
Chloe Wilson ha studiato medicina presso l’Università di Bristol (UK) e ha completato la formazione universitaria di base a Cardiff, dove ha lavorato come coinvestigator per trial clinici e lo sviluppo di progetti di ricerca clinica. Nel 2021 è entrata nel team di The Lancet dove ora lavora come Senior Medical Editor del Comment team e Cardiology Ambassador

Flávia Geraldes è laureata in Patologia Istocellulare presso l’Istituto Politecnico di Lisbona (Portogallo) ed attualmente è Senior Editor e Cardiology Ambassador per The Lancet. Fa parte del Fast Track team della rivista e gestisce sottomissioni di alto impatto su differenti argomenti clinici. Prima di lavorare per The Lancet è stata Specialista per lo sviluppo della rivista Frontiers in Oncology e, ancor prima, è stata Scientific Officer presso l’Institute of Cancer Research (London, UK), dove ha lavorato per trial clinici su neoplasie ovariche, polmonari, e prostatiche.
Quando nel corso di un congresso internazionale si ha l’opportunità di incontrare la Senior Editor di The Lancet che si occupa della sezione della rivista dedicata della cardiologia, non si può resistere alla tentazione di porre qualche domanda. Così nasce l’intervista a Chloe Wilson e Flavia Geraldes, Senior Editors e Cardiology Ambassador di The Lancet.
Come siete approdate all’editoria scientifica ed in un contesto di tale prestigio come The Lancet?
CW: È un vero piacere poter condividere un po’ della nostra storia professionale. Io ho frequentato la scuola di Medicina a Bristol ed ho approfondito il campo della ricerca. Ho iniziato poi la mia attività di clinico durante la pandemia COVID19 lavorando come medico di medicina generale. Si tratta di un periodo particolarmente complicato. Ripensando a perché volevo fare il medico, cioè, aiutare le persone, mi rendevo conto che non potevo offrire l’aiuto nel modo in cui volevo farlo. Da qui ho avuto l’opportunità di entrare nella squadra di The Lancet e così ho potuto leggere le anteprime dei lavori di ricerca sul COVID19 e i nuovi trattamenti sperimentati. In questo contesto ho ritrovato la passione che mi aveva spinto a studiare medicina, aiutare le persone, anche se in un modo diverso da quello del clinico. Così ho scoperto una vera e propria passione, supportare la migliore ricerca scientifica nell’ambito della medicina.
FG: Io ho un’esperienza differente ed il nostro differente background non fa altro che arricchire il nostro lavoro. Con prospettive diverse anche i nostri contributi vanno ad integrarsi e completarsi. Io ho studiato scienze bio-mediche in Portogallo. Dopo la laurea sono venuta a Londra per lavorare presso l’istituto di ricerca oncologica ed il mio primo lavoro è stato nel conteso della ricerca clinica. Dopo un paio di anni di lavoro mi sono resa conto che non mi interessava tanto produrre e raccogliere dati, ma piuttosto i risultati della ricerca e l’interpretazione degli stessi. A questo punto quindi mi appassionava passare dall’altra parte della ricerca e dare un significato ai dati, facendo emergere l’impatto che possono avere per i pazienti e per la pratica clinica. È così che sono passata dalla ricerca clinica all’editoria scientifica. Oramai lavoro per The Lancet da circa 4 anni, ed in particolare ora mi occupo della parte dedicata alla Cardiologia.
Guardando verso il futuro come pensate possa essere promossa l’inclusività e la diversità nell’editoria scientifica?
CW. Si tratta di un argomento di grande interesse. L’inclusività e la diversità devono essere promosse sia all’interno del percorso editoriale che all’esterno e quindi nell’ambito della ricerca scientifica. Se diamo uno sguardo all’interno di The Lancet, vediamo che le persone che lavorano per questa rivista sono presenti in tutto il mondo con differenti competenze ed esperienze. D’altronde pubblichiamo ricerche che provengono da tutto il mondo. Inoltre, sempre all’interno di The Lancet abbiamo diverse Task Force, che si occupano ad esempio di genere ed equità. Si tratta di tematiche importanti nella ricerca clinica. Infatti, è fondamentale che la ricerca stessa sia inclusiva, venga condotta in popolazioni che riflettono il mondo reale, ad esempio, anche nella rappresentatività dei due generi. Anche nel contesto delle pubblicazioni, The Lancet è molto aperta ed interessata ad un’ampia varietà di campi della medicina e propone diverse tipologie di articoli, dalle rassegne, ai commenti, alle prospettive etc. Anche nei lavori su invito The Lancet è estremamente inclusiva, invitando sempre autori diversi ed anche provenienti da paesi e continenti differenti.
