Il Cardiologo Intensivista quale attore principale delle nostre Terapie Intensive Cardiologiche
L’evoluzione delle UTIC è veloce e deve prevedere un altrettanto veloce crescita delle opportunità di formazione e certificazione del cardiologo intensivista
L’evoluzione delle UTIC e la necessità di una iperspecializzazione in Cardiologia Intensiva
Le prime Unità di Cure Coronariche (UCC) nascono a partire dagli anni ‘60 negli Stati Uniti d’America, nelle città di Kansas City e Philadelphia, e in Australia a Sidney, dal bisogno di garantire ai pazienti colpiti da infarto acuto del miocardio (IMA), diagnosi precoce e adeguata terapia, nonché dalla necessità di monitoraggio delle possibili complicanze, prime fra tutte quelle aritmiche. Con la nascita delle prime UCC si osservò da subito una riduzione della morbilità e della mortalità per IMA. In Italia il primato per la nascita dell’UCC spetta all’Ospedale “Ca’ Granda” di Milano, attuale “Niguarda” nel 1967 e, successivamente negli anni ‘70, le UCC si svilupparono sul resto del territorio italiano come Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC), avendo l’obiettivo di migliorare sempre più la qualità delle cure e la prognosi dei pazienti con malattie cardiovascolari acute. Tuttavia inizialmente si trattava si semplici ambienti con personale dedicato annessi solo ad alcuni nosocomi dove venivano sperimentati i primi protocolli farmacologici anti-ischemici e trombolitici. Nel corso degli anni, ma soprattutto nell’ultimo decennio, il profilo è profondamente cambiato, tanto che se un cardiologo del 1985 venisse proiettato come Marty McFly nel film “Ritorno al Futuro’’ insieme al suo amico scienziato DOC nel nostro decennio, resterebbe davvero molto sorpreso pensando certamente di aver sbagliato reparto! Questo cambiamento ha visto anche una evoluzione di identità che le ha trasformate da Unità di terapia Intensiva Coronarica a Unità di Cura Intensiva Cardiologica.
Ma cosa è cambiato e cosa sta cambiando, negli ultimi anni, nelle UTIC?
Sicuramente gran parte del cambiamento, com’è intuitivo, è legata all’innovazione tecnologica e scientifica, allo sviluppo delle reti per l’infarto e all’applicazione sempre più estesa di modelli organizzativi per l’intensità di cure (sistema “Hub e Spoke”) atti a garantire l’equità delle cure indipendentemente da dove si trovi il paziente e quali siano le risorse a disposizione del territorio in cui l’evento cardiovascolare si manifesta. Accanto a questo la migliore accuratezza diagnostica delle malattie cardiache acute, mediante l’impiego di tecniche di imaging e di laboratorio e le nuove strategie riperfusive in emodinamica hanno modificato il trattamento dell’IMA riducendone mortalità, complicanze e durata della degenza. Anche l’invecchiamento della popolazione ha notevolmente contribuito al cambiamento del profilo dei pazienti ricoverati in UCIC, di età sempre più avanzata, con maggiori comorbilità e maggior rischio di complicazioni non cardiologiche. Se ancor oggi il 60% dei pazienti ricoverati in UCIC sono affetti da Sindrome Coronarica Acuta, sempre più frequentemente, in UTIC, vengono gestite le complicanze cardiologiche di gravi patologie sistemiche, respiratorie, renali, metaboliche, vascolari e settiche che, oltre al tradizionale monitoraggio intensivo, richiedono altrettanta competenza e padronanza di tecniche all’avanguardia che necessitano di una formazione specialistica per poterle utilizzare. L’innovazione scientifica ha comportato inoltre lo sviluppo di tecniche di assistenza ventricolare, ventilazione assistita, ultrafiltrazione, impianto di ICD e quindi di nuove competenze del cardiologo sempre più specialistiche che vengono messe al servizio di pazienti ricoverati in UTIC sempre più complessi e delicati. Pertanto possiamo dire che è cambiata l’essenza stessa dell’“acute cardiac care” diventando una branca complessa, caratterizzata da diverse intensità di livelli e forte multidisciplinarietà. In questo contesto, nasce l’esigenza di una figura iperspecializzata, quella del cardiologo intensivista, che sfrutta le proprie competenze in ambito cardiologico (clinico-diagnosticoterapeutiche) guardando con passione alla complessità del paziente; è esperto nelle attuali tecniche, come la ventilazione non invasiva e l’ultrafiltrazione, sa decidere se e quando è il momento di intubare un paziente e che tipo di terapia antibiotica somministrare. Il cardiologo intensivista, un tempo ritenuto un consulente superspecializzato, deve essere adeguatamente formato e potendo gestire con competenza i propri pazienti da vero attore protagonista.
