Opportunità e rischi offerti dal Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza per la Cardiologia negli Ospedali

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Opportunità e rischi offerti dal Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza per la Cardiologia negli Ospedali

La Missione 6 del PNRR: Salute. Anche per la Cardiologia ospedaliera la sua applicazione rappresenterebbe un’opportunità di profondo cambiamento

Allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti è una grande sfida anche per la specialistica ospedaliera che deve pensare a nuovi percorsi e strumenti per rispondere alle richieste del Piano

Rispondere alle richieste della Missione 6 del PNRR significa riflettere e rispondere alle esigenze del presente con uno sguardo al futuro. Significa elaborare ora quello che sarà possibile fare grazie alle risorse del Piano e alla messa in opera della riforma strutturale e della digitalizzazione del SSN. L’opportunità maggiore per la Cardiologia ospedaliera è senza dubbio la costruzione di un’efficace collaborazione tra ospedale e territorio che sia in grado di adeguarsi ai cambiamenti epidemiologici e sociali, per superare la storica dicotomia che ha visto le due realtà comportarsi come compartimenti stagni con diverse modalità e finalità. In ambito cardiologico l’Ospedale era dedicato alle acuzie e dopo la dimissione il paziente si riaffidava al territorio. L’aumento dell’età media dei pazienti e della complessità del quadro clinico ha reso necessaria la presa in carico del paziente cardiopatico cronico anche da parte dell’Ospedale e ha aumentato notevolmente la pressione sui MMG per la gestione di questi pazienti in termini di tempo e risorse. La rete pre-ospedaliera e ospedaliera della cardiopatia acuta, in particolare nel trattamento patologia ischemica, è tra le migliori al mondo come velocità di risposta, trattamento e outcome. Il paziente e il cardiologo però, incontrano non poche difficoltà nel follow-up, a causa della mancanza di adeguati percorsi omogenei ed economicamente sostenibili. Le società scientifiche si sono molto impegnate nella stesura di linee guida, consigli pratici e percorsi di follow-up, ma questi difficilmente riescono ad adattarsi e a trovare un’effettiva messa in pratica in tutte le eterogenee realtà ospedaliere. In questo momento i centri più periferici risultano fortemente penalizzati per la carenza di personale che costringe a ridurre progressivamente le attività ambulatoriali. Si crea in questo modo un quadro nel quale i grandi centri di II e III livello hanno risorse che dovrebbero destinare alla alta specialistica, ma che sono invece impiegate per attività “routinarie” che i centri periferici non possono gestire. Ciò si traduce in una dispersione di competenze e di difficoltà anche logistiche per il paziente. Il riconoscimento del paziente cardiopatico cronico e cardiogeriatrico come paziente ad alta complessità di cura, ma relativo carico assistenziale ultraspecialistico, è il primo passo per immaginare un adeguato percorso e una idonea presa in carico e gestione nel lungo termine. In questo scenario l’Ospedale periferico diventