L’elaborazione della perdita comporta un lavoro psichico necessario e doloroso
Si può arrivare a guardare la perdita di un oggetto amato o di un ideale perduto solo quando esso è divenuto, dentro di noi, una spinta propulsiva verso il futuro
In questo saggio Massimo Recalcati tratta l’esperienza dolorosa del lutto, l’evento che accompagna la vita umana lungo tutto il corso della sua esistenza fin dalla nascita, ovvero a partire dal primo lutto che, come sosteneva Freud, avviene con l’abbandono della vita intrauterina. Nella specie umana, l’esperienza della perdita, con il dolore che la accompagna, è proprio ciò che la differenzia dall’esperienza della morte nella vita animale, inconsapevole della propria fine e scevra del messaggio con cui la morte si annuncia in ogni istante della vita di ogni singolo individuo e con cui egli deve ripetutamente e costantemente confrontarsi. La nostra vita, infatti, è costellata da innumerevoli lutti, non solo per la scomparsa fisica delle persone che abbiamo amato e che porta con sé la perdita di tutto ciò che esse hanno rappresentato, ma anche per tutti i lutti, si potrebbe dire simbolici, che la crescita comporta. La maturazione avviene necessariamente attraverso una serie di tagli che pongono l’individuo in una prospettiva di un continuo confronto con l’esperienza della perdita e dell’assenza di ciò che non c’è più. Essa può essere la perdita fisica e quindi definitiva di un oggetto sul quale si è investito, come un genitore o il proprio compagno, e in questo caso l’oggetto perduto lo è per sempre, la morte assume un carattere definitivo, senza possibilità di ritorno. Il lutto comporta sempre la doppia perdita da un lato dell’oggetto che abbiamo amato e dall’altro del senso del mondo così come lo si conosceva con la persona che non c’è più. L’esperienza della morte inoltre può essere esperita, anche se forse in modo meno lapidario, ma più pernicioso, con la fine di un amore o di un ideale o di un progetto su cui l’individuo ha investito il proprio desiderio, tutti eventi che sicuramente non comportano la perdita fisica e incontrovertibile dell’oggetto, ma che portano con sé i medesimi sentimenti e le stesse emozioni di una perdita senza ritorno. Massimo Recalcati, nel domandarsi se ci sia un modo per elaborare la malinconia del lutto, delinea due forme di nostalgia facendo un interessante e suggestivo parallelo con il fenomeno astrofisico della luce delle stelle morte, che proviene da un corpo morto milioni di anni fa, ma che, pur non essendoci già più, giunge fino ad oggi per illuminare i nostri cieli e il nostro presente. Di fronte alla perdita si può reagire con una forma di nostalgia come il rimpianto, pensiero del passato carico di struggimento, che trattiene e blocca il divenire del tempo, imprigionando chi lo sperimenta in uno stato in cui viene meno l’orizzonte del futuro; oppure si può sperimentare una forma di nostalgia in cui un oggetto non c’è più, è definitivamente morto, però ci tocca e viene a visitarci nel presente (a volte sotto la forma di piccoli dettagli), tornando a illuminare la nostra vita e permettendoci di volgere lo sguardo in avanti, proprio così come fa la luce che proviene dal corpo delle stelle morte nel nostro presente. Il faticoso e doloroso lavoro dell’elaborazione del lutto può arrivare a questa seconda forma di nostalgia, che permette all’individuo, dopo aver attraversato e rispettato un tempo interiore necessario del lavoro psichico, di guardare al futuro portando dentro di sé il resto vivo di un corpo morto. La tendenza del tempo presente è caratterizzata dall’attitudine di sostituire la perdita immediatamente con un altro oggetto, in un consumo continuo che toglie valore all’esperienza psichica del lutto e toglie la possibilità di elaborare perché sottrae il tempo alla meditazione, tutto va immediatamente sostituito per non provare il dolore che accompagna la perdita, ma questa è chiaramente una reazione illusoria. Il lutto genera dolore ed esige del tempo per operare un lavoro su di sé e sulla memoria di chi non c’è più. Il compimento del lavoro non coincide con la cancellazione della memoria, ma con la separazione dall’oggetto perduto, che viene incorporato, non impedendo più di vivere provando la nostalgia come memoria ossessiva di uno spettro che torna a visitarci senza rendere possibile l’avvenire. Elaborare il lutto non vuol dire disperdere il ricordo di chi non c’è più, ma significa, piuttosto, conservare la memoria di ciò che egli ha trasmesso e marcare la differenza che la sua assenza apre, offrendo a chi resta la possibilità di sperimentare un nuovo futuro che porti avanti anche il lascito di chi non è più presente. Il testo, ricco di citazioni letterarie, filosofiche e artistiche accompagna il lettore nella comprensione di un lavoro psichico a cui solo il tempo e la meditazione, oltre che il cerimoniale che accompagna la sepoltura, possono dare senso e rispetto.