Perché un giovane cardiologo dovrebbe essere attratto dalla cardiologia intensiva?
Nello scenario attuale, come abbiamo visto, le Unità di Terapia Intensiva Coronarica hanno cambiato la loro vocazione ed anche la denominazione diventando Unità di Terapia Intensiva Cardiologica ovvero luogo deputato alla cura di ogni patologia cardiovascolare acuta o riacutizzata, con livelli di intensità della presa in carico diversi a seconda della complessità delle condizioni cliniche. Ma ovviamente per arrivare a questo tipo di organizzazione ed efficienza non si può prescindere dal fattore umano o meglio dalla motivazione e dalla preparazione dei suoi operatori. Vedremo più tardi come dovrà evolversi la sua preparazione formale ma soffermiamoci prima sulle fondamentali motivazioni. Cosa dovrebbe attirare un giovane ad investire la propria carriera in questo campo che in molte realtà sembra marginale, quasi un ripiego, stretto fra l’emodinamica e l’elettrofisiologia da una parte e l’attività ambulatoriale dall’altra, a prima vista meno “appealing” ma anche meno condizionante in termini di turni, guardie e reperibilità connesse? Senza considerare che in una organizzazione ideale il paziente, una volta superate le criticità è spesso trasferito verso il reparto di cardiologia e quindi il nome dei medici che hanno lottato per aiutarlo nel momento più difficile magari scompare al momento della firma della lettera di dimissione… Tanta responsabilità, pazienti gravi e talora in condizioni disperate, lieto fine non garantito e quando tutto va liscio spesso l’oblio… Ce ne sarebbe abbastanza per non volerne sapere di lavorare a tempo pieno in terapia intensiva cardiologica! E invece a nostro avviso lo stimolo principale a lanciarsi in questa avventura dovrebbe essere di tipo “intellettuale”! Se amiamo la Cardiologia, se ci piace l’azione, se abbiamo voglia di avere “tutto e subito”, di verificare l’efficacia del nostro intervento in tempo reale… l’UTIC fa per noi! La terapia intensiva cardiologica è una vera e propria palestra di fisiopatologia applicata dove le nostre conoscenze, esperienze e capacità devono continuamente essere messe alla prova ed il premio per la correttezza del nostro lavoro non è altro che la salvezza dei malati! In questo luogo la speculazione filosofica e accademica può anche trovare qualche spazio ma il più delle volte bisogna agire con tempismo e coraggio, capire il punto di rottura dell’organismo che ha perso il suo equilibrio per intercettare la finestra di intervento a volte irripetibile. “Fin qui posso tirar fuori Mister X dalla sua insufficienza respiratoria con una CPAP, se passano tre minuti non resta che intubarlo”, “questo lo salvo solo con una trombolisi diretta da CVC mentre lo massaggio, se il sangue non va ai polmoni la ventilazione non serve a nulla…”, “qui devo drenare in fretta 3 litri di versamenti pleurici, alleggerire il diaframma per ridurne la fatica allora si che posso metterla a letto e mandarla in sala!”, “ho fatto un VTI e poi ho infuso un litro di liquidi vediamo se è cambiato adesso!”
Il processo che porta all’intervento corretto passa spesso da errori e correzioni successive, col tempo sempre meno frequenti, e sviluppo dell’intuito clinico. E anche dalla capacità di mantenere l’umanità necessaria per infondere fiducia a pazienti spesso sofferenti e terrorizzati e nel contempo il distacco per effettuare atti potenzialmente dolorosi ed invasivi. È chiaro che c’è bisogno di maestri appassionati e comprensivi, di pazienza e di voglia di mettersi in gioco ogni giorno. Davanti ad un paziente grave, che sta male, non ci si può nascondere, bisogna agire in fretta e bene. Può essere una sfida da far tremare i polsi ma se abbiamo dentro il fuoco sacro non ci resta che accettarla!
