L’anfora che pesca il cuore

HomeForum

L’anfora che pesca il cuore

Penso che nel nostro mondo occidentale la pesca, in mare lago o fiume, sia sempre stata fin dall’antichità quella praticata oggi, si capisce con i perfezionamenti maturati dall’esperienza e dal raffinamento delle tecniche. Si sono usati gli ami ricoperti dall’esca che inganna il pesce abboccante, poi raffinati dai rulli di lancio e di riporto, ma anche le reti per rastrellarne grandi quantità e le fiocine per animali di grandi dimensioni, come nelle tonnare, che ci ricordano la canzone di Modugno in quell’accorato “piglialu, piglialu”; o le scene ancor più strazianti della caccia alle balene. Il tutto, nel nostro mondo, è legato al razionale e al pragmatico, gli stessi principi che ci hanno guidato nella scienza dopo il perfezionamento del metodo scientifico negli ultimi secoli. Nell’Oriente hanno usato di certo le stesse tecniche di pesca, ma con una in più, che non venne in mente alla nostra fantasia, quella di far entrare il polipo in una specie di anfora, la takotsubo dei giapponesi, dalla quale la povera medusa non poteva riuscire. Ma cosa c’entra tutto ciò con la medicina e la cardiologia in particolare? C’entra perché quando un loro medico giapponese vide che il cuore poteva assumere in particolari circostanze una forma che gli ricordava quell’anfora, la takotsubo appunto, non pensò subito alle coronarie e alle solite patologie di sicuro vanto del progresso medico occidentale, ma a una nuova malattia, denominata sindrome Takotsubo, caratterizzata da un’anomala contrazione dei ventricoli a forma di quell’anfora, capace di dare lo stesso dolore dell’infarto, lo stesso ECG o quasi e anche una perdita di conoscenza (raramente definitiva), ma senza che le coronarie o le valvole o altro che vi fossero intaccati. Nel nostro mondo occidentale fummo presi in contropiede, si pensò lì per lì a una malattia razziale, tipica di coloro che hanno gli occhi a mandorla, o causata da un loro virus. Ma ben presto ci rendemmo conto che da noi era mancata semplicemente la pesca del polipo con l’anfora, e pure la fantasia di correlare certe imaging dei ventricoli con qualcosa di nuovo nella valutazione cardiologica. Succede in medicina, così come penso in altri settori della scienza quando siamo troppo engagé (termine più onometopeico del nostro impegnati), in un campo che ha sviluppato grandi progressi e che promette nuovi orizzonti. La sindrome di Takotsubo non è in realtà uno di questi grandi impegni della medicina, se non per la rarità, la difficoltà nello scovarla e il complicato meccanismo che la determina. Infatti, la malattia è di per sé poco frequente, sia perché coinvolge quasi solo la metà del genere umano, il sesso femminile, e sia per le numerose circostanze che debbono convergere per scatenarla: la donna deve essere anziana, in genere sopra i 60, già lontana dalla sua protezione ormonale, ipersensibile nel suo sistema simpatico, quello che accentua la frequenza cardiaca e la pressione, e che sia soprattutto facile ad autoeccitarsi, come a seguito di una grande emozione, di uno stress, o della presenza di una malattia psichiatrica o neurologica, nonché di certe personali alterazioni dell’elettrocardiogramma. L’elettrocardiogramma infatti, associato ovviamente alla clinica, ma da par suo, è il rivelatore di questa strana cardiopatia che la si diagnostica quanto più ci si pensa e che appassiona il medico per la sua commistione con la sfera psicoemotiva. Questa in genere è legata a situazioni negative, incresciose, quali un lutto familiare, un’arrabbiatura, un dissesto finanziario o di reputazione, ma personalmente l’ho potuto constatare anche a causa di una lieta emozione. Successe in una pittrice che dopo il climaterio si cimentò nella ritrattistica, convinta ma non molto compresa dal pubblico, tranne forse il marito da sempre innamorato. Finalmente le giunse il successo e la premiazione in un vernissage a Venezia; l’emozione fu tale da scatenarle il dolore toracico che necessitò un ricovero urgente per sospetto infarto, verificatosi poi una Takotsubo, a lieto fine con la terapia. La letteratura medica e l’aneddotica oramai è piena di episodi vari e spesso curiosi. Un simpatico medico bolognese, con quell’accento che da solo lo rende accattivante, riferì a un congresso il caso di una signora che svenne in chiesa durante le esequie del marito, fu immediatamente trasferita con lo stesso carro funebre nell’ospedale Sant’Orsola, dove fu diagnosticata e rianimata. I cardiologi patavini hanno pubblicato quello di una anziana cittadina rimasta imprigionata nell’ascensore, la quale colta dal panico ebbe dolore toracico, fu ricoverata e accertata una tipica sindrome Takotsubo. Anche in questo caso come in molti altri l’intervento sanitario ebbe successo e la prognosi fu relativamente benigna. Purtroppo sono riferite anche pazienti che non si sono risvegliate dallo svenimento iniziale o rimasero in coma per lungo tempo. Siamo quindi difronte alla scoperta di una nuova malattia, che certamente nuova non è, e chissà quante signore di ogni tempo, in là con gli anni e deluse, più o meno illustri, sono state diagnosticate come infarto, o morte improvvisa, o nei tempi lontani un semplice deliquio risolto con i “sali” oppure un definitivo crepacuore. Forse la stessa Saffo, da giovane ricordata “dal crin di viola e dal riso di miele”, che sofferse vedendo sfiorire negli anni del declino la sua avvenenza, cui Leopardi nell’“Ultimo canto” le fa declamare “Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella/ sei tu, rorida terra”, potrebbe aver chiuso in quella “Placida notte, e verecondo raggio della cadente luna” il suo tormento, se Atropo, la sua moira gentile, le avesse indotto quella silenziosa contrazione del cuore.

Autore