Vivere in apnea

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Vivere in apnea

La solitudine e l’isolamento nella difficoltà lasciano il protagonista senza respiro

Pietro, padre di un bambino affetto da una grave forma di autismo, si sente schiacciato dal peso della situazione che deve vivere ogni giorno

Questa è la storia di Pietro e di Jacopo, padre e figlio, che, a causa di un guasto all’automobile che li sta portando verso Marina di Ginosa, sono costretti a fermarsi per un intero fine settimana presso una pensione in disuso, nell’attesa che il meccanico più vicino porti a termine la riparazione al motore. Il viaggio che i due protagonisti intraprendono, ma che sono costretti ad interrompere temporaneamente, ha l’obiettivo di raggiungere la località pugliese nella quale Pietro e la sua amatissima moglie Bianca, nonché madre di Jacopo, si sono sposati vent’anni prima, e di festeggiare così il loro anniversario di nozze. L’automobile si ferma in una località d’invenzione, Sant’Anna del Sannio, che Daniele Mencarelli ha voluto collocare in Molise, con lo scopo di renderla rappresentativa delle tante piccole realtà italiane che si stanno progressivamente spopolando e che divengono luoghi in cui la solitudine e l’isolamento sono le caratteristiche principali, anche dal punto di vista del sostegno economico e delle risorse. L’autore ci pone, senza indugi e in modo brutale, di fronte ad una storia di solitudine e di abbandono, mostrandoci la difficoltà della relazione familiare tra un padre e un figlio, del quale Pietro deve occuparsi costantemente, dal momento che Jacopo è un bambino affetto da autismo a bassissimo funzionamento e che pertanto non è e non sarà mai autonomo. Pietro e Jacopo, in attesa della riparazione della macchina, vengono accolti all’interno di una comunità fatta di poche persone e di tanti sguardi che osservano una condizione che suscita sia compassione, sia preoccupazione e apprensione di fronte ad un disturbo rispetto al quale le persone del luogo non sanno come comportarsi. Pietro, inoltre, ad aggravare la propria condizione, è un uomo respingente, si esprime spesso con sarcasmo in modo difensivo, è difficile da avvicinare, dal momento che è un padre triste ed arrabbiato per ciò che la vita gli ha riservato. L’autore disegna, con grande intensità, la figura di una persona indignata col mondo e indurita dal destino, che sembra non sentire più nulla, ma che in realtà prova un dolore e un odio pervasivi e costanti per la situazione cui deve far fronte e per la condizione di ristrettezza economica nella quale è precipitato e che non gli permette di far fronte alle avversità e alla malattia come vorrebbe. Colpisce il fatto che Pietro tratti spesso il figlio in modo rabbioso e aggressivo verbalmente, pur amandolo moltissimo, perché è al limite della fatica e dello spirito di sopportazione, si sente solo e stanco, cova un rancore volto tutto a quella creatura senza colpa, che diviene il bersaglio verso cui direzionare e far convergere la propria rabbia, tanto che spesso il lettore è portato a mettere in dubbio i sentimenti di Pietro nei confronti del figlio. In questa situazione drammatica, un senso di salvezza gli viene offerto dal sentire la corale vicinanza di perfetti sconosciuti, ossia degli abitanti del paesino che, accogliendo il dolore di Pietro, si affezioneranno in modo salvifico alla sofferenza del padre e del figlio e offriranno il loro aiuto, ciascuno in base alle proprie possibilità e capacità. È fondamentale la relazione con l’alterità, l’altro da sé, per comprendere, almeno in parte, il proprio io, e per far sì che si apra uno spiraglio attraverso il quale la generosità degli altri possa fare breccia nella ruvida scorza di Pietro, permettendogli di fidarsi e di farsi aiutare. Sarà proprio attraverso la conoscenza delle persone e in particolare di Gaia, una donna che abita in quel contesto, che Pietro non riuscirà più a fingere e a tenere in piedi la recita che impersona quotidianamente di fronte agli altri e che riuscirà a condividere la sua situazione disperata. Pietro si sente nuovamente visto da un altro essere umano, che con il suo sguardo e le sue attenzioni è come se lo facesse sentire nuovamente parte di questo mondo. Il finale, che irrompe all’improvviso, è inaspettato e colpisce dritto al cuore per la sua intensità emotiva. Daniele Mencarelli, nel raccontare questa storia dallo stile asciutto e scarno, sente un dovere morale, come dichiara in numerose interviste, ed esprime la sua esigenza di esplorare il proprio presente e dare voce a tante persone che non possono permettersi di accedere a cure costose per i propri figli. Fame d’aria è quella sensazione esperita con il corpo, conosciuta solo da chi l’ha provata e si sente schiacciato dall’esistenza e dalla situazione economica, dal senso di