Dopo il webinar sul test cardiopolmonare, un approfondimento sull’interazione con la terapia per lo scompenso cardiaco
Come si modifica il consumo di ossigeno?
Il 16 ottobre 2024, si è tenuto il Webinar Live organizzato con l’Area Scompenso Cardiaco sul test cardiopolmonare (Figura 1). I Chairmen delle due Aree sono stati i Moderatori dell’incontro, che ha visto come Relatori gli esperti delle due aree: Geza Halasz che ha discusso le “Basi fisiologiche dell’esercizio fisico”, Marco Cittar che ci ha indicato gli elementi principali per l’interpretazione del test cardiopolmonare e Maria Vittoria Matassini che ha presentato l’attuale ruolo clinico nello scompenso cardiaco.
A dare prestigio e spessore al webinar anche la partecipazione del prof. Massimo Piepoli che, nella sua relazione, ha riportati le indicazioni ed i fondamenti del test cardiopolmonare. Ringraziamo i tanti iscritti ANMCO per la loro partecipazione e per una discussione che ha contribuito al successo dell’evento. Per chi di voi non ha avuto modo di partecipare, vi è, inoltre, la possibilità di ritrovarlo nel sito web ANMCO. Dando seguito a questo evento, abbiamo pensato di approfondire, in questo articolo, un altro aspetto clinico importante, ovvero l’interazione fra terapia farmacologica e capacità funzionale. La valutazione più accurata della capacità funzionale è espressa dalla capacità massima di consumo di ossigeno (VO2) misurata al test da sforzo cardiopolmonare. La VO2 può essere considerata la “moneta di scambio” per eseguire una determinata attività, soprattutto se aerobica. Normalmente a riposo utilizziamo circa 3-4 ml/kg/min di O2 per le funzioni vitali di base, mentre durante attività la VO2 incrementa in funzione della quantità di sforzo che viene effettuata. Per esempio, come mostrato nella Figura 2, si può andare da un estremo di 90 ml/kg/ min di VO2 con il quale potreste scalare il monte Everest due volte in due settimane in autonomia senza O2 supplementare, ad un altro estremo di 10 ml/kg/min di VO2 con il quale avreste affanno al minimo sforzo. Tipicamente in un soggetto affetto da scompenso cardiaco la VO2 viene considerata significativamente ridotta per un valore di consumo inferiore a 20 ml di ossigeno per kilogrammo di peso corporeo al minuto. Analizziamo brevemente come e perché i principali farmaci impiegati nello scompenso cardiaco possono influenzare questo valore.
Betabloccanti
L’effetto preponderante dei betabloccanti è legato alla riduzione della frequenza cardiaca, a cui consegue un ridotto consumo di O2 da parte del cuore quale effetto protettivo. Essendo la frequenza cardiaca però una sorta di “acceleratore” con il quale ci regoliamo durante l’attività fisica, una sua limitazione provocherà inevitabilmente una riduzione dello sforzo massimo tollerato conseguentemente a sviluppo di incompetenza cronotropa, ossia l’incapacità di raggiungere una frequenza cardiaca adeguata rispetto a un determinato sforzo. Il calo atteso è di circa 2 ml/kg/min di VO2 – pari a più del 15% se si parte da valori di circa 12 ml/kg/min. Questo calo di prestazione tuttavia non giustifica una loro sospensione nel paziente con scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione per il notevole impatto favorevole sulla prognosi; tuttavia è possibile considerare una riduzione della dose in alcuni casi specifici. Un discorso diverso va fatto nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, nei quali un’incompetenza cronotropa potrebbe limitare fortemente la normale vita quotidiana e poiché non approvati per la sindrome di per sé (per mancanza di evidenze su mortalità e ospedalizzazioni per cause cardiovascolari), in questi pazienti, se non indicati per altre problematiche, dovrebbero essere evitati.
ACE-inibitori/sartani/ARNi
L’effetto di ACE-inibitori e Sartani sulla capacità funzionale massima si traduce in un significativo della VO2 di picco fino a quasi il 20% dopo appena tre mesi di terapia. Attualmente però questo incremento potrebbe non essere così netto per il concomitante utilizzo dei sopracitati betabloccanti. Anche gli ARNi, nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, sono capaci, di incrementare del 16% circa la VO2 di picco (a partire da valori di 15 ml/kg/ min) assieme ad un miglioramento dell’efficienza ventilatoria espressa come calo della VE/VCO2 slope.
Anti-aldosteronici
Per gli anti-aldosteronici non si è ancora riusciti a dimostrare in maniera univoca che questi farmaci aumentino il consumo di O2 massimo nei pazienti con scompenso cardiaco, né a frazione di eiezione ridotta, né a frazione preservata. In uno studio, però, su pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, da cui erano esclusi soggetti con cardiopatia ischemica e storia di fibrillazione atriale, si è dimostrato un incremento fino al 20% della VO2 in soli tre mesi, suggerendo la presenza di un sottogruppo che potrebbe beneficiarne in termini di capacità funzionale.
SGLT2-inibitori o gliflozine
Gli SGLT2 inibitori, unica classe attualmente approvata per lo scompenso cardiaco indipendentemente dalla frazione di eiezione, può modificare la capacità funzionale aumentando la concentrazione di emoglobina media di circa il 3-4% (+0.5 g/dl di emoglobina a partire da valori di 14 g/dl), aumentando trasporto ed utilizzo di O2 da parte dei tessuti. Vi sono, inoltre, effetti indiretti agiscono a livello cardiaco capaci di migliore la bioenergetica dei miocardiociti, Tutti questi effetti portano ad un dimostrato incremento della capacità funzionale già dopo tre mesi di assunzione di un SGLT2i, con un aumento di circa l’8% medio di VO2 rispetto a placebo (incremento di circa 1.1 ml/kg/min di VO2 a partire da valori di 13-15 ml/kg/min di VO2) in una popolazione di scompenso cardiaco a frazione ridotta. Risultati che potrebbero essere validi anche un quelli a frazione di eiezione preservata.
Conclusioni
Ricapitolando la maggior parte dei farmaci raccomandati nello scompenso cardiaco è anche in grado di migliorare la capacità funzionale tramite molteplici meccanismi tra cui i più importanti sono la riduzione del consumo di ossigeno da parte del cuore, riduzione delle resistenze vascolari periferiche, miglioramento diastolico, la perdita di peso e l’incremento anche se contenuto dell’emoglobina permettendo una migliore ossigenazione periferica (Figura 3).
La terapia farmacologica per lo scompenso cardiaco, tuttavia, è in continua evoluzione e sarà interessante vedere nel prossimo futuro se nuove molecole come vericiguat, finerenone e i GLP1-Ra avranno un impatto significativo sulla capacità funzionale dei nostri pazienti.
Rinnoviamo, infine, il nostro invito, per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, ad accedere online al Webinar “Il test cardiopolmonare da sforzo nello scompenso cardiaco” a cura dell’Area Cardiorenale e Metabolica e di quella Scompenso Cardiaco.