Cosa si può fare e cosa si farà per implementare la formazione in Terapia Intensiva Cardiologica
Il complesso ruolo del Cardiologo Intensivista, richiede sempre più una formazione dedicata e iperspecialistica che travalica i confini dell’Anestesia e Rianimazione. Proprio per questo motivo, già a livello Universitario, si è reso necessario definire un percorso dedicato per i giovani specializzandi desiderosi di intraprendere la formazione intensiva cardiologica. Molte scuole di specializzazione in Malattie Cardiovascolari infatti prevedono la scelta, all’ultimo anno di studi, dell’“indirizzo” in Terapia Intensiva Cardiologica, similmente a quanto avviene già da molti anni per l’ambito interventistico, elettrofisiologico e della diagnostica non invasiva. Questo percorso permette di formare il Medico Specializzando ad una gestione avanzata dei quadri acuti cardiologici spaziando la formazione anche all’ambito Intensivo Generale. L’apertura delle scuole di specializzazione alla Rete Formativa ha potenziato questo aspetto con la possibilità di poter scegliere il percorso al di fuori dell’Ospedale Universitario in centri “spoke” ad alta specializzazione che possono dare molte opportunità di crescita ai medici in formazione specialistica, spesso anche più del centro universitario stesso. La formazione Intensiva Cardiologica da diversi anni si è arricchita anche di corsi di Master Universitario di II livello in Terapia Intensiva Cardiologica nei centri Universitari di Firenze, Padova e Roma. Questi Master, della durata di un anno, prevedono una formazione Intensiva Cardiologica a 360° che tocca l’ambito, oltre che cardiologico, infettivologico, pneumologico, geriatrico, neurologico e di Anestesia Rianimazione. Un percorso davvero indispensabile nel Curriculum formativo del cardiologo intensivista! All’Università Bicocca di Milano, inoltre, è attivo il Corso di Perfezionamento in Cardiologia Intensivistica. Il crescente interesse verso la Cardiologia Intensiva è dimostrato anche dalla nascita di “Community” in primis il Club delle UTIC ANMCO di cui una delle mission è quella di affacciarsi ai cardiologi neospecialisti che intendono orientarsi nel mondo intensivo cardiologico. Grazie a periodici Webinar e Tutorial vengono affrontati i diversi aspetti della Cardiologia Intensiva potendo guidare e stimolare la curiosità dei giovani cardiologi e condividendo metodi e tecniche tipiche di questo ambito. Parallelamente al Club delle UTIC ANMCO, la nostra Area di Cardiologia Intensiva ed Interventistica offre continui contributi atti a stimolare l’interesse verso gli argomenti di carattere intensivo cardiologico cercando di stimolare la curiosità dei cardiologi e permettendo una attiva e costruttiva sintonia con i colleghi interventisti. Anche l’Association for Acute CardioVascular Care (ACVC) offre molte opportunità, sia in presenza che via Web, di approfondimento di tematiche specifiche inerenti la Terapia Intensiva Cardiologica in cui risulta particolarmente interessante la possibilità di interscambio culturale e di esperienze tra colleghi di diversi paesi europei e non solo. Accanto a questo, negli ultimi anni, si è sentita la necessità di sviluppare dei metodi certificativi per attestare le competenze in ambito intensivo cardiologico, sia a livello europeo che italiano. Da molti anni la società Europea di Cardiologia con l’ACVC ha creato l’Acute Cardiovascular Care Certification, un riconoscimento che prevede un percorso molto arduo che inizia con un test che si tiene due volte l’anno. Il superamento del test permette di compilare il log book registrando le diverse procedure richieste e che il cardiologo svolge nella sua pratica quotidiana. Il log book prevede l’effettuazione di un numero minimo di procedure svolte in massimo 2 anni per poter poi ottenere la certificazione. Questo percorso, valido a livello europeo, può non essere adatto alle competenze classiche necessarie nelle Terapie Intensive Cardiologiche italiane oltre al fatto che, al momento attuale, non è permessa la registrazione da parte di Istituzioni o Enti del nostro Paese. Per superare questo ostacolo e creare una Certificazione riconosciuta in Italia, l’ANMCO ha incluso nel programma “ANMCO CERT” anche l’ambito della Terapia Intensiva Cardiologica. Questo percorso permette ai Soci ANMCO di ottenere la certificazione delle proprie competenze ed essere registrati presso l’Ente Unico Italiano di Accreditamento ACCREDIA. Un giovane Cardiologo “intellettuale” che si approccia alla scelta dell’ambito cardiologico di interesse non può non essere affascinato dalla Cardiologia Intensiva, un mondo impegnativo dove, oltre alle conoscenze della Cardiologia a 360°, è necessario acquisire competenze di Anestesia e Rianimazione e non solo. Fondamentale per un Cardiologo Intensivista è conoscere in maniera approfondita la cardiologia interventistica e avere competenze pratiche che spaziano dall’esecuzione di ecocardiogrammi transesofagei a procedure interventistiche come pericardiocentesi, toracentesi, posizionamento di stimolatori transvenosi e di contropulsatori intraaortici. Inoltre il Cardiologo Intensivista deve saper gestire autonomamente la ventilazione invasiva e non invasiva, i sistemi di sostituzione renale e la gestione appropriata della terapia antibiotica. A questo scopo l’Università e le società scientifiche devono essere attive protagoniste della formazione e del mantenimento delle conoscenze del Cardiologo Intensivista. Questo perché il Cardiologo è e dovrà sempre essere il primo protagonista della gestione del paziente cardiologico critico.