Il programma prevedeva, oltre alla visita di alcuni ospedali di Philadelphia, la partecipazione a due importanti eventi scientifici
Cinque giovani cardiologi in visita in Pennsylvania, grazie all’impegno dell’ANMCO e alla collaborazione tra il Chapter italiano e quello della Pennsylvania dell’American College of Cardiology, per vivere un’esperienza pratica negli ospedali statunitensi
Un breve resoconto dell’esperienza vissuta da alcuni giovani cardiologi ANMCO negli USA, tra visite ad ospedali, partecipazione ad eventi scientifici ed incontri con colleghi Partire per l’aeroporto di Fiumicino aveva un sapore di avventura, come lo aveva partire per una gita quando eravamo bambini. Quante soprese ci stavano aspettando: stavamo partendo per l’America, e per alcuni di noi era la prima volta negli Stati Uniti! Grazie al grande impegno dell’ANMCO (soprattutto nelle persone del Presidente dott. Oliva e del Vice-Presidente dott. De Luca) e alla collaborazione tra il Chapter italiano dell’American College of Cardiology (presieduto dal prof. Colivicchi), e il Chapter della Pennsylvania dell’American College of Cardiology (ACC), nell’estate scorsa era stato possibile fare domanda per partecipare ad una selezione nazionale per una visita pratica agli ospedali della Pennsylvania (USA). Ma chi avrebbe mai davvero creduto di essere scelto! Ci siamo conosciuti in aeroporto e già eravamo in sintonia: cinque giovani medici provenienti da parti diverse dell’Italia con gli stessi sogni, stesse routine di lavoro, stesso amore per la cardiologia e stessa voglia di vivere appieno questa nuova esperienza.
L’America è come la si immagina, solo più grande, più rumorosa e più imprevedibile. Abbiamo ricevuto un’accoglienza caldissima con eminenti cardiologi di Philadelphia e membri del board del Chapter della Pennsylvania dell’ACC che si sono presentati in aeroporto a darci il benvenuto o al mattino sotto casa per passeggiare insieme verso l’ospedale sempre con un sorriso; abbiamo partecipato a cene trimalcioniche in ristoranti panoramici (con medici ancora in divisa lavorativa per aver fatto tardi a lavoro); abbiamo preso parte alle sessioni scientifiche del congresso nazionale dell’American Heart Association a Philadelphia e del congresso Mid-Atlantic Capital Cardiology Symposium a Washington, dove siamo stati presentati e salutati dal Presidente dell’ACC; abbiamo assistito come “audience” alla Jeopardy (gara di cardiologia tra specializzandi di diverse università); siamo andati ai Jazz bar a discutere di medicina e di musica con mentori formidabili. Siamo riusciti a dedicare del tempo anche all’aspetto turistico, partecipando a visite guidate a Philadelphia e a Washington organizzate per noi. Tuttavia, va sottolineato che questa esperienza non è stata semplicemente un’avventura, bensì un’opportunità pratica di scambio, che ci ha permesso di esplorare direttamente la realtà delle attività cardiologiche americane.
La nostra giornata iniziava la mattina presto con la visita guidata ai diversi ospedali della città, dove potevamo cogliere sia le differenze sia le similitudini con gli ospedali italiani. Gli ospedali statunitensi appaiono molto grandi – come del resto tutto laggiù. In alcune istituzioni come la Penn e la Temple University, è possibile fare ogni cosa a chiunque ne abbia bisogno: solo per citarne alcune, terapie per lo scompenso avanzato come LVAD, RVAD, ECMO, test ultra-specialistici come il test cardiopolmonare invasivo con catetere Swan-Ganz anche per decidere se è possibile rimuovere un LVAD. Gli specializzandi fanno turni lunghissimi e hanno molte responsabilità; inoltre, la sottospecializzazione (scompenso, elettrofisiologia, emodinamica) viene scelta e praticata per uno o due anni dopo aver fatto tre anni di medicina interna e due anni di cardiologia, con esame di abilitazione che deve essere rinnovato ogni 5-10 anni. C’è molto personale infermieristico e amministrativo, ed in ecocardiografia sono molti i sonographer; vi è abbondante uso della tecnologia. L’impressione è che da specializzandi in questi centri si possa imparare a fare qualsiasi cosa. Gli specializzandi ruotano anche negli ospedali pubblici, come il Veteran Affairs (che ci è sembrato più simile ai nostri ospedali). Infatti, come si sa, il sistema sanitario americano è privato: l’ospedale a cui è possibile accedere dipende dall’assicurazione disponibile. I volumi di attività degli ospedali sono enormi, e questo facilita notevolmente l’attività di ricerca. In ogni caso, ovunque la formazione ha un ruolo centrale: vi è una costante attenzione all’aggiornamento scientifico e alla discussione di casi clinici. Durante la pausa pranzo, quotidianamente si svolgono riunioni in cui una figura di spicco nel campo presenta un argomento (abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di partecipare alla lezione di Cardiooncologia tenuta dalla prof. Bonnie Ky, professoressa presso l’Università della Pennsylvania ed Editor-in-Chief di JACC-Cardioncology), oppure vengono analizzati e discussi casi clinici particolari. Il tutto proprio mentre si condivide il pranzo tra specializzandi, medici e professori.
Inoltre, molti professori sono giovani e forse anche per questo siamo riusciti ad instaurare dei rapporti informali che ci hanno permesso di avere belle discussioni riguardo i nostri paesi e la cardiologia. Purtroppo, il nostro tempo in America è giunto al termine molto velocemente. Abbiamo creato dei buoni rapporti con le persone che abbiamo incontrato scambiandoci i contatti con la promessa di risentirci: chi lo sa se un giorno non torneremo a trovarli. Ci portiamo a casa un senso di meraviglia e una rinnovata voglia di fare di più e meglio, ispirati da questo spiraglio su un mondo che non è poi così lontano dal nostro. Il toccare con mano una cultura e una organizzazione diversa del nostro servizio sanitario ci ha sicuramenti arricchiti, così come l’incontro con personalità eminenti della cardiologia oltreoceano ha dato un respiro internazionale non solo al viaggio, ma anche alla nostra visione del mondo. In ultimo, ma non certo per importanza, abbiamo stretto un’amicizia tra noi colleghi di varie parti d’Italia, scambiando idee e costruendo le basi per future collaborazioni. La seconda parte dello scambio prevede l’arrivo in Italia di una delegazione di giovani cardiologi dalla Pennsylvania, nella primavera 2024: ci auguriamo di riuscire ad offrire anche a loro altrettanti stimoli! Da ultimo, cogliamo l’occasione per ringraziare i Direttori dei nostri reparti e i nostri colleghi che ci hanno supportato e soprattutto ancora l’ANMCO e il Chapter Italiano dell’ACC per quest’opportunità unica: è stato un grande successo e un importante spunto per il domani.