I potenziali meccanismi fisiopatologici attraverso cui elevati livelli di acido urico possono esercitare un effetto dannoso sull’apparato cardiovascolare
L’associazione tra iperuricemia e avverso outcome clinico
Dagli studi sull’eziologia delle malattie cardiovascolari, l’acido urico (UA), indipendentemente dalla gotta, ha quindi guadagnato notevoli attenzioni(6): i livelli circolanti di acido urico nel siero costituiscono un marker prognostico ben consolidato sia in soggetti sani, che in pazienti con ipertensione, obesità, dislipidemia, aterosclerosi, diabete e insufficienza renale cronica(7-11). In particolare, in pazienti stabili con coronaropatie e insufficienza cardiaca, l’associazione tra iperuricemia e avverso outcome clinico è ben documentata(12,13). L’aumento dei livelli circolanti di acido urico risulterebbe quindi fortemente correlato ad un incremento in termini di ospedalizzazione, in particolare in pazienti con CVD (Cardiovascular disease) e CKD (chronic kidney disease), e di mortalità in generale, divenendo così un importante fattore prognostico nell’ambito di numerose patologie che colpiscono prevalentemente il soggetto anziano. Da un punto di vista fisiopatologico l’acido urico è in grado di favorire lo sviluppo di alterazioni metaboliche, cardiovascolari e renali(14-16). Le evidenze in vitro e gli studi di biologia cellulare dimostrano, ad esempio, che l’acido urico può esercitare un potente effetto pro-ossidante e proaterogeno(17-19): la via metabolica della xantina ossidasi che genera acido urico rappresenta un’importante fonte di stress ossidativo(20). È evidente che l’overfeeding di questa via metabolica per l’eccessivo apporto alimentare di substrato finisce per essere un’importante parte in causa nella fisiopatologia del danno cardio-nefro-metabolico nel paziente iperuricemico. L’acido urico ha tutte le potenzialità biologiche per favorire lo sviluppo e la progressione del danno vascolare indipendentemente dalla precipitazione di cristalli di urato monosodico grazie alle sue capacità di ridurre la biodisponibilità di ossido nitrico a livello endoteliale e di attivare numerose pathway biochimiche coinvolte nell’aterogenesi(15). La formazione di cristalli di urato monosodico, comunque, pur non rappresentando una condizione indispensabile per lo sviluppo del danno vascolare da acido urico, probabilmente contribuisce alla genesi del danno vascolare medesimo attraverso l’induzione di uno stato di flogosi cronica(15). Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’acido urico costituisce un fattore di rischio cardiovascolare e risulta associato al rischio di mortalità derivante da CVD, sia esse acute, subacute e croniche(21): elevati livelli di acido urico potrebbero quindi rappresentare un fattore prognostico nell’infarto acuto del miocardio (IMA). Numerosi studi hanno anche dimostrato che l’iperuricemia comporti un aumento del rischio di sviluppo dell’ipertensione, indipendentemente da altri fattori(14,22). Tale percentuale aumenta nei soggetti in trattamento con diuretici(23). La forza della relazione tra livelli sierici di acido urico e ipertensione diminuisce con l’avanzare dell’età dei pazienti e della durata dell’ipertensione, suggerendo che l’acido urico potrebbe essere più rilevante nei soggetti giovani con insorgenza precoce di ipertensione(14,22). È inoltre da ricordare come sia da tempo dimostrata una relazione diretta tra iperuricemia lieve e danno d’organo ipertensivo a livello renale, cardiaco e vascolare periferico(24). I soggetti ipertesi con livelli di acido urico più elevato presentano inoltre un incremento delle resistenze vascolari renali indicative di iniziale compromissione angiosclerotica(25). L’uricemia potrebbe quindi, a buon diritto, essere considerata non solo un potente predittore di eventi, ma un vero e proprio fattore di rischio per le malattie CV e renali e di conseguenza un importante marker prognostico di mortalità ad esse correlate. Inoltre bisogna sottolineare la capacità dell’acido urico sierico di influire sulla funzionalità renale, che probabilmente inizia a manifestarsi al di sotto del suo limite di solubilità, risultando indipendente dal deposito di cristalli di urato monosodico. Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza clinica in quanto la presenza di un variabile grado di compromissione della funzione renale, sia essa causa e/o conseguenza dell’iperuricemia, finisce poi per condizionare le scelte terapeutiche in termini di terapia ipouricemizzante(26). Non è ancora chiaro se l’iperuricemia rappresenti un fattore di rischio o sia semplicemente un marker di malattia cardiovascolare. Attualmente non esistono in letteratura dati sufficienti per raccomandare il trattamento farmacologico dell’iperuricemia asintomatica per la prevenzione primaria e secondaria della malattia cardiovascolare, nonostante sembri possa esercitare un possibile effetto benefico sull’apparato cardiovascolare.
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