Un ricordo per un insostituibile amico e collega: Claudio Rapezzi

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Un ricordo per un insostituibile amico e collega: Claudio Rapezzi

Claudio Rapezzi non è più con noi! Ricordarlo non è difficile. Chi di voi non ha conosciuto Claudio Rapezzi? È, però, molto triste. Ancora di più per me, uno dei suoi amici storici. Ci conoscevamo da almeno 40 anni, abbiamo condiviso molte cose e, ultimamente, ci vedevamo tutti i giorni. È difficile ricordarlo in modo non banale. Non avrebbe apprezzato una descrizione del suo curriculum vitae, un plauso scontato di quanto fosse bravo. Insomma, una sorta di necrologio. È inutile soffermarsi sulla capacità di sintesi, l’innata ironia, le allusioni, la possibilità di spaziare a 360 gradi su tutta la cardiologia, le associazioni lampo, l’ammaliante cadenza emiliana che rendeva piacevole e fresca la più banale delle relazioni. Claudio Rapezzi non era mai banale, era Lui. Quindi, come ricordarlo? Da vivo. E, perché no, attraverso qualche aneddoto, episodio, e la voce di persone che lo hanno conosciuto e gli sono affezionate. Ho raccolto alcuni messaggi, chiamato qualche suo amico e ho chiesto di raccontarlo. Ecco il risultato.

Pietro Sangiorgio, cardiologo: ci siamo conosciuti da studenti, coagulati intorno al prof. Labriola con Marinella (poi sua moglie) e Flavia. È difficile dire se siamo stati compagni di studio. Alcuni esami li abbiamo programmati insieme, ma Claudio non ha mai condiviso con noi le ore di studio. È subito emersa quella sua capacità di assimilare e intuire in modo rapido ogni cosa. Gli bastava un’occhiata su una pagina o un capitolo per assorbire ogni concetto e farne una elaborazione analitica. Nonostante ciò, non è mai stato distante da noi che lo osservavamo con stupore. Per lui è stato naturale avvicinarsi a noi con simpatia; mi vengono in mente alcune sue battute boccaccesche non ora riportabili, attraverso le quali lo si riconosceva uguale a noi in modo scanzonato. Il libro non lo studiava, se ne appropriava e lo rendeva parte della sua mente geniale. Lo vedo tenere il libro fra le mani e far scorrere le pagine sotto il suo naso, per aspirarne non solo l’odore della carta, che diceva di amare, ma anche l’essenza di quello che era scritto. Questo è per me Claudio nella sua grandezza, semplicità e nella sua ironia spesso dissacrante. Lo terrò gelosamente nel mio cuore e nella mia mente.

Marco Bonvicini, cardiologo pediatra: l’ho conosciuto quando era ancora studente, con Marinella. Frequentavano la medicina interna con il Prof Labriola. Sono entrambi entrati in “Istituto” come cardiologi pediatrici. Ricordo che erano circa le due di notte, stavamo facendo un cateterismo (una tetralogia di Fallot). Finito, stanchi ma contenti, siamo andati in un bar, saranno state le 5 (allora i cateterismi erano una “cosa seria”). Era una bella mattina, un’alba bolognese e noi, felici, ci siamo detti “siamo fortunati a lavorare in cardiologia pediatrica”. Al tempo, la cardiologia dell’adulto era noiosa (niente ecografia, o cardiologia interventiva), mentre le cardiopatie congenite necessitavano di un ragionamento diagnostico deduttivo che a Claudio piaceva molto. Faceva diagnosi di ventricolo unico da un elettrocardiogramma! Poi, passo passo, si è interessato a tutta la cardiologia per esplodere con le cardiomiopatie e l’amiloidosi. Ho sempre pensato che avrei dovuto avere un registratore in tasca, perché se gli chiedevi un consiglio su come impostare una relazione, te la snocciolava “perfetta”, ipso facto. Quando faceva lezione era un divertimento per gli studenti “tirava fuori il fuoco da tutti”. E poi, Roberto, non sarà un caso se quella sera ci siamo ritrovati assieme in TIC a salutarlo, a toccarlo. Era troppo per noi.

