The next big thing: la sarcoidosi cardiaca

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The next big thing: la sarcoidosi cardiaca

Come sta cambiando la consapevolezza della comunità scientifica cardiologica alla luce dei recenti documenti di consenso dell’ESC e dell’AHA

Una malattia enigmatica, una sfida per il clinico

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una significativa presa di coscienza da parte della comunità scientifica, delle istituzioni e della società civile sulle malattie rare. Molto è cambiato in un tempo piuttosto limitato. Fino a pochi anni fa la sarcoidosi cardiaca, così come altre condizioni ad oggi più note come l’amiloidosi, era considerata estremamente rara, difficile da diagnosticare in virtù dell’elevata eterogeneità fenotipica e dell’assenza di metodiche diagnostiche sufficientemente sensibili e specifiche, e sostanzialmente non trattabile, data l’assenza di terapia in grado di modificarne la storia naturale. Proprio quest’ultimo aspetto faceva affermare ai più che la diagnosi delle malattie rare fosse perlopiù “un mero e dispendioso esercizio di stile”. Tuttavia già oggi si possono intravede i germi del cambiamento che potrebbe portate la sarcoidosi ad essere uno dei prossimi temi di rilievo (“the next big thing” come da definizione anglosassone). Proprio come successo per l’amiloidosi, la disponibilità di metodiche d’imaging efficaci in fase diagnostica (la RMN cardiaca e la scintigrafia ossea per l’amiloidosi, la RMN cardiaca e la PT/TC per la sarcoidosi) e la disponibilità di terapia disease modifying (stabilizzatori del tetramero e silenziatori genici per l’amiloidosi, futuri farmaci biologici ad azione anti-infiammatoria per la sarcoidosi) stanno accrescendo la consapevolezza della comunità cardiologica e portando ad una costante crescita nella prevalenza della malattia grazie ad un numero sempre crescente di nuove diagnosi. La sarcoidosi cardiaca è una condizione enigmatica nella quale l’assenza di una chiara eziologia, la parziale conoscenza della fisiopatologia, l’incerta epidemiologia, l’ampia variabilità fenotipica e l’assenza di criteri diagnostici universalmente condivisi, rappresentano sfide diagnostiche e terapeutiche anche per il clinico più capace ed esperto. La recente pubblicazione di documenti di consenso, tanto da parte dell’American Heart Association (AHA) quanto dell’European Society of Cardiology (ESC), dimostra quanto sia aumentata la consapevolezza della malattia e quanto si avverta il bisogno di riferimenti che possano guidarci nella pratica clinica. Tuttavia, la scarsità e spesso l’inconsistenza dei dati scientifici a supporto nei suoi vari ambiti di gestione fa sì che le conclusioni scaturite da questi documenti vadano interpretati più come suggerimenti dettati dall’esperienza dei clinici esperti che l’hanno redatti piuttosto che raccomandazioni mandatorie. La sarcoidosi è una malattia infiammatoria cronica granulomatosa caratterizzata da granulomi non caseosi, composti da cellule epitelioidi e linfociti organizzati attorno a un nucleo centrale in assenza di segni di necrosi. Nelle forme più severe ed avanzate possono riscontrarsi granulomi caseosi necrosi centrale che dà sovente esiti fibrotici, come avviene ad esempio nella tubercolosi. L’esatta prevalenza del coinvolgimento cardiaco nella sarcoidosi sistemica è difficile da definire per l’influenza di numerosi fattori quali l’età, il sesso, l’etnicità e la razza. Si stima, tuttavia, che il coinvolgimento cardiaco nell’ambito delle forme sistemiche sia clinicamente manifesto in circa il 5% dei casi e riscontrabili a livello subclinico nel 20% dei soggetti se s’impiegano metodiche d’imaging di II livello quali la RMN cardiaca e PET/ TC. La prevalenza della sarcoidosi cardiaca isolata è di ancora più difficile definizione per l’assenza di criteri diagnostici universamente condivisi. Tuttavia, Quando presente, la sarcoidosi cardiaca rappresenta un importante fattore prognostico: il suo riconoscimento precoce ed il suo trattamento tempestivo sono fondamentali per la sopravvivenza dei pazienti affetti. La sarcoidosi cardiaca si manifesta in forma di cardiomiopatia infiltrativa caratterizzata dalla presenza d’infiammazione granulomatosa che potenzialmente può coinvolgere qualsiasi struttura cardiaca. L’esatta fisiopatologia non è nota. Si suppone che l’esposizione ad antigeni ambientali, in soggetti geneticamente predisposti, possa innescare un’alterata risposta immunologica responsabile del successivo processo infiammatorio sostenuto dai macrofagi e caratterizzato dalla formazione dei granulomi. La malattia ha un andamento progressivo: alla fase attiva d’infiammazione attiva segue una fase fibrotica con conseguente danno d’organo. La presentazione clinica della sarcoidosi cardiaca dipende dalla localizzazione, dall’estensione e dal grado di attività dell’infiammazione.
