La responsabilità del sanitario ai tempi del Covid-19

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La responsabilità del sanitario ai tempi del Covid-19

Probabilmente nessuno di noi lo avrebbe immaginato, ma a distanza di circa un anno dalla chiacchierata nella quale cercavamo di capire quale fosse il rapporto tra Stato e Regioni nella gestione emergenziale determinata dall’ormai famigerato virus Sars-CoV-2, ci ritroviamo a esaminare una delle conseguenze della pandemia ancora in atto che, come confermato dal diffondersi di nuove varianti, non pare essere ancora stata domata. In particolare, ci occuperemo dei riflessi in tema di responsabilità medica.
Sono sicuro che la nostra chiacchierata susciterà la curiosità dei nostri amici, impegnati essi stessi, in prima linea, nelle corsie degli Ospedali e per questo “coinvolti” sotto diversi aspetti dalla pandemia da Covid-19.
È proprio così! Tutto il personale sanitario, come ovvio, si è trovato a vivere la pandemia in maniera ancora più intensa rispetto ad un semplice cittadino: il diffondersi di un virus nuovo, ed in quanto tale del tutto sconosciuto, ha non solo determinato la esposizione dei medici e degli operatori sanitari in genere ad un più alto rischio di contagio – come confermato dal numero dei colleghi che hanno perso in tal modo la vita – ma anche l’insorgere, ancora una volta, di problematiche legate a quella che è tratto distintivo dell’attività medica: la responsabilità.
E già. Si potrebbe dire che non c’è aspetto del’attività medica che non si correli a profili di responsabilità e tanto più in una condizione di assoluta eccezionalità quale quella ancora in atto. Ci sono quindi novità che ci riguardano? E quali?
Assolutamente si! Il tema della responsabilità è stata oggetto di un apposito, recente intervento legislativo, il decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito in legge 28 maggio 2021, n. 76, i cui artt. 3 e 3-bis rilevano ai nostri fini.
Qual è il rapporto con la legge Gelli-Bianco?
Giusta domanda! Ricordiamo innanzitutto che la c.d. legge Gelli-Bianco, ossia la legge 8 marzo 2017, n. 24, costituisce la normativa generale di riferimento in tema di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie ed interviene tanto con riferimento all’ambito civilistico che a quello penalistico. Le due disposizioni delle quali parleremo a breve, invece, intervengono con specifico profilo alla responsabilità penale, e con specifico riferimento alle fattispecie di omicidio colposo e lesioni colpose.
Si tratta quindi di un intervento che completa la legge Gelli-Bianco?
Potremmo dire di sì: soprattutto, per come hanno evidenziato alcuni autori in dottrina, è una legge che ha un forte significato simbolico, che in qualche misura vuole rassicurare gli operatori sanitari che nello svolgimento della propria attività professionale si confrontino, a diverso titolo, con il Covid.
Vediamo quindi cosa sanciscono queste disposizioni?
Certamente! Iniziamo quindi con il dire che le due disposizioni richiamate prendono in esame due profili differenti. L’art. 3, infatti, interviene in tema di “Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti Sars-CoV-2”, mentre l’art. 3-bis, che è stato introdotto in sede di conversione del decreto legge, disciplina la “Responsabilità penale per morte o lesioni personali in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19”. Prima di esaminarne il contenuto, mi pare peraltro opportuno richiamare l’attenzione sul tipo di fonte che contiene la relativa disciplina: il legislatore è infatti intervenuto con decreto legge il cui utilizzo è ancorato alla sussistenza di casi straordinari di necessità e di urgenza che rendono possibile l’esercizio, in via provvisoria, del potere normativo da parte del Governo. Si tratta quindi di un testo legislativo che è stato adottato in prima battuta da parte del governo e soltanto successivamente fatto oggetto di controllo, come necessario, da parte del Parlamento, in sede appunto di conversione. Quanto al relativo contenuto, come intuibile dalla rubrica delle disposizioni – il “titolo” per usare un’espressione non giuridica, ma di sicura percepibilità anche da parte dei non addetti ai lavori – il legislatore ha voluto dedicare un’attenzione specifica a due aspetti differenti e complementari.
