Una breve rassegna dei principali studi sull’igiene climatica
Gli effetti della temperatura ambientale sulla mortalità e sull’incidenza delle principali patologie cardiovascolari
Introduzione
Il riscaldamento globale e le alterazioni metereologiche che ne conseguono comportano un aumento delle temperature medie ambientali associate ad una maggior fluttuazione termica con picchi stagionali più pronunciati e fenomeni climatici estremi1. È stato osservato come l’incidenza di alcune comuni patologie quali la sindrome coronarica acuta non abbia un andamento costante nel tempo ma sia governata, in un certo qual modo da un ritmo circadiano, circasettiano e circannuale2. A tal proposito un crescente filone di ricerca si è prefissato di studiare la relazione esistente tra alterazioni climatiche ed incidenza di alcune patologie in particolar modo quelle coinvolgenti l’apparato respiratorio e cardiovascolare. Sebbene molti siano i parametri metereologici che entrano in gioco nella definizione del clima, le maggiori evidenze in letteratura riguardano la temperatura ambientale. Diversi studi hanno infatti analizzato l’effetto della temperatura in relazione alla mortalità generale, l’ospedalizzazione, la mortalità e l’incidenza di malattie cardiovascolari ottenendo risultati differenti a seconda del parametro preso in oggetto3.
I dati sulla mortalità
Per quel che concerne la mortalità generale e l’ospedalizzazione per cause non accidentali si evidenzia come per temperature più alte e più basse di una certa fascia termica si avrebbero un maggior numero di eventi, mettendo in luce pertanto un effetto dannoso sia del clima caldo che di quello freddo. La temperatura ottimale a rischio minimo non può essere definita in maniera costante ma cambia a seconda della zona climatica presa in considerazione all’interno di un range compreso tra 15-25 gradi4-5-6. Questa variabilità con soglie di mortalità differenti per il caldo e per il freddo dipenderebbe almeno in parte dall’adattamento degli abitanti alla temperatura del luogo, che risulta tuttavia più efficace per le alte temperature rispetto alle basse temperature che presentano infatti minor eterogeneità tra popolazioni e climi diversi7. In accordo con tale ipotesi i dati di una interessante ricerca che ha preso in considerazione nazioni a clima differente hanno fatto emergere come la temperatura intorno alla quale si ha la minor incidenza di eventi corrisponderebbe all’incirca alla mediana termica del luogo solo nei paesi a clima caldo mentre in quelli a clima temperato o freddo si collocherebbe attorno o addirittura oltre l’ottantesimo centile termico annuale4. Parlando più specificatamente di mortalità cardiovascolare uno studio recentemente pubblicato riportante i dati di oltre 500 città sparse nei 5 continenti conferma quanto evidenziato per la mortalità generale, ovvero una relazione non lineare tra temperatura ambientale e mortalità evidenziando tuttavia temperature a minor mortalità ancora più calde, attorno al 90 esimo centile di temperatura, con ascesa degli eventi più ripida per temperature maggiori rispetto a quelle minori di questo limite8.
I dati sull’incidenza
Prendendo in considerazione l’incidenza di patologie cardiovascolari, soprattutto angina ed infarto miocardico acuto (IMA) nella maggior parte degli studi, condotti in zone climatiche anche molto differenti tra loro, si riscontra una correlazione lineare di proporzionalità inversa tra temperatura ed eventi. Secondo uno studio che ha preso in considerazione oltre 3.000 casi nel Nord della Francia l’incidenza di IMA e morte da evento coronarico aumenterebbe del 13% per una riduzione della temperatura ambientale di 10 gradi9. Tale correlazione sarebbe confermata da studi condotti in regioni a clima generalmente più freddo come la Svezia10 ed anche in due analisi estese ad aree rurali della Grecia11 e Taiwan12 caratterizzate rispettivamente da clima continentale temperato e tropicale. I risultati dimostrano che ad 1°C in meno corrisponde un aumento dell’incidenza di IMA variabile tra l’1 e l’1,5%, dipendente dalla fascia d’età considerata e dalle comorbidità. I soggetti di età maggiore di 60 anni, così come quelli ipertesi risulterebbero generalmente più colpiti12. In riferimento a studi condotti in Italia Abrignani e collaboratori analizzando gli accessi per infarto miocardico acuto ed angina in un ospedale della Sicilia occidentale hanno osservato un picco invernale sebbene per quanto riguarda l’angina la relazione sia stata evidenziata solo nei maschi13-14. Uno studio pugliese ha evidenziato un aumento delle ospedalizzazioni per patologia cardiovascolare per temperature comprese tra 8 e 10 gradi e maggiori di 2815. Per quanto riguarda lo scompenso cardiaco le evidenze sono più limitate, un recente studio mette in evidenza come il clima freddo sia direttamente correlato alle ospedalizzazioni soprattutto per quanto concerne i fenotipi a frazione d’eiezione preservata e moderatamente depressa16. Riguardo alla mortalità, l’analisi sopracitata di Alhamad e collaboratori, in cui gli eventi per scompenso erano circa il 10% del totale dei decessi, mette in evidenza ancora una volta una correlazione non lineare “a U” con effetti nocivi agli estremi della temperatura8. Le ragioni per cui ad un innalzamento della temperatura corrisponde un aumento della mortalità generale ed anche cardiovascolare ma non un evidente aumento dell’incidenza di eventi in gran parte degli studi, come è stato invece dimostrato per il clima freddo, non è del tutto chiara, potrebbe essere spiegata dal fatto che le temperature torride nei soggetti predisposti potrebbero celermente condurre a morte cardiovascolare prima che questi raggiungano l’attenzione medica o vengano ospedalizzati17. Andando poi a considerare i tempi di latenza e la durata dell’effetto si evince come le conseguenze del clima caldo si verifichino pressoché immediatamente rispetto a quelle del clima freddo che impiegano circa 2-4 giorni ma siano meno durevoli conducendo pertanto ad un numero inferiore di eventi5-18, deleteri per i soggetti più fragili soprattutto all’inizio dell’ondata di caldo19.
Fisiopatologia
Gli effetti del freddo sono principalmente correlati all’aumento delle catecolammine circolanti secondario all’attivazione dei termocettori cutanei con conseguente vasocostrizione ed aumento della pressione arteriosa e del post-carico ventricolare20. Un’altra possibile concausa sembra derivare dallo stato trombofilico indotto dal freddo8. Per quel che concerne il clima caldo il principale attore è la deplezione di volume secondaria alla sudorazione e all’iperventilazione che avrebbe come conseguenze l’attivazione del sistema ortosimpatico, l’iperviscosità ematica e la perdita di elettroliti21.
Conclusioni
L’approfondimento delle conoscenze epidemiologiche e fisiopatologiche in fatto di clima e salute cardiovascolare può da un lato portare allo sviluppo di programmi di protezione e quindi di prevenzione verso le fasce considerate più a rischio dall’altro di prevedere periodi di possibile sovraffollamento delle strutture e di mettere tempestivamente in atto misure di politica sanitaria volte a limitarlo. Dall’analisi di vari studi in materia emerge come l’incidenza di sindrome coronarica e scompenso cardiaco sia positivamente correlata soprattutto al clima freddo mentre per la mortalità generale e cardiovascolare emerge un’associazione sia per le alte che per le basse temperature.
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