Flavia Robotti, psichiatra: Fin da quando studiavamo insieme si capiva dove sarebbe arrivato. Lo ricordo nella mia stanza in piedi, nel suo maglioncino blu scuro (indossava con noncuranza solo quel colore) con un libro in mano che sfogliava rapidamente “Ragazzi, siamo pronti, andiamo alla sessione della prossima settimana” “Pronti? Ma cosa dici Claudio?” Ci siamo laureati, noi, i 4 ragazzi di Labriola, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro nel luglio 76. Insieme in ospedale, insieme agli esami, insieme ora…

Ernesto Labriola, internista: un classico caso di quando l’allievo supera di gran lunga il maestro. Era indeciso se fare cardiologia, neurologia o psicologia. Avrebbe spopolato comunque.

Aldo Maggioni, cardiologo trialista: Durante una festa che avevo organizzato a Frassinello Monferrato, in Piemonte, ho offerto spumante (rigorosamente metodo champenois) e mortadella finemente affettata. Ne è nata una “conferenza”. Claudio, da bolognese, sosteneva che bisogna servirla a cubetti. “Affettata vs cubetto”. La disputa si è conclusa, a mio favore, a Bologna in uno dei ristoranti preferiti da Claudio “L’Osteria Bottega”. L’oste l’ha servita affettata, il più fine possibile per esaltarne il profumo! Un altro episodio che ricordo con piacere ci porta ad Amburgo. Eravamo andati con un gruppo di amici, a trovare Roberto Spadoni, cardiologo scultore e storico amico di Claudio. Era presto, troppo presto per fare la colazione in albergo. Siamo così andati in un bar, vicino alla zona a luci rosse popolato a quell’ora da un gruppo di “ragazze” intente a farsi un cappuccino alla fine della “giornata” di lavoro. Claudio, in ritardo, passa davanti al bar, non ci vede e noi tutti lo chiamiamo urlando: “Claudio” “Claudio”. Lui ci sente, entra e le “ragazze”, in coro lo salutano calorosamente sottolineando come se fosse desiderato. Chiunque si sarebbe imbarazzato! Lui, neanche una piega. Le ha salutate tutte e si è seduto con loro.

Roberto Spadoni, cardiologo e scultore. Ero specializzando, non ci conoscevamo ancora. Ero al sesto piano delle nuove patologie. Arriva Claudio e dice: “Avete visto quella dottoressa piccolina?”. Dopo ci siamo conosciuti meglio. Una volta mi chiese: “è pronta la lettera di dimissione?” “Certo”, rispondo, orgoglioso della mia lunga, precisa e dettagliata lettera. Lui la prende, la legge e commenta: “bella, ben fatta”… e la “straccia”! Ho imparato che bisogna scrivere l’essenziale. Dopo ci siamo conosciuti ancora meglio. La scala di casa sua è fatta con le mie sculture. Ricordo una volta che il Prof. Magnani aveva dimenticato il fonendoscopio nel suo studio, all’ultimo piano. Io ero giovane e mi disse: “Spadoni, le dispiacerebbe andarlo a prendere?” Dopo aver superato, non senza fatica, una serie di segretarie entrai nello studio del Professore in punta di piedi con quel senso di “reverenza”. Incantato, mi trattenni più del dovuto per l’emozione di trovarmi lì davanti alle eleganti boiserie e ad ammirare alcuni “De Pisis”. Dopo qualche anno, incontrai Claudio in ospedale. Era lì, nello stesso studio che era del Prof Magnani. Non c’era più la trafila delle segretarie né i De Pisis alle pareti ma le mie opere! Questo era Claudio.

Luigi Tavazzi, cardiologo: Il mio rapporto con Claudio è stato episodico fino all’ultimo decennio, durante il quale ci siamo frequentati con maggiore frequenza e ultimamente con sistematicità. Intellettualmente era un modello invidiabile, associato a una grande disponibilità affettiva. Mai prevaricando e sempre aiutando chi lo chiedesse (o non lo chiedesse ma a suo giudizio potesse dare di più). Se devo fare un esempio di “maestro” (perché ci sono, al di là dell’ironia che ormai il termine richiama) Lui, secondo me, lo era ed era il prototipo “buono”. Aveva raggiunto relativamente tardi la visibilità internazionale che avrebbe meritato molto prima. Era anche un viveur che gigioneggiava giocando un po’ con la vita. Gusti raffinati ed esigenti nella scelta delle bevande alcooliche. Peraltro, sempre discreto, garbato ma affettivo, creativo, talvolta quasi ritroso ad esporsi. Era molte cose insieme. La morte improvvisa è stata un fulmine per me e per molti.

