Vecchie e nuove prospettive terapeutiche nei pazienti con Tromboembolismo Venoso: tra raccomandazioni e divergenze

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Vecchie e nuove prospettive terapeutiche nei pazienti con Tromboembolismo Venoso: tra raccomandazioni e divergenze

La gestione dei pazienti con embolia polmonare ha subito notevoli cambiamenti negli ultimi anni, aprendo nuove prospettive terapeutiche, non solo in termini di anticoagulazione

Nuove strategie terapeutiche non basate sul trattamento anticoagulante sembrano poter ridurre il rischio di tromboembolismo venoso specialmente dopo il primo anno di trattamento

Nonostante le continue innovazioni diagnostiche, prognostiche e terapeutiche ottenute nel corso degli ultimi vent’anni, il tromboembolismo venoso (TEV), condizione includente sia l’embolia polmonare (EP) acuta che la trombosi venosa profonda (TVP), continua spesso a rappresentare una sfida diagnostica e terapeutica per il cardiologo. Infatti, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione generale, così come per il conseguente aumento della prevalenza di patologie croniche sia cardiovascolari che non cardiovascolari, in grado sia di favorire il TEV che di complicarne la diagnosi ed il trattamento, gli scenari clinici risultanti sono diventati più intricati e complessi1. Senza dubbio, le linee guida internazionali rappresentano uno strumento valido ed essenziale per guidare la diagnosi ed il trattamento del TEV. Tuttavia, anche a livello internazionale, non vi è consenso unanime su diversi aspetti terapeutici.

Linee guida internazionali: concordanze e discordanze
Come evidenziato da una recente rassegna proponente un’analisi e confronto delle linee guida europee ed americane sulla diagnosi e trattamento dell’EP acuta, esistono al giorno d’oggi numerose dissonanze ed aree “grigie” non esplorate, per le quali non vengono fornite specifiche indicazioni, circa l’utilizzo dei trattamenti avanzati cosi come nell’identificazione precoce dei pazienti a rischio intermedio-alto, ossia emodinamicamente stabili alla diagnosi e che vanno incontro a deterioramento emodinamico nelle ore successive2. Al contempo, mancano raccomandazioni definitive, basate su risultati solidi derivanti da studi randomizzati, circa la strategia anticoagulante ottimale sempre nei pazienti a rischio intermedio-alto, l’utilizzo delle tecniche riperfusive percutanee come prima linea di trattamento, l’eventuale beneficio derivante dalla somministrazione di dosi ridotte di fibrinolitico per via sistemica2. Probabilmente, l’identificazione e la valutazione seriata di alcuni parametri vitali e di laboratorio, come la variazione precoce della frequenza cardiaca, la comparsa di ipossiemia oppure una riduzione della pressione arteriosa media, potrebbero rappresentare validi strumenti prognostici per identificare precocemente quei pazienti a rischio intermedio-alto i quali potrebbero beneficiare di una strategia terapeutica più aggressiva sin da subito o di una riperfusione precoce, bilanciando il rischio trombotico con quello emorragico. Allo stesso modo, l’identificazione precoce dei pazienti in stato di pre-shock o “shock normotensivo” rappresenterebbe un passo in avanti nella stratificazione precoce del paziente con TEV e quindi un possibile miglioramento della sopravvivenza sia nel breve che nel lungo termine(3). Esistono anche importanti lacune inerenti alla durata ottimale della terapia anticoagulante nei pazienti con TEV portatori di fattori di rischio maggiori transitori, che spesso tendono a migliorare o risolversi nel tempo. Le attuali linee guida internazionali forniscono solo vaghe raccomandazioni sul trattamento della sindrome post-embolica, sul trattamento dell’EP asintomatica riscontrata occasionalmente (e specialmente in popolazioni particolari, come i neoplastici), sul TEV ricorrente e sulla correzione dello stile di vita e riduzione del rischio cardiovascolare di questi pazienti dopo l’evento acuto2.

