Classe 1948, Silvio Klugmann si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1973, specializzandosi in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare nel 1976 con il massimo dei voti.
Il primo incarico è all’Ospedale Maggiore di Trieste dove resta per un ventennio per poi approdare all’Ospedaliera Niguarda dove ricopre l’incarico di Direttore della struttura complessa di Cardiologia 1 ed Emodinamica e Direttore del Dipartimento De Gasperis dove diventa Responsabile del programma di impianto percutaneo delle protesi aortiche e mitral clip.
Coordinatore del Gruppo Italiano Studi Emodinamici, Fellow ANMCO e autore di 300 pubblicazioni scientifiche ha condotto studi e ricerche in tutti i campi della Cardiologia Interventistica (stent, aterectomia direzionale, farmaci anticoagulanti ed antiaggreganti, cardiopatie strutturali) a livello internazionale.
Ha poi una seconda vita come autore di romanzi gialli – ricordiamo “L’Assassino dei Primari” (2009 Edizioni Robin)
e “Il Killer ed il Professore” (2011 Edizioni Robin) – oltre al romanzo storico “Leo Goldstein” (Albatros Editore 2020).
Tutto è cominciato con un po’di “mal di pancia”, comparso senza cause evidenti ma persistente. Naturalmente vengo informato dalla comunità femminile di casa solamente al ritorno dall’ospedale. Sembra che si sia manifestato da un paio d’ore. Rapida visita: pancia morbida e trattabile, rumori intestinali ben presenti, manovra di Blumberg negativa, niente febbre. Responso: “non è niente; sarà qualche porcata che hai mangiato. Questa sera stai leggera a cena. Sei andata di corpo?”. Alla mattina successiva, sembra che non ci sia niente di nuovo sotto il sole. Il “mal di pancia” c’è sempre, non è peggiorato ma aleggia come una nube oscura sulla serenità della nostra famiglia. Nessuna evacuazione. Decido di prendere il toro per le corna. Telefono al mio miglior amico, aiuto di pediatria all’Ospedale Burlo Garofolo. Faccio saltare le prime due ore di scuola a mia figlia, la carico sulla Vespa e la porto in visita. Avviso il reparto che arriverò tardi. Per fortuna non ho impegni urgenti questa mattina. “Non è niente! Non è sicuramente appendicite! Sarà qualche porcata che hai mangiato!” Stai a tè e biscotti fino a questa sera. Il mio amico è tranchant nel suo giudizio. Ringrazio e mi sento un po’ scemo e apprensivo. Dopo aver depositato la bambina sulla soglia della scuola vado in ospedale e mi immergo nei casini della cardiologia. Ritorno a casa alla sera e niente è cambiato, sembra che ci sia un po’ di nausea ma niente febbre; l’appetito c’è. Naturalmente nessuno mi aveva avvisato. Mi sento comunque in colpa e ritelefono al pediatra di fiducia che decide di passare da noi dopo la fine turno. Taglio un salame e preparo una bottiglia di Tokai Friulano (a quei tempi si poteva chiamarlo ancora così) nell’attesa. Arriva il luminare della pediatria e fa una nuova rapida visita che si conclude con un “non è niente!”. Passiamo l’ora successiva a bere e mangiare e poi saluto il pediatra di famiglia, che se ne va un po’ incerto sulle gambe. Passo direttamente in camera da letto delle bimbe. La paziente dice di stare meglio e che il disturbo è quasi passato; ha voglia di fare la cacca. Le palpo velocemente la pancia e mi sembra tutto a posto. Mi sento un padre troppo apprensivo; dò la buona notte e vado a leggere un libro a letto.
Il nuovo mattino non ha l’oro in bocca. Mia figlia è stanca, non ha voglia di alzarsi e lamenta un po’ di nausea. Dopo averla visitata (non è niente!) decido di lasciarla a casa per precauzione, tanto all’ora di pranzo ci sarò anche io. Questa notte sono di turno in ospedale. Al ritorno a casa la trovo peggio del mattino; è svogliata e con le occhiaie, ma non ha nessun nuovo disturbo. Chiamo di nuovo l’amico, che decide di passare a casa nostra nel primo pomeriggio. Naturalmente per lui non c’è niente di nuovo, non è niente, solo un’influenza intestinale, mi saluta e se ne va; ha fretta e non prende neanche un caffè. Rinuncio alla partita di tennis che avevo in programma per stare con mia figlia, che preferisce rimanere a letto. La sorveglio ogni mezz’ora e alle sei, un’ora e mezza prima dell’inizio della mia guardia, mi convinco che comunque qualcosa ci deve essere. Le misuro la temperatura e questa volta ha quasi 38°, mentre la nausea è aumentata. Decido che è ora di agire; me la carico in macchina e andiamo in ospedale. Sono quasi le sette quando entriamo in chirurgia d’urgenza. Per fortuna trovo subito l’aiuto responsabile del reparto, che in quel momento non sta operando. Mi guarda sorridendo, stende la bimba sul lettino, le appoggia la manona sulla pancia e poi il sorriso si tramuta in una grande risata. Ciccio no sé per barca! Mi dice. Ha un’appendicite acuta e si sta anche perforando. Bisogna operarla subito, non hai ancora capito che i pediatri non capiscono un cazzo di queste cose? Il mondo mi cade addosso. Telefono a mia moglie per avvisarla e poi lascio la figlia in chirurgia mentre mi precipito, in un mondo ancora senza telefonini, in cardiologia. Chiedo al collega di pazientare un poco ad andare via ed avviso il reperibile di quello che è successo. Mi manda in mona, ma si mette in moto per sostituirmi. Torno in chirurgia e faccio appena in tempo a dare un bacio alla bambina che sta entrando in sala operatoria. A quel punto, con un enorme senso di colpa, mi vesto da sala e la accompagno dentro. Assisto quasi in lacrime a tutto l’intervento, che per fortuna fila liscio. Le posizionano un drenaggio per precauzione. Ringrazio tutti e dopo aver visto che mia figlia sta bene e dorme tranquillamente, ritorno in cardiologia. Prendo le consegne ed inizio una delle più brutte guardie della mia vita. Ho il pensiero fisso a quello che è successo e, appena posso, faccio una corsa al piano di sotto, a sincerarmi che tutto vada bene. Per fortuna tutto è tranquillo e gli infermieri dell’Unità Coronarica, che sanno tutto, cercano di aiutarmi, per quel che possono. Al mattino mi sento uno zombie; rimango un paio d’ore a far compagnia alla bambina che è sveglia e appena mi vede mi dice “non è niente!”. Dopo la visita del chirurgo di guardia mi trascino a casa e, ancora vestito, mi metto a letto e piombo in un sonno senza sogni.
P.S. Sono passati ormai dieci giorni e mia figlia è a casa, sta bene ed ha ripreso la scuola. Devo fare una relazione ad un congresso a Madrid e, previo un consulto famigliare, prendo l’aereo per la Spagna. All’arrivo in albergo trovo una telefonata da casa. La bambina è ricoverata nuovamente in chirurgia con i sintomi di una subocclusione intestinale, ha probabilmente delle aderenze e forse dovrà essere operata di nuovo. Avviso gli organizzatori del convegno e poi di nuovo in aeroporto. All’arrivo a Trieste vado direttamente in chirurgia; per fortuna la bimba sta meglio e probabilmente non dovrà essere operata.