Endocardite infettiva post TAVI

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Endocardite infettiva post TAVI

Novità nel trattamento della patologia aortica

Una patologia non frequente ma insidiosa

La Endocardite Infettiva (EI) è una complicanza grave della TAVI, associata a significative morbilità e mortalità. Ha una incidenza compresa tra lo 0,3 % e 2,1 % pazienti/anno, senza significative differenze rispetto ai pazienti sottoposti a Sostituzione Valvolare Aortica (SVA) chirurgica (rischio cumulativo a 5 anni del 5,8 % e 5,1 %, rispettivamente). È in rapporto a fattori di rischio che possono essere classificati come modificabili e non modificabili. Sono non modificabili (e legati a meccanismi non chiari): il sesso maschile (incidenza 14 volte superiore rispetto alle femmine) e la giovane età (con possibili implicazioni sulla estensione delle indicazioni della TAVI). Fattori di rischio modificabili sono: il diabete mellito, la insufficienza renale cronica e alcuni aspetti tecnici. Fra questi la TAVI effettuata in anestesia generale e con intubazione oro-tracheale, il residuo perivalvular leak con rigurgito aortico almeno moderato, il posizionamento sub-ottimale della protesi, la necessità di postdilatazione, l’impianto di pace-maker, le complicanze vascolari, i major bleeding. Non sembrano invece esservi differenze nella incidenza di EI post TAVI relativamente al tipo di protesi (balloon expandable vs self expandable) né relativamente alle modalità di accesso vascolare (transfemorale vs trans apicale); del tutto controverso il ruolo dell’ambiente ove la procedura viene effettuata (cathlab vs sala operatoria vs “sala ibrida”). A seconda del timing di comparsa le EI su TAVI sono classificate come precoci (18 %) ovvero entro 60 giorni dalla procedura); intermedie (62 %) ovvero fra due mesi e un anno; tardive (20 %) ovvero dopo un anno. Nell’insieme l’80% dei casi si verifica entro il 1° anno (rispetto al 40 % delle EI che si sviluppano nello stesso lasso di tempo dopo SVA). Sono differenti i germi responsabili a seconda del timing della EI. I micro-organismi patogeni più frequenti sono lo stafilococco aureo, gli stafilococchi coagulasi-negativi, gli streptococchi, ma soprattutto gli enterococchi (che sono tre volte più frequenti rispetto alle EI post SVA) probabilmente perché comuni contaminanti dell’ambiente caldo-umido della piega inguinale. Uno studio recente ha dimostrato che il 17 % dei pazienti sottoposti a procedure trans-femorali (di qualsivoglia tipo) presenta una colonizzazione della piega inguinale da parte di enterococchi (più elevata nei pazienti con elevato BMI), che sono germi resistenti alla abituale profilassi con cefalosporine. Ampiamente riportate le EI da germi atipici. Controversi i dati sulla incidenza delle EI con emocolture negative. Sotto il profilo della clinica i sintomi più frequenti sono la febbre (80 %), la insufficienza cardiaca (20%), le manifestazioni emboliche, lo stroke ischemico. Possibile la comparsa di disturbi di conduzione o aritmie che segnalano la estensione peri-anulare del processo infettivo (18 % dei casi). Sintomi costituzionali possono essere presenti nei pazienti con stato settico. Ma la sintomatologia non è sempre presente e tipica: i pazienti sono spesso anziani ed anergici e i sintomi possono simulare una infezione respiratoria, urinaria o gastro-intestinale. Le complicazioni possibili sono numerose e comprendono: grave insufficienza cardiaca, insufficienza renale acuta, insufficienza intra o perivalvolare aortica, ascesso e dissezione della radice aortica, stroke ischemico, etc. La diagnosi di EI post TAVI è ardua e i criteri di Duke modificati hanno bassa sensibilità e specificità per la più alta incidenza di emocolture negative, i rilievi ecocardiografici equivoci, la sintomatologia non sempre tipica. La ecocardiografia (trans-toracica e trans-esofagea) è la tecnica di primo impiego. I rilievi ecocardiografici più frequenti sono le vegetazioni, poste sui lembi valvolari (48 %) soprattutto per le protesi balloon expandable, sul frame dello stent (18 %) soprattutto per le protesi self expandable o sulla valvola mitrale nativa (20 %). Ma il maggiore shadowing delle strutture metalliche e le più piccole dimensioni delle vegetazioni delle EI post TAVI riducono al 67 % la sensibilità combinata delle due tecniche ecocardiografiche rispetto all’86 % delle EI su protesi valvolari chirurgiche. Con la ecocardiografia transesofagea e la TAC sono generalmente valutabili le complicanze peri-anulari (ascesso, fistola, pseudoneurisma). Con avanzate tecniche di imaging che combinano la 18Fl-FDG PET con la TAC è possibile aumentare la sensibilità diagnostica, purché la indagine sia effettuata ad almeno 3 mesi dall’impianto. La mortalità ospedaliera è alta (dal 36 % al 64 %), tanto maggiore per quanto più tardiva è la diagnosi ed è fortemente condizionata dalla presenza di complicazioni: insufficienza cardiaca, insufficienza renale acuta e elevati valori di logistic EuroSCORE sono i principali determinanti della mortalità intra ospedaliera e a distanza. La terapia antibiotica mirata è il trattamento di prima scelta, ma gravata da una mortalità elevata (fino al 40 %). Quasi 2\3 dei pazienti sono esclusivamente trattati con la terapia medica, benché oltre il 50 % abbia presentazioni cliniche severe (insufficienza cardiaca, embolismo, estensione peri-anulare della infezione) di per sé meritevoli di indicazione chirurgica. Ma il trattamento chirurgico è di fatto realizzato raramente – rispetto alla EI su protesi chirurgiche 15 % vs 50 % – per il più elevato profilo di rischio dei pazienti TAVI e per la complessità della procedura di espianto della valvola (soprattutto in caso di protesi auto-espandibile). La esigua letteratura sull’argomento – in verità inficiata da criteri molto difformi di selezione dei pazienti – non sembra indicare che il trattamento chirurgico migliori la sopravvivenza rispetto alla terapia conservativa né scongiuri il rischio di ricorrenze della EI (20 % vs 13,6 %). L’approccio al paziente con EI post TAVI è complesso: necessita di un team multidisciplinare di elevata competenza composto da cardiologo, cardiochirurgo, infettivologo, anestesista, esperto di imaging. È necessaria una diagnosi precoce e un tempestivo inizio della terapia antibiotica mirata; l’approccio chirurgico può prevenire complicanze diversamente fatali. In termini di prevenzione, l’approccio minimalista” alla TAVI può ridurre le complicanze infettive e facilitare la precoce mobilizzazione, ma è necessaria una scrupolosa asepsi dell’accesso femorale. È raccomandata la monosomministrazione di cefalosporina prima dell’impianto, ma ne è dubbia la efficacia nei confronti dell’enterococco e di altri germi Gram negativi resistenti. Sono postulati alternativi schemi di terapia antibiotica (per esempio amoxicillina + acido clavulanico 2,2 gr endovena) ma non ne è ancora documentata la efficacia. Dopo la TAVI è raccomandata la profilassi antibiotica in caso di procedure odontoiatriche, mentre è più dibattuta in caso di altre indagini invasive.


Bibliografia

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