuitivo che il numero e la precocità delle diagnosi possa aumentare qualora il paziente sia intercettato in una fase precoce da un cardiologico esperto di amiloidosi cardiaca. A tal fine è nata negli ultimi anni l’esigenza di costruire sistemi che facilitino il precoce riconoscimento della malattia partendo dai diversi scenari con cui essa può presentarsi.
L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nella diagnosi di malattie complesse
In medicina la maggior parte dell’analisi da parte degli algoritmi derivati dall’IA si basa o su dati numerici (es. dati clinici derivati dal monitoraggio dei parametri vitali) o di imaging (es. frame ottenuti dall’imaging radiologico e non). I modelli di machine learning sono quelli maggiormente impiegati in campo medico. Essi si basano sull’impiego di algoritmi in grado di apprendere determinate funzioni a partire da un insieme di dati senza che questi siano stati codificati a tale scopo a priori. Gli algoritmi possono analizzare un ampio numero di dati (es. clinici, laboratoristici, elettrocardiografici e di imaging), imparando nel contempo a riconoscere delle variabili (es. red flags) e sviluppano un modello in grado di predire un risultato finale in base alle connessioni riscontrate fra queste (es. probabilità di amiloidosi in un dato sottogruppo che presenti più red flags). Un algoritmo è quindi “intelligente” proprio perché, come fa il clinico durante la sua formazione e poi la sua pratica clinica, è in grado di imparare dall’esperienza e sulla base di questa è in grado di fare una predizione o di rispondere ad un certo quesito, come ad esempio individuare una specifica malattia (es. amiloidosi cardiaca) in un certo ambito (es. fenotipo ipertrofico). In epoca molto recente sono comparsi in letteratura i primi studi che hanno impiegato l’IA nella diagnosi d’amiloidosi cardiaca impiegando dati numerici o di imaging estrapolati dai processi diagnostici della pratica clinica. Garcia – Garcia et al. sono partiti dai dati numerici ottenuti dalle schede cliniche di ammissione e dimissione di circa 11.600 pazienti con più di 65 anni ricoverati nella decade che va dal 2009 al 2019. Di questi, 36 pazienti avevano una diagnosi finale di amiloidosi cardiaca e sulla base delle caratteristiche di questi è stato costruito un algoritmo per il riconoscimento della malattia nel resto della popolazione in studio. I modelli costruiti si sono dimostrati abili nell’individuare i soggetti con amiloidosi cardiaca, specie nel sottogruppo dei pazienti con segni e sintomi di scompenso cardiaco. I dati d’imaging da cui partire per la costruzione di algoritmi che facilitino la diagnosi d’amiloidosi cardiaca possono essere estrapolati da numerose fonti: esami ecocardiografici, esami scintigrafici e/o SPECT, esami di risonanza magnetica cardiaca. Di seguito descriviamo alcuni esempi. Duffy et al. hanno sviluppato un algoritmo basato sul deep learning che, a partire dai frame di immagini ecocardiografiche ottenute dalla sezione 4 camere apicale di 23.745 pazienti, ha dimostrato di poter riconoscere fra questi i soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra (attraverso la misurazione dello spessore del setto interventricolare) e di classificare correttamente in questo sottogruppo i soggetti con diagnosi specifiche (quali la cardiomiopatia ipertrofica e la amiloidosi cardiaca). Esistono ad oggi diversi modelli di deep learning basati su reti neuronali convoluzionali (convolutional neuronal network, CNN) che si sono dimostrati in grado di riconoscere e discriminare l’iperaccumulo miocardico dei tracciati ossei impiegati in esami scintigrafici eseguiti con indicazioni non cardiologiche (prevalentemente di natura oncologica). Halme et al. hanno testato un nuovo modello basato su CNN in grado di riconoscere e discriminare l’iperaccumulo miocardico del radiotracciante secondo lo score visuale di Perugini a partire da esami scintigrafici condotti su 1334 pazienti. Questi modelli hanno dimostrato una performance diagnostica non inferiore a quelli già esistenti e si sono dimostrati in grado di distinguere accuratamente fra esami negativi (score di Perugini < 2) e positivi (score di Perugini ≥ 2). Ciò dimostra il potenziale diagnostico di modelli in grado di favorire col loro impiego una diagnosi precoce di amiloidosi cardiaca da transtiretina anche quando applicati ad esami scintigrafici non eseguiti per tale finalità. Un lavoro del 2020 condotto dal gruppo italiano di Pisa ha testato l’impiego di algoritmi ottenuti col deep learning per la predizione automatizzata della probabilità di amiloidosi cardiaca su immagini di caratterizzazione tissutale con late gadolinium enhancement in 206 esami di risonanza magnetica eseguiti per sospetta amiloidosi. Questa strategia di deep learning è stata confrontata con algoritmi basati sul machine learning in cui le caratteristiche di risonanza suggestive di amiloidosi cardiaca sono state scelte manualmente in modo da riprodurre la lettura dell’esame da parte di un operatore esperto. L’algoritmo di deep learning ha dimostrato una performance diagnostica per la diagnosi d’amiloidosi cardiaca da immagini di risonanza sovrapponibile alla strategia basale sul machine learning.