Figura 1 – Principali unmet needs nel trattamento del tromboembolismo venoso e possibili soluzioni

Ridurre il rischio di TEV con inibitori di PCSK9: Mito o realtà?
Nel corso degli ultimi vent’anni sono stati fatti passi avanti nella prevenzione del TEV non basato sulla terapia anticoagulante. Grazie alle numerose dimostrazioni di come il TEV e l’aterosclerosi non siano due entità distinte, quanto più patologie diverse sottese da fattori di rischio comuni, la comunità scientifica ha dapprima cercato di dimostrare un ruolo preventivo delle statine anche nel TEV, ottenendo risultati diversi e non sempre univoci. Non vi è alcun dubbio che la terapia anticoagulante rimanga il caposaldo del trattamento del TEV4. Negli ultimi dieci annoi, i nuovi anticoagulanti orali diretti sono di fatto diventati i farmaci di prima scelta nel trattamento di questi pazienti. Tuttavia, alcune “ombre” aleggiano ancora sul loro utilizzo, derivanti ad esempio di studi comparativi tra le varie molecole disponibili sul mercato, la durata ottimale dell’anticoagulazione, la prevenzione di recidive emboliche, l’ulteriore riduzione del rischio di sanguinamento specialmente in sottogruppi di popolazione come i pazienti neoplastici, anziani, fragili ed obesi. Dati preliminari confortanti derivano per la prevenzione del TEV nel lungo termine derivano da studi randomizzati evidenzianti come gli inibitori della proteina PCSK9 possano rappresentare una valida alternativa in pazienti selezionati. A tal proposito, una recente revisione della letteratura, condotta e pubblicata dall’Area Cronicità ANMCO ha evidenziato come questi farmaci ipolipemizzanti, somministrati da soli oppure in associazione con statine ad alta intensità, siano in grado di ridurre il rischio di TEV nel lungo termine. Tale effetto protettivo sembra derivare da una riduzione dei valori della proteina Lp(a) piuttosto che all’abbassamento dei valori assoluti di colesterolo LDL. Probabilmente, a questo effetto maggiore, si assocerebbe anche un miglioramento del profilo lipidico e più in generale una riduzione del rischio cardiovascolare dei soggetti trattati, rispetto a quelli non trattati, rimarcando la stretta correlazione tra TEV e malattia aterosclerotica.

Prospettive future
Nel complesso, i risultati di entrambi le pubblicazioni presentate dimostrano come vi sia la necessità di armonizzare diversi aspetti inerenti alla prognosi ed il trattamento dei pazienti con TEV, specialmente con uno sguardo proiettato nel lungo periodo (Figura 1). Tale processo deve tenere inevitabilmente conto della complessità dei nuovi scenari clinici che il cardiologo deve affrontare nel trattamento di questi soggetti, focalizzando in modo particolare l’attenzione su nuove strategie di prevenzione di recidive emboliche nel lungo termine non solo basate sul trattamento anticoagulante.


Bibliografia

  1. Zuin M, Becattini C, Piazza G. Early predictors of clinical deterioration in intermediate-high risk pulmonary embolism: clinical needs, research imperatives, and pathways forward. Eur Heart J Acute Cardiovasc Care 2024;13:297-303.
  2. Zuin M, Bikdeli B, Ballard-Hernandez J, Barco S, Battinelli EM, Giannakoulas G, Jimenez D, Klok FA, Krishnathasan D, Lang IM, Moores L, Sylvester KW, Weitz JI, Piazza G. International Clinical Practice Guideline Recommendations for Acute Pulmonary Embolism: Harmony, Dissonance, and Silence. J Am Coll Cardiol 2024;84:1561-1577.
  3. Zuin M, Henkin S, Harder EM, Piazza G. Optimal hemodynamic parameters for risk stratification in acute pulmonary embolism patients. J Thromb Thrombolysis. 2024;57:918-928.
  4. Khairani CD, Bejjani A, Assi A, Porio N, Talasaz AH, Piazza G, Cushman M, Bikdeli B. Direct oral anticoagulants for treatment of venous thrombosis: illustrated review of appropriate use. Res Pract Thromb Haemost. 2024;8:102424.
  5. Zuin M, Corsini A, Dalla Valle C, De Rosa C, Maloberti A, Mojoli M, Rizzo M, Ciccirillo F, Madrid A, Riccio C, Grimaldi M, Colivicchi F, Oliva F, Temporelli PL. Role of PCSK9 Inhibitors in Venous Thromboembolism: Current Evidence and Unmet Clinical Needs. Eur Heart J Cardiovasc Pharmacother. 2024 doi: 10.1093/ehjcvp/pvae076. Epub ahead of print.

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