Matteo Bertini, cardiologo elettrofisiologo: ci siamo conosciuti a Bologna, durante la mia specializzazione e ritrovati a Ferrara dove si è dedicato ad “una nuova metodica in cardiologia: l’elettrocardiogramma. Durante il COVID, abbiamo refertato oltre 1000 ECG. Mi diceva sempre: “la diagnosi elettrocardiografica più complessa è quella di ECG normale! Guarda qui, non ce n’è uno nei limiti della norma, hanno tutti delle alterazioni aspecifiche di…chissà che cosa”. Un’altra classica affermazione era: “l’atrio sinistro nell’iperteso corrisponde all’emoglobina glicata nel diabetico.”. “Giuro che sono stato a dieta Dottore” o “ho preso i farmaci e la pressione è sempre stata controllata. Se, però, dopo due mesi l’atrio è ingrandito o la glicata è aumentata, ricordati: mentono!”.

Gianfranco Sinagra, cardiologo: Claudio aveva la marcia in più della creatività, esuberanza ed originalità didattica. Aveva costante rispetto per le opinioni di tutti, magari smontate con elegante sarcasmo ed ironia. Cosa sarebbe stata la cultura dell’amiloidosi cardiaca in Italia ed in Europa senza la potenza culturale e la leadership indiscussa di Claudio Rapezzi? Fortissimo l’impegno e accurato il programma per promuovere la rete italiana dell’amiloidosi. Chi lo farà ora? Certo nessuno come lui. L’ho visto raramente cupo e malinconico, eppure i momenti difficili ci sono stati. Aveva, però la ricchezza che deriva dal contatto coi giovani discenti, i ricercatori ed i malati. È stato un privilegio essergli amico ed allievo.

Luigi Bolondi, internista: Una personalità come la sua spunta poche volte nella nostra Accademia e perderla è, per chi è stato capace di comprenderla e di stimarla come meritava, un dolore indescrivibile. Per noi bolognesi è poi un dolore doppio (e anche una ferita insanabile) perché lo abbiamo perso due volte, la prima per colpa nostra, quando decise di lasciarci.
Perdonaci Claudio.

Gianfranco Tortorici, cardiologo: Per me era più di un’abitudine, era una necessità. Ci vedevamo una volta al mese al Cafè Pasticceria Gamberini, in via Ugo Bassi, 12 a Bologna. Arrivava in bicicletta (mai la stessa perché gliela rubavano) rigorosamente con la “sua” giacca blu e prendevamo l’aperitivo insieme. Il primo, per lui era il Vesper “Mi raccomando, ‘agitato non shakerato’”, il mitico drink di James Bond, a base di gin, vodka secca e Vermut bianco che, a differenza del classico Martini, deve essere rigorosamente “agitato” non “shakerato”. Sapevo che l’avrebbe detto ma adoravo lo stesso sentirglielo ripetere. Altre sue passioni, a seconda dei momenti, erano il Bloody Mary, il Negroni (questa volta shakerato) o anche semplicemente pomodoro condito. Mi stupiva che ne sapesse sempre di più anche di “Celestino”, lo storico barman che lui apprezzava. Come sempre e come suo stile non lo faceva mai trapelare in maniera troppo evidente! Ma perché era una necessità? Perché quei 20-30 minuti con Claudio rappresentavano un’iniezione di idee, pensieri, annotazioni che risvegliavano i miei neuroni chiamati per nome uno ad uno dal “capitano mio capitano”. Era una necessità per pensare in modo intelligente non solo di cardiologia (ambito in cui, egoisticamente, prendevo idee per i miei “Martedì del Cuore” o per leggere quell’articolo che non avrei mai letto o per progettare la Cardiologia dello Sport) ma anche di vita, famiglia. Insomma, di tutto. Da oggi tornerà ad essere un’abitudine: un cocktail senza Rap sarà solo un cocktail.