FG. La collega ha fatto un eccellente riassunto delle attività svolte all’interno di The Lancet. Avere una squadra editoriale come la nostra, estremamente diversificata, è un grande privilegio e consente a ciascuno di noi di crescere.
Quali sono gli aspetti principali che una rivista dovrebbe considerare per assicurare il rigore scientifico delle pubblicazioni?
FG. Il rigore scientifico è un aspetto di estrema importanza per una rivista. Vediamo tutti le sempre nuove sfide che emergono nel contesto delle pubblicazioni scientifiche, ad esempio con la disponibilità dell’Intelligenza Artificiale. Ogni volta che arriva un articolo, la prima domanda è quanto possiamo fidarci dei dati presentati. Viene speso molto tempo, dunque, per controllare l’articolo quando viene sottomesso. Internamente, abbiamo numerose check-list, diversi processi di controllo prima ancora che ciascun lavoro venga considerato e valutato per l’eventuale pubblicazione. Ad esempio, per i trial clinici questi devono essere registrati, gli endpoint devono essere riportati come previsto dai protocolli, così come i dati di efficacia e di sicurezza. Gli autori, d’altro canto, devono essere pronti a ricevere richieste specifiche, come dare spiegazioni sulle motivazioni per cui i dati sono riportati in un certo modo ed altri dati non sono riportati. È importante inoltre sottolineare che tutti i lavori sottomessi, indipendentemente da chi sia l’autore, vengono esaminati in maniera minuziosa e allo stesso modo. Per garantire un elevato rigore scientifico è importante essere sempre critici sui lavori che vengono sottomessi. D’altronde, se i contenuti non sono chiari per noi, non lo saranno nemmeno per i lettori. Noi possiamo, dunque, aiutare gli autori a riportare in maniera chiara e trasparente i dati, anche per evitare che poi vengano male interpretati.
CW. Quello che posso aggiungere è che mettiamo la stessa attenzione, lo stesso rigore in ciascun passaggio che porta alla pubblicazione di un lavoro. Anche noi controlliamo i testi riga per riga, poiché gli errori ci possono sempre essere. Quando ci sono errori nei dati questi possono portare al ritiro della pubblicazione. A volte il problema non sono gli errori, ma la replicazione dei dati, un aspetto che deve essere chiaramente riportato.
Quali sono le principali difficoltà e sfide nella diffusione dei risultati della ricerca scientifica?
CW. Una delle sfide più importanti della diffusione dei contenuti degli articoli scientifici è relativa a come poi questi vengono interpretati. Purtroppo, non raramente, questi sono interpretati in maniera non corretta e talora usati deliberatamente per diffondere contenuti diversi da quelli che erano propri della pubblicazione originale, creando in tal modo disinformazione. In The Lancet abbiamo una squadra dedicata alla comunicazione che rilascia comunicati stampa ed aiuta la diffusione di informazioni coerenti con i contenuti delle pubblicazioni.
FG. Una delle conseguenze della non corretta diffusione dei risultati della ricerca è l’erosione della fiducia nella scienza e nella ricerca. Noi siamo consapevoli dell’impatto delle nostre pubblicazioni. La discussione dei contenuti degli articoli attraverso i Social Media può essere utile. È necessario però che le informazioni che raggiungono il grande pubblico siano chiare e precise A tale scopo è quindi utile stabilire un rapporto di fiducia con i giornalisti e quanti utilizzano i Social Media per la diffusione dei contenuti della ricerca. Può essere utile dare loro l’opportunità di accedere ai contenuti, leggerli, preparare i messaggi e rivederli insieme, prima della pubblicazione per assicurarsi che siano coerenti con i dati presentati nei lavori.
A vostro avviso, cosa caratterizza The Lancet e rende questa rivista scientifica differente dalle altre?
FG. Avendo lavorato per altre case editrici, posso dire che quello che rende The Lancet un’eccellenza sono le persone, gli editori, non solo quanti curano i lavori prima ancora che vengono accettati, ma anche il team che lavora dopo che un manoscritto è stato accettato affinché venga pubblicato nel modo migliore possibile. In aggiunta la passione, la rigorosa policy della rivista sono altre caratteristiche proprie di The Lancet. Noi siamo tutti consapevoli del perché facciamo quello che facciamo. Il nostro motto è “The best science for the best lives”. Discutiamo ogni articolo con la stessa passione, lo stesso interesse. Noi vogliamo che la buona ricerca clinica abbia l’opportunità di essere pubblicata nel migliore dei modi, sia che si tratti di trial clinici che di studi osservazionali, se questi possono migliorare la vita dei pazienti.
CW. Sono le persone ed il progetto editoriale che fanno la differenza. The Lancet è più di una rivista di medicina. La possibilità di stare a stretto contatto e collaborare con persone appassionate del proprio lavoro rende l’atmosfera davvero speciale.