Una problematica quotidiana per il cardiologo ospedaliero
Una questione solo apparentemente tecnica
Calcificazioni coronariche di grado moderato o severo sono presenti in circa 1\3 dei pazienti con coronaropatia significativa e generalmente individuano soggetti con maggiori comorbilità (diabete mellito, insufficienza renale cronica, vasculopatia periferica) e anatomie più complesse (malattia multivasale, del tronco comune, lesioni di biforcazione). Presenza ed estensione delle calcificazioni significativamente impattano sulle strategie di rivascolarizzazione delle stenosi coronariche:
- nel caso del by-pass aortocoronarico calcificazioni coronariche diffuse possono ostacolare il confezionamento di adeguate anastomosi vascolari, frequentemente sono causa di rivascolarizzazione incompleta e quando localizzate nella distalità dei vasi coronarici possono compromettere i benefici di by-pass realizzati più a monte.
- In caso di angioplastica coronarica (PCI), le lesioni calcifiche presentano importanti problemi tecnici: mostrano maggiore propensione alle dissezioni parietali, ostacolano l’avanzamento, la corretta espansione e apposizione dello stent, possono compromettere la integrità del polimero che rilascia il farmaco anti proliferativo.
Solo la ottimale “preparazione” della lesione calcifica mette al riparo da failure procedurali e riduce gli eventi avversi a distanza. Il trattamento delle stenosi coronariche calcifiche significative richiede la integrazione dei dati clinici con i risultati dell’imaging: l’opzione chirurgica deve essere presa in considerazione per lesioni calcifiche nel contesto di elevati valori di SYNTAX score; ma la PCI è una valevole alternativa per anatomie meno complesse e per casi ad elevato profilo di rischio chirurgico. La consapevolezza della complessità del trattamento delle lesioni calcifiche impone sia particolarmente accurata la valutazione del significato clinico ed emodinamico di queste lesioni, anche con eventuale estensivo impiego delle tecniche di fisiologia coronarica. La angiografia coronarica invasiva, la tecnica di fatto più utilizzata, ha elevata specificità per il riconoscimento delle calcificazioni coronariche, ma limitata sensibilità. Quando si programmi PCI di lesioni moderatamente o severamente calcifiche alla fluoroscopia, le tecniche di imaging intra-coronarico (IVUS e OCT) sono raccomandate dalle linee guida della Società Europea di Cardiologia, con gli obiettivi di:
- valutare estensione circonferenziale e spessore della placca calcifica, che sono i parametri di fatto essenziali per la scelta della più adeguata strategia di “preparazione”;
- valutare la corretta apposizione ed espansione dello stent.
L’IVUS ha minore risoluzione spaziale ma più alto grado di penetrazione assiale; la OCT meglio delinea la localizzazione superficiale o profonda della placca calcifica. Tecniche di aterectomia sono raccomandate quando l’arco di calcio è >270 ° e lo spessore > 500 micron. I tradizionali device di “preparazione” e trattamento delle lesioni calcifiche comprendono:
- palloni dedicati non complianti e “palloni ad alta pressione” (in grado di minimizzare il rischio di dissezioni della parete vasale sana) e “scoring balloon” e “cutting balloon” (che creano fessure all’interno della placca calcifica);
- sistemi di aterectomia (ovvero di rimozione della placca) che a loro volta includono a) la aterectomia rotazionale; b) la aterectomia orbitale; c) la aterectomia laser. La tecnica più innovativa, la Litotrissia, utilizza un palloncino endocoronarico in cui due emettitori trasformano la energia elettrica in potenti onde acustiche circonferenziali che penetrano fino nello strato medio del vaso fratturando la placca calcifica profonda e rispettando i tessuti sani. I vari device hanno meccanismi di azione differenti, differente incidenza di complicazioni, differenti target: il calcio superficiale per la aterectomia rotazionale e orbitale, il calcio profondo per la litotrissia, il calcio incarcerato sotto le maglie dello stent per il laser. Pertanto i diversi device devono considerarsi complementari piuttosto che alternativi, come dimostra la tecnica della Rotatrissia che prevede l’uso combinato e sequenziale di aterectomia rotazionale seguita da litotrissia per lesioni calcifiche non crossabili con i comuni device.
Non vi sono studi randomizzati che dimostrino la superiorità delle tecniche di ablazione rispetto ai “palloni speciali” ma queste hanno ruolo ineludibile quando le tecniche standard non attraversino o non “preparino” adeguatamente le lesione. In tutti i casi deve comunque essere dispiegato il meglio dell’armamentario terapeutico (farmacologico e non) per la prevenzione secondaria degli eventi cardiovascolari (statine ad alta intensità, potenti terapie antiaggreganti, etc).
Bibliografia
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