Gabriele Bronzetti, cardiologo pediatra. Tra le voci che girano attorno a un genio prima o poi arriva quella che sia morto. È ovviamente una notizia infondata. Certe persone non muoiono mai, o meglio, non lo fanno nel senso che crediamo. Claudio Rapezzi ha abbracciato tutta la cardiologia, iniziando con i piccoli cardiopatici congeniti per finire con adulti dal cuore troppo grande, per geni sbagliati e scorie del tempo. Poteva dissertare di dislipidemie, cardiomiopatie, coronarie e aritmie senza apparente fatica. Sollevava allo stesso modo uno stetoscopio e una Tac. Guardando per pochi secondi un elettrocardiogramma, Rapezzi poteva scrivere la cartella clinica di un malato mai visto, dalla diagnosi alla prognosi (avrà mai guardato il proprio Ecg?). Chi di noi ha avuto il privilegio di conoscerlo ha provato i momenti Rapezzi. Sono quegli attimi in cui tu sei seduto davanti a un uomo che racconta diapositive. Ti accorgi subito che non è semplicemente bravo: c’è qualcosa di soprannaturale in quella capacità di sintesi, nelle associazioni fulminanti, nei lampi di intelligenza verticale e di affilatissima ironia.

Maria Grazia Modena, cardiologa. Ai congressi, puntualmente mi diceva “come sei elegante!” (e io per anni indossavo, quando parlavo, sempre lo stesso tailleur per scaramanzia). Lo incontravo spesso anche in treno, negli aeroporti, nelle stazioni… Non sapevi mai dove andava, dove cenava… Credo di non averlo mai visto presenziare alle noiosissime cene dei relatori. Un giorno, lo incontrai nell’Echo-Lab del Plummer Buiding della Mayo Clinic a Rochester. Io ero là da un mese. Me lo trovai di fianco a guardare un caso. Mi salutò come se ci fossimo incontrati a Santa Maria Nuova di Reggio, non in Minnesota! Chiacchierammo un po’, riuscii a carpirgli che stava visitando alcun Echo-Lab di prestigio degli USA. Nient’altro. Come apparve, scomparve. Sempre gentile, cordiale, spiritoso ma misterioso, un po’ lupo solitario. Una volta stentai a riconoscerlo, magro, stretto in un abito blu, con un viso scavato. Non resistetti e gli chiesi se andava tutto bene. Mi rispose “ho solo deciso di fare una lunga vacanza con Marinella per cercare di dimagrire. Ho scelto l’Iran, bella esperienza e d’effetto sulla dieta!!!”. Avevo visto tante volte Claudio variare di peso come una fisarmonica, ma quella volta avevo pensato al peggio. Nel mitico (per noi emiliani), di allora, a Bologna Istituto, per un evento (non ricordo quale) c’erano tutti: il Prof Magnani, i medici, gli specializzandi. Claudio improvvisò una gara a quiz, e sciorinò una serie di domande, con risposta ad alzata di mano. L’ultimo quiz fu “il Prof Magnani un giorno osò porre il braccio introno alle spalle di Angelo Branzi e guardando le grandi finestre che affacciavano sui viali del S. Orsola disse a Branzi: risposta a) Un giorno tutto questo sarà suo b) Si ricordi di far tenere sempre pulite le vetrate”. Votammo la b. Questo e molto altro era Claudio Rapezzi. Chissà perché se ne vanno prima, i migliori.

Claudio Borghi, internista: Doveva andare a Firenze a “Conoscere e Curare il Cuore” a fare una delle innumerevoli relazioni. Essendo – come sempre – in ritardo sbaglia treno e presto realizza che non si sarebbe fermato a Firenze. Ecco che inizia un’azione di convincimento con il capotreno per farlo fermare. Operazione impossibile per chiunque! Eppure, il capotreno ammaliato dalla sua capacità di parola, lentamente cambiò idea e convinse il macchinista a far rallentare il treno a Firenze Rifreddi per un fantomatico controllo tecnico. Il treno rallentò fin quasi a fermarsi per un attimo e lui saltò giù con la raccomandazione del capotreno di correre, per arrivare… in tempo. Lo aveva convinto che doveva fare un’operazione per salvare un bambino che solo lui poteva fare. Il capotreno si deve essere sentito un eroe. Ma, in realtà, lui lo aveva fregato.