frustrazione che si prova nel sentirsi abbandonato dai servizi e dall’istituzione, ma che può essere alleviato dalla presenza e dal supporto di una comunità viva e presente.Questa è la storia di Pietroe di Jacopo, padre efiglio, che, a causa di unguasto all’automobile che li staportando verso Marina di Ginosa,sono costretti a fermarsi per unintero fine settimana presso unapensione in disuso, nell’attesa cheil meccanico più vicino porti atermine la riparazione al motore.Il viaggio che i due protagonistiintraprendono, ma che sono costrettiad interrompere temporaneamente,ha l’obiettivo di raggiungere lalocalità pugliese nella quale Pietroe la sua amatissima moglie Bianca,nonché madre di Jacopo, si sonosposati vent’anni prima, e difesteggiare così il loro anniversariodi nozze. L’automobile si ferma inuna località d’invenzione, Sant’Annadel Sannio, che Daniele Mencarelliha voluto collocare in Molise, con loscopo di renderla rappresentativadelle tante piccole realtà italianeche si stanno progressivamentespopolando e che divengono luoghiin cui la solitudine e l’isolamentosono le caratteristiche principali,anche dal punto di vista del sostegnoeconomico e delle risorse. L’autore cipone, senza indugi e in modo brutale,di fronte ad una storia di solitudinee di abbandono, mostrandoci ladifficoltà della relazione familiare traun padre e un figlio, del quale Pietrodeve occuparsi costantemente, dalmomento che Jacopo è un bambinoaffetto da autismo a bassissimofunzionamento e che pertanto nonè e non sarà mai autonomo. Pietro e Jacopo, in attesa della riparazionedella macchina, vengono accoltiall’interno di una comunità fatta dipoche persone e di tanti sguardi cheosservano una condizione che suscitasia compassione, sia preoccupazione eapprensione di fronte ad un disturborispetto al quale le persone del luogonon sanno come comportarsi. Pietro,inoltre, ad aggravare la propriacondizione, è un uomo respingente, siesprime spesso con sarcasmo in mododifensivo, è difficile da avvicinare,dal momento che è un padre tristeed arrabbiato per ciò che la vita gliha riservato. L’autore disegna, congrande intensità, la figura di una persona indignata col mondo e indurita dal destino, che sembra nonsentire più nulla, ma che in realtàprova un dolore e un odio pervasivie costanti per la situazione cui devefar fronte e per la condizione diristrettezza economica nella quale èprecipitato e che non gli permette difar fronte alle avversità e alla malattiacome vorrebbe. Colpisce il fatto chePietro tratti spesso il figlio in modorabbioso e aggressivo verbalmente,pur amandolo moltissimo, perché èal limite della fatica e dello spirito disopportazione, si sente solo e stanco,cova un rancore volto tutto a quella creatura senza colpa, che diviene il bersaglio verso cui direzionare efar convergere la propria rabbia, tanto che spesso il lettore è portatoa mettere in dubbio i sentimenti diPietro nei confronti del figlio. Inquesta situazione drammatica, un senso di salvezza gli viene offerto dalsentire la corale vicinanza di perfettisconosciuti, ossia degli abitanti del paesino che, accogliendo il doloredi Pietro, si affezioneranno in modosalvifico alla sofferenza del padre e del figlio e offriranno il loro aiuto, ciascuno in base alle proprie possibilità e capacità. È fondamentale la relazione con l’alterità, l’altro da sé, per comprendere, almeno in parte, il proprio io, e per far sì che si apra uno spiraglio attraverso il quale la generosità degli altri possa fare breccia nella ruvida scorza di Pietro, permettendogli di fidarsi e di farsi aiutare. Sarà proprio attraverso la conoscenza delle persone e in particolare di Gaia, una donna che abita in quel contesto, che Pietro non riuscirà più a fingere e a tenere in piedi la recita che impersona quotidianamente di fronte agli altri e che riuscirà a condividere la sua situazione disperata. Pietro si sente nuovamente visto da un altro essere umano, che con il suo sguardo e le sue attenzioni è come se lo facesse sentire nuovamente parte di questo mondo. Il finale, che irrompe all’improvviso, è inaspettato e colpisce dritto al cuore per la sua intensità emotiva. Daniele Mencarelli, nel raccontare questa storia dallo stile asciutto e scarno, sente un dovere morale, come dichiara in numerose interviste, ed esprime la sua esigenza di esplorare il proprio presente e dare voce a tante persone che non possono permettersi di accedere a cure costose per i propri figli. Fame d’aria è quella sensazione esperita con il corpo, conosciuta solo da chi l’ha provata e si sente schiacciato dall’esistenza e dalla situazione economica, dal senso di frustrazione che si prova nel sentirsi abbandonato dai servizi e dall’istituzione, ma che può essere alleviato dalla presenza e dal supporto di una comunità viva e presente.

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