I limiti dell’uso dell’Intelligenza Artificiale in medicina
Nonostante questi interessanti e promettenti dati preliminari, l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale in medicina ha tuttavia ancora numerosi limiti.
- La ritrosia della comunità medica giustificata da vari fattori fra i quali:
– la scarsa dimestichezza dovuta alla mancata formazione in questo ambito e l’assenza di percorsi formativi specifici;
– l’incremento della burocrazia che ruota intorno alla digitalizzazione dei dati;
– la mancanza di leggi che regolamentino l’applicazione dell’IA nei vari scenari clinici;
– l’erronea concezione che l’Intelligenza Artificiale si contrapponga al clinico e possa in futuro minare la sua autonomia nella pratica quotidiana. - Le difficoltà nella validazione delle tecnologie basale sull’Intelligenza Artificiale fra le quali:
– l’errato disegno di molti trials finora prodotti, che perlopiù hanno validato gli algoritmi in specifici settori proponendo il confronto dell’IA in contrapposizione alle abilità del clinico, laddove l’IA andrebbe interpretata invece come un ausilio complementare ad essa;
– la necessità di conoscere da parte degli enti regolatori i complessi presupposti matematici alla base degli algoritmi, progettati in genere su dati poi non impiegati per la validazione, impiegati al fine di poter verificarne la correttezza dell’impiego, contrastata dalla necessità delle aziende di preservate il segreto industriale considerando un sistema, quale quello attuale, non open source ma basato sul profitto e la concorrenza;
– il disegno prevalentemente retrospettivo degli studi condotti sull’IA e l’impiego di campioni di piccole dimensioni, laddove l’IA richiede l’impiego di popolazioni molto numerose da cui estrarre dati di sottopopolazione al fine di evitare il fenomeno dell’overfitting, ovvero la capacità di performare in modo ottimale in un dato dataset e di non riprodurre lo stesso risultato su dataset diversi;
– la necessità di continue rivalutazioni e calibrazioni degli algoritmi adottati in un certo setting al fine di limitare le fluttuazione delle differenze demografiche nelle diverse popolazioni e cosi di ridurre il rischio dell’overfitting. - Le implicazioni etiche dell’impiego dell’Intelligenza Artificiale nella pratica clinica che sono numerose:
– il rischio della depersonalizzazione della pratica medica;la necessità di regolamentare i dati clinici sensibili, del singolo paziente e della popolazione, che provengono da varie fonti (monitoraggio continuo dei parametri vitali, raccolta dei dati laboratoristici e strumentali durante la pratica clinica);
– la necessità di definire la proprietà intellettuale degli stessi e di assicurarne la sua protezione, una notevole sfida etica, legale e politica al giorno d’oggi.
Nonostante tali limiti, e nonostante si sia ancora agli albori dell’impiego dell’IA in medicina, è innegabile l’enorme potenziale di questa e il ruolo che essa potrebbe avere nei prossimi anni in setting quali la diagnosi di precisione, la diagnosi precoce e lo screening di popolazione.