Intervista a Sandeep Jauhar

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Intervista a Sandeep Jauhar

Cardiologo di origini indiane e direttore dell’Heart Failure Program del Long Island Jewish Medical Center, ma anche autore di due best-seller e curatore di una seguita rubrica sul New York Times, nel suo terzo libro “Il cuore – Una storia” Sandeep Jauhar si propone di raccontare la dimensione scientifica ed emotiva di un organo che nel corso della storia umana è stato sempre rivestito di significati e metafore. Ripercorrendo la propria storia familiare e professionale in parallelo con il racconto dei maggiori progressi scientifici della Cardiologia, l’autore riesce nella difficile impresa di romanzare la scienza avvicinandola al grande pubblico. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare questo talentuoso medico e scrittore:

  1. Spesso la decisione di intraprendere questa difficile professione nasce da esperienze personali o anche da eventi casuali. Nell’introduzione del suo libro afferma che la morte improvvisa di suo nonno, avvenuta 15 anni prima della sua nascita, è stato l’evento più importante della sua vita. È a questo evento che fa risalire il suo interesse per la patologia cardiaca?
    La morte improvvisa di mio nonno per infarto miocardico impressionò profondamente mio padre, che si trovava con lui. Questo, di conseguenza, influenzò particolarmente anche me e i miei fratelli, che siamo cresciuti con la paura che anche mio padre morisse improvvisamente. La percezione che il cuore fosse così estremamente potente mi ha fatto interessare alla Cardiologia.

  2. Che cosa l’ha spinta a iniziare a scrivere riguardo alla sua esperienza come medico?
    Ho cominciato ad appassionarmi alla scrittura da bambino, ma mio padre che era un genetista voleva che diventassi medico. Durante la specializzazione, ho ricominciato a coltivare questa mia passione per la scrittura, perché ho capito che le persone sono molto interessate a leggere il racconto delle vicende dei medici. Il mio scopo era umanizzare i medici raccontandone paure e incertezze.

  3. Spesso noi Cardiologi dobbiamo prendere decisione complesse e purtroppo gli insuccessi non sono così infrequenti. Leggendo il suo libro, colpisce molto come lei riesca a immedesimarsi negli scienziati che hanno contribuito alle maggiori scoperte in ambito cardiologico, dando prova di una profonda conoscenza dell’animo umano. “Personalizzare” il racconto dei progressi della scienza immedesimandosi con i sentimenti dei primi sperimentatori colpisce molto il lettore.
    Quando ho iniziato a scrivere il libro, non ero del tutto consapevole di quanto fosse interessante la storia della Cardiologia e sono stato sconvolto da quante personalità affascinanti ne hanno fatto parte, ma soprattutto sono stato molto colpito dalla loro umanità. Era una generazione diversa, in cui la passione per le scoperte scientifiche andava oltre alle logiche economiche e spingeva a rischiare in prima persona anche sperimentando su sé stessi.

  4. Tra coloro che cita nel suo libro, chi è lo scienziato che lei stima maggiormente o da cui ha tratto più ispirazione per il suo lavoro?
    Tra gli scienziati di cui ho scritto, direi che quello che ho trovato più affascinante è George Mines, che ha scoperto il meccanismo aritmico del rientro sperimentando su sé stesso con stimoli elettrici e causando così la propria morte in giovane età. Ammiro il suo coraggio nel non voler sottoporre i pazienti a procedure sperimentali. “Gli studi di Mines sul rientro e sul periodo vulnerabile hanno inaugurato una nuova era nell’elettrofisiologia cardiaca. Purtroppo il Cardiologo inglese non visse abbastanza a lungo per assistere all’impatto del suo lavoro. In una fredda serata di inizio novembre del 1914, il guardiano notturno della McGill, entrato nel laboratorio di Mines per un’ispezione, lo trovò a terra sotto il tavolo privo di conoscenza, collegato a uno dei suoi macchinari per il monitoraggio cardiaco. Trasferito immediatamente in Ospedale, morì poco prima di mezzanotte senza aver ripreso conoscenza. Anche se non risultò dall’autopsia, gli storici della medicina ritengono che la sua morte sia stata il risultato degli esperimenti sul periodo vulnerabile effettuati su un essere umano: sé stesso. L’ipotesi era alimentata da un discorso che Mines stesso aveva tenuto alla facoltà di Medicina della McGill un mese prima di morire, all’età di ventotto anni. Mines aveva lodato il metodo dell’autosperimentazione, riferendosi al lavoro di alcuni suoi contemporanei che si erano recisi i nervi per capire la natura delle sensazioni epidermiche, o ingoiato un tubo di plastica per studiare la fisiologia della digestione. Evidentemente Mines aveva deciso di sperimentare su se stesso la propria teoria del periodo vulnerabile. Non conosceva Werner Forssmann, il suo tragico esperimento precedette di quindici anni l’autocateterismo del grande medico tedesco.”

  5. Il Nord Italia e New York sono stati i luoghi maggiormente colpiti all’inizio della prima ondata pandemica del Covid19. Pensando al futuro, come pensa che cambierà la Cardiologia dopo la pandemia?
    Molti aspetti della pandemia hanno influito sul cuore, da una parte i danni diretti da parte del virus e i danni da vaccino come le miocarditi, dall’altra anche l’isolamento sociale. Abbiamo visto molti pazienti ricoverati per miopatie inspiegate, probabilmente causate dal virus, ma anche molte persone trovate morte a casa per infarti miocardici misconosciuti. Allo stesso tempo abbiamo dovuto cambiare il modo di lavorare, ad esempio riducendo il numero di visite e procedure. È ancora da vedere cosa succederà dopo la fine della pandemia e se riusciremo a tornare alla normalità precedente.

  6. Come bilancia il suo lavoro come Cardiologo e scienziato con la scrittura?
    Prima di tutto sono un Cardiologo e sono molto impegnato nel mio lavoro. Perciò, devo ritagliarmi degli spazi nel tempo libero per la mia attività di scrittura, che di solito mi impegna per 1-2 ore al giorno. Ho appena finito di redigere il manoscritto del mio quarto libro, che verrà pubblicato nel corso dell’anno. Non è facile fare entrambe le cose, ma facciamo quello che ci piace e quindi riesco a trovare il tempo.

  7. Che consiglio darebbe a un collega che volesse intraprendere la strada della scrittura per condividere il proprio punto di vista?
    Tutti possono scrivere! Ho iniziato tenendo un diario delle mie esperienze durante la specializzazione, poi ho iniziato a scrivere saggi sul New York Times che alla fine mi hanno portato alla stesura del mio primo libro. Il giornalismo è un inizio perfetto.

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