Le manifestazioni cliniche più frequenti sono: i difetti di conduzione [blocco di branca destro e blocchi atrioventricolari (BAV) avanzati, specie in soggetti al di sotto dei 60 anni d’età e con prevalente coinvolgimento del setto interventricolare]; le tachiaritmie ventricolari (battiti ventricolari prematuri, tachicardia ventricolare), spesso precoci e potenzialmente responsabili della morte improvvisa, talora prima ed unica manifestazione di malattia; le tachiaritmie sopraventricolari (fibrillazione atriale, flutter atriale, tachicardia atriale parossistica), spesso più tardive; lo scompenso cardiaco, riconducibile tanto all’effetto del processo infiammatorio attivo quanto gli esiti fibrotici a livello miocardico. Nella sarcoidosi non esistono biomarcatori specifici: i peptidi natriuretici e la troponina cardiaca sono indici utili solo nell’individuare alterazioni miocardiche strutturali del tutto aspecifiche. Le caratteristiche elettrocardiografiche (blocco di branca destra, onda Q, QRS frazionato, battiti ventricolari prematuri, TV) e le caratteristiche ecocardiografiche (anomalie della cinesi regionale con pattern non ischemico, segmenti miocardici assottigliati o aneurismatici, disfunzione sistolica e/o diastolica non spiegata), mancano di specificità. Sono tuttavia utili nello screening dei soggetti con sarcoidosi extra-cardiaca al fine d’avviare una valutazione più approfondita con esami di II livello (RMN cardiaca, PET/TC). La RMN cardiaca multiparametrica, comprensiva di T2 mapping per la valutazione dell’edema miocardico e del LGE per la valutazione dei processi infiammatori e fibrotici, ha dimostrato una maggiore sensibilità rispetto alle metodiche ecocardiografiche nella valutazione del coinvolgimento miocardico. I pattern di LGE alla RMN più suggestivi sono caratterizzati dalla localizzazione agli strati subepicardici del ventricolo sinistro, specie a basale del setto interventricolare e della parete inferiore, dal coinvolgimento ventricolare sinistro multifocale ed dal coinvolgimento ventricolare destro. Tuttavia non esiste un pattern sufficientemente sensibile e specifico da poter confermare la diagnosi di per sé. La PET/TC è impiegata estensivamente nella diagnosi di sarcoidosi sistemica per la sua abilità nell’indentificare le aree d’infiammazione attiva. Nella sarcoidosi cardiaca è tipica la presenza di aree d’attività infiammatoria multifocale, specie se in presenza di alterazioni della perfusione miocardica (mismatch metabolismo-perfusione) o in associazione a segni di infiammazione extra-cardiaca. La PET/TC fornisce informazioni utili in termini prognostici (estensione del processo infiammatorio, coinvolgimento ventricolare destro), è utile nella valutazione della risposta alla terapia anti-infiammatoria e si è dimostrata superiore rispetto alla RMN cardiaca nel predire gli eventi cardiovascolari maggiori. L’identificazione istologica dei tipici granulomi non caseosi, associata all’esclusione di altre cause d’infiammazione granulomatosa, rappresenta il gold standard per la diagnosi di sarcoidosi extra-cardiaca. Invece, per la sarcoidosi cardiaca, la diagnosi istologica è resa più difficile dalla bassa sensibilità della biopsia endomiocardica data dalla natura “patchy” del processo infiammatorio. D’altro canto, la diagnosi clinica, basata sulle caratteristiche su citate, è resa difficile dall’estrema eterogeneità fenotipica della malattia che la pone in diagnosi differenziale con condizioni quali le miocarditi, la cardiopatia ischemia ed altre cardiomiopatie non ischemiche. La diagnosi di sarcoidosi cardiaca isolata è, difatti, estremamente complesse. Le manifestazioni di malattia descritte hanno una maggiore specificità se poste nel contesto di una diagnosi di sarcoidosi extra-cardiaca certa che ne incrementi la probabilità pre-test. I criteri diagnostici attualmente impiegati sono quelli proposti nel 2014 dall’Heart Rhythm Society (HRS) e dalla World Association of Sarcoidosis and Other Granulomatosis Diseases (WASOGD) e il documento della Japanese Circulation Society (JCS) Joint Working Group del 2017. Tutte e tre prevedono una diagnosi istologica (dimostrazione diretta dell’infiammazione granulomatosa non caseosa a livello cardiaco), ma si differenziano nella definizione della diagnosi clinica di sarcoidosi cardiaca. I criteri HRS e WASOGD richiedono tanto la presenza di almeno una manifestazione clinica caratteristica quanto la diagnosi istologica della sarcoidosi extra-cardiaca. I criteri della JCS definiscono la diagnosi di sarcoidosi cardiaca isolata sulla base di criteri maggiori e minori, rappresentati dalle tipiche manifestazioni cliniche e strumentali di malattia, anche in assenza della dimostrazione istologica del processo granulomatoso extra-cardiaco. Gli studi che hanno comparato l’accuratezza diagnostica dei tre diversi criteri diagnostici hanno rivelato un’alta concordanza fra i criteri proposti dall’HRS e dalla WASOGD e una bassa concordanza fra questi e i criteri proposti dalla JCS, mettendo in discussione la possibilità di dia di diagnosticare la sarcoidosi cardiaca isolata in assenza della conferma istologica del processo granulomatoso. Una volta giunti alla diagnosi s’instaura il trattamento adeguato. La terapia della sarcoidosi cardiaca si basa per lo più sull’esperienza mutuata dalla gestione delle localizzazioni extra-cardiache e sul parere degli esperti piuttosto che su trial specifici (ancora in corso). Essa si basa su due capisaldi: l’impiego di farmaci antiinfiammatori, che possano contrastare il processo infiammatorio granulomatoso, e l’impiego di terapie specifiche volte a limitare le sequele cliniche (aritmiche e strutturali) causata dal processo infiammatorio stesso. Nel primo caso i corticosteroidi vengono considerati i farmaci di prima linea, mentre gli immunomodulatori, quali il methotrexato o l’azatioprina, vengono impiegati come farmaci di seconda linea, in associazione ai primi in funzione di steroid sparing nei trattamenti cronici, o in sostituzione di questi in caso d’intolleranza od inefficacia. I farmaci biologici antiTNFα quali l’infliximab e l’adalimumab sono farmaci di III linea da impiegare in caso di inefficacia degli altri due trattamenti.

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