Volenti o nolenti siamo tutti un po’ Dr Knock

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Volenti o nolenti siamo tutti un po’ Dr Knock

Ho letto con gusto l’articolo di Giuseppe Di Tano e il successivo ampio dibattito sollecitato dalla riesumazione dalla commedia di Jules Romains Knock o il trionfo della medicina, che avevo utilizzato nel libro Il malato immaginato1 per descrivere i meccanismi con cui è possibile trasformare i sani in malati. Gli interventi di Alessandro Boccanelli, Giovanna Di Giannuario, Gianfranco Misurata, Eligio Piccolo e Marisa Varrenti hanno sviluppato utili e stimolanti considerazioni senza però affrontare una riflessione autocritica sulla responsabilità che abbiamo noi medici come singoli, come classe e come aderenti a un’associazione scientifica, nell’indurre un eccessivo ricorso ai servizi sanitari. La sovra-medicalizzazione non è solo causata da altri (dr. Google, l’incertezza da pandemia, gli interessi commerciali che condizionano l’informazione scientifica) e se puntiamo il dito altrove non siamo in grado di capire e di modificare i nostri comportamenti.

Disease mongering
Il concetto di mercificazione della medicina era stato descritto per la prima volta nel 1992 da Lynn Payer, fisiologa, giornalista e scrittrice, morta nel 2001, utilizzando un’espressione molto efficace: disease mongering. La Payer affermò2 che non essendo facile distinguere la normalità dalla patologia, medici e industrie farmaceutiche stavano dilatando i limiti delle malattie, in modo da aumentare le richieste di servizi, prestazioni, prodotti. Ciò avviene, secondo la Payer, attraverso vari meccanismi: indurre aspettative irrealistiche proponendo terapie delle quali si esaltano i benefici e si sottostimano i rischi, trasformare comuni disturbi in problemi medici, farli apparire pericolosi. Anni prima nel 1976, il filosofo, teologo e storico Ivan Illich aveva già focalizzato la sua riflessione sulla medicalizzazione della società, con un libro di grande diffusione, che ha formato una generazione di medici e di intellettuali: “Nemesi medica”3. Negli anni è fiorita una ricca bibliografia che ha affrontato i meccanismi e i rischi di una medicina invadente4-5-6-7.

Indurre aspettative irrealistiche
La letteratura scientifica è concorde nel dimostrare che l’angioplastica coronarica nei pazienti con angina da sforzo stabile non riduce il rischio di infarto né la mortalità. Eppure, numerose ricerche stimano che circa l’80% dei pazienti ritiene l’angioplastica un intervento salva vita8. Questa opinione non è colpa né del dottor Google, né della pandemia, né dell’industria, ma del fatto che spesso i medici non informano i pazienti in modo adeguato. Analizzando le registrazioni video di 44 colloqui tra un cardiologo e un paziente9, tratti da un ampio archivio di interviste, è stato osservato che, nella maggior parte dei casi gli specialisti contribuivano a indurre, in modo implicito o esplicito, una sovrastima dei benefici e una sottostima dei rischi dell’angioplastica coronarica, utilizzando metodi comunicativi che ostacolano la comprensione e la partecipazione del paziente alla decisione. In particolare, nel 95% delle registrazioni non era stato detto al paziente che l’angioplastica non avrebbe ridotto il loro rischio di morte o infarto.

Doppler TSA, melanoma, timidezza e altre storie
Molte decisioni assunte con l’obiettivo di migliorare le conoscenze e la salute, di fatto si trasformano nei meccanismi messi in atto, con dolo, dal dr Knock. Prescrivere un doppler TSA può aiutare a capire la compromissione aterosclerotica delle arterie, ma convincerà il paziente a sentirsi minacciato da una lesione del 30% che potrebbe provocargli (ma non lo farà quasi mai) un ictus e lo spingerà a ripetere l’esame periodicamente, per controllare come è evoluta quella placca. Diffondere il concetto che “Se hai la pelle sei a rischio di avere un melanoma” (figura 1) potrà evitare (forse) qualche caso di tumore della pelle, ma di sicuro provocherà un allungamento delle liste d’attesa. Trasformare un sintomo (la timidezza) in una malattia (figura 2) significa incentivare il ricorso a test diagnostici e a terapie. La campagna Tempo è muscolo ha permesso di risparmiare vite umane, ma ha anche indotto molte persone a presentarsi in Pronto Soccorso per qualunque disturbo avvertito tra il collo e l’addome. Aggiungere il termine ‘silente’ a una malattia vuol dire far accorrere persone sane a farsi visitare, per richiedere esami di laboratorio o test di imaging, in modo da scoprire qualcosa che non dà loro alcun disturbo.

Figura 1
Figura 2

Le etichette pericolose
Anni fa i medici di un’industria avevano individuato i lavoratori con ipertensione bordeline durante la visita periodica: a metà avevano segnalato che la pressione era leggermente elevata e agli altri che era da considerarsi normale. Nell’arco di un anno i ricercatori hanno osservato nel primo gruppo un aumento del numero di visite mediche, di accessi al Pronto Soccorso, di farmaci assunti e di giorni di assenza da lavoro per motivi di salute. Tutte le volte che poniamo l’etichetta di una diagnosi, ci comportiamo volenti o nolenti come il dr Knock; infoltiamo la schiera dei worried wells, vittime di una nuova epidemia invalidante: l’ansia della buona salute (health anxiety)10.

Long COVID
L’ultima trovata del dr Knock? La diagnosi di Long COVID. Una volta creata una nuova entità patologica si iniziano infatti a produrre ricerche, a organizzare conferenze, seminari, congressi, a istituire ambulatori specializzati, a rilasciare interviste a giornali e a siti internet. Tutte iniziative che tenderanno a enfatizzare il problema, per visibilità e per interessi.
Immagino la scena in un Pronto Soccorso. “Sono stato dimesso due mesi fa, ma ho ancora qualche disturbino. Non ho mica il Long COVID?”. Vengano signori, altra patologia altro giro.

  1. Bobbio M. Il malato immaginato. I rischi di una medicina senza limiti. Einaudi, Torino 2010.
  2. Payer L. Disease mongers: How doctors, drug companies, and insurers are making you feel sick. John Wiley & Sons, 1992.
  3. Illich I. Limits to medicine. Medical nemesis: the expropriation of health. Marion Boyar Publisher, London 1976. Trad. ital.: Nemesi medica. L’espropriazione della salute. Mondadori, Milano 1977. Nuova edizione edita da Bruno Mondadori, Milano 2004.
  4. Szasz T. The medicalization of everyday life. Syracue University Press 2007.
  5. Blech J. Gli inventori delle malattie. Come ci hanno convinti si essere ammalati. Lindau, Torino 2006.
  6. Moynihan R, Cassels A. Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti. Nuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena (Bo) 2005.
  7. Law J. Big pharma. Come l’industria farmaceutica controlla la nostra salute. Einaudi, Torino 2006.
  8. Bobbio M. I pazienti di fronte alla decisione di sottoporsi ad angioplastica. Recenti Progressi in Medicine 2015; 106: 113-7.
  9. Goff SL, Mazor KM, Ting HH, Kleppel R, Rothberg MB. How cardiologists present the benefits of percutaneous coronary interventions to patients with stable angina. A qualitative analysis. JAMA Intern Med doi:10.1001/jamainternmed.2014.3328
  10. Tyrer P, Eilenberg T, Fink P, et al. Health anxiety: the silent, disabling epidemic. BMJ 2016; 353: i2250.

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