Alessandro Corzani, ex specializzando: Figura imponente autorevole e, a tratti beffarda, ma sempre benevola e prodiga di consigli. Ricordo le red flags, gli aggiornamenti sui nuovi farmaci, l’occhio sempre rivolto più alla clinica che alle linee guida, i collegamenti con ampi orizzonti culturali, il cardiologo come investigatore in quel memorabile editoriale sul giornale italiano di cardiologia. Lui era per me la traslazione vivente del più grande precetto di Confucio, che il Prof amava ripetere: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Lui ci ha nutrito. Ci ha reso ciò che oggi siamo.

Mirco Zadro, ex specializzando: Lo incontrai dopo anni dalla specializzazione ad un congresso dove sapeva essere sempre un impareggiabile relatore. Mi avvicinai per salutarlo con un po’ di titubanza pensando che potesse non ricordarsi di me o che non desiderasse di incontrarmi… Invece, mi accolse con uno dei suoi impareggiabili sorrisi, e con quella cadenza che lo ha reso indistinguibile mi chiese… “caro Mirco, dimmi, com’è la qualità della tua vita?”

Paola Rapezzi, la sorella. Era il mio fratellino maggiore, affettuoso, mi voleva bene ma era un po’ comandino: portami una mela – lavala – ma non asciugarla. Se la asciugavo si arrabbiava e, sempre bonariamente, mi metteva un cuscino in faccia! La nonna Enrica era una sfoglina. Aveva il laboratorio sotto casa dove faceva tagliatelle, tortellini e tortelloni e per “Claudino” panini imbottiti con il ripieno dei tortellini. Ricordo che studiava cardiologia sempre a letto. Io, in famiglia, ero l’unica che poteva entrare in camera sua e ho ancora impresso nella mente il ritmo del cuore perché lui studiava ed ascoltava il ritmo del cuore. Credo fossero delle registrazioni. Studiava al ritmo di quei cuori.

Marinella Ferlito, moglie e compagna di Claudio da una vita. Ecco una sintesi di ciò che ho da lei percepito. Star dietro a Claudio è stato il suo impegno principale: gli faceva le guardie, le cotolette, lo ascoltava, condividevano la stessa visione del mondo nel suo insieme. È stata la sua confidente e complice. Non era certo un personaggio facile. A volte voleva essere gratificato. Lei lo sapeva. Aveva delle spie ma la spia principale era Lui. Lo perdonava perché era un uomo ricco, che trasmetteva la sua ricchezza. L’unica sua consolazione ora è di andarlo a trovare e di far crescere un gelsomino profumato sulla sua tomba.

Di Claudio si è scritto e detto molto. Cosa potrei dire di più io? Che abbiamo pubblicato lavori che, con alcuni, ci siamo anche divertiti come quello sui camici bianchi e camici gialli1 quello sul cibo2 e le interviste impossibili3. Parlavamo molto quando lo portavo a Ferrara in macchina, lui seduto dietro, come un pascià ed io alla guida (diceva che ero il suo autista preferito!). Abbiamo condiviso la tristezza per un “semaforo rosso” che non doveva esserci e che mette in luce quanto sia inappropriato per non dire ingiusto il sistema dei concorsi universitari. Poi la delusione, quando, a semaforo verde nulla è successo nella sua università. Sono contento di aver contribuito al suo trasferimento a Ferrara dove ha trovato riconoscimento e gratificazione per quanto ha fatto. A noi ha dato molto: un nuovo input per le cardiomiopatie, la genetica, la didattica, l’elettrocardiografia. La cardiologia di Ferrara, ben conscia del suo valore, gli ha dato serenità e nuovo entusiasmo.
Ho perso un grande amico, ci sentivamo tutti i giorni. Pronto Claudio? Sono Roberto. Disturbo?


References

  1. C. Rapezzi,R. Ferrari, A. Branzi. White coats and fingerprints: diagnostic reasoning in medicine and investigative methods of fictional detectives. BMJ 2005 Dec;331:1491-4.
  2. Ferrari R, Rapezzi C. The Mediterranean diet: a cultural journey. The Lancet May 2011; 21;377(9779):1730-1
  3. Rapezzi C, Sinagra G, Merlo M, Ferrari R. The impossible interviews-Sherlock Holmes interviews David Sackett: “How much can we trust the guidelines? ‘Eur Heart J. 2021 42(35), 3422–3424

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