Si è dedicata puntuale attenzione all’attività di vaccinazione, vero?
Proprio così. Il legislatore contempla, nella prima delle disposizioni delle quali stiamo parlando, la responsabilità connessa all’attività di vaccinazione. È intuitivo – tanto più ora che esamineremo il portato precettivo dell’articolo – come si tratti di una scelta fortemente simbolica, determinata dalla volontà di rassicurare i sanitari che siano impegnati nell’attività di somministrazione del vaccino e di porli al riparo da conseguenze pregiudizievoli nel caso si verifichino effetti collaterali, dalla gravità più o meno intensa, in danno del soggetto al quale venga inoculato il vaccino.
Insomma, la disposizione intende tutelare chi materialmente somministra il vaccino? Mi pare una scelta apprezzabile, tanto più ricordando come la cronaca purtroppo ci abbia informato di episodi anche molto gravi che, successivi alla somministrazione dei vaccini, quanto meno cronologicamente, hanno inciso anche sulla fiducia nella sicurezza dei vaccini stessi.
La situazione di fatto che ha determinato l’adozione della disposizione è esattamente quella alla quale ti riferisci. Quanto all’ambito soggettivo della disposizione – ossia ai soggetti ai quali si riferisce – essa in realtà introduce quello che è stato definito come “norma-scudo” non solo e non tanto per chi materialmente esegue l’iniezione muscolare, ma anche e soprattutto per i medici che procedono alla anamnesi dei vaccinandi ed alla raccolta del consenso informato.
Cosa prevede quindi la norma?
L’art. 3 sancisce l’esclusione della punibilità per i fatti di omicidio colposo e lesioni colpose verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in atto, laddove l’uso del vaccino sia conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della Salute relative alle attività di vaccinazione. La disposizione contempla una ipotesi di esonero in toto della responsabilità penale, significativamente definito come “lockdown della responsabilità”, che viene in rilievo al ricorrere di ben precise condizioni. Essa opera innanzitutto allorché si verifichi la morte o una lesione del soggetto vaccinato; si abbia causalità tra la somministrazione del vaccino e l’evento avverso; vi sia, soprattutto, conformità della condotta del sanitario alle regole cautelari, individuate, per espressa previsione normativa, in quelle complessivamente redatte dal complessivo sistema di c.d. farmaco-vigilanza nel cui ambito si inserisce la c.d. vaccino-vigilanza. Laddove dunque ricorrano questi presupposti – sui quali non possiamo dilungarci oltre, ma che hanno suscitato nella dottrina già numerosi interrogativi – il sanitario, secondo taluni, non dovrebbe neanche essere sottoposto a procedimento penale; comunque non dovrebbe essere punibile.
Ecco il perché della definizione “norma-scudo”. Dicevamo prima che interviene anche un’ulteriore disposizione, l’art. 3-bis, che ha una valenza più generale, vero?
Esatto. Laddove l’art. 3 si preoccupa dello specifico profilo della responsabilità connessa alla vaccinazione – radicalmente esclusa alle condizioni velocemente ricordate – l’art. 3-bis introduce invece una limitazione della responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica.
Come opera questa limitazione di responsabilità?
La scelta del legislatore si è diretta in una duplice direzione. Per un verso, infatti, assume rilevanza la sola colpa grave; nel secondo senso, è la stessa disposizione che fornisce criteri alla cui stregua valutare il grado della colpa. Rilevanti, in tal senso, devono dunque essere il livello delle conoscenze scientifiche delle quali si dispone in tema di cura e contrasto al Covid; le risorse, umane e materiali, delle quali si dispone per la attività di cura; il grado di specializzazione del personale del quale concretamente di dispone. Ne emerge un quadro che conferma, dunque, un atteggiamento di attenzione al dato concreto e volto a preservare i professionisti sanitari da profili di responsabilità legati non già ad un atteggiamento rimproverabile, ma determinati da oggettive condizioni di impossibilità e difficoltà nell’affrontare adeguatamente la cura e terapia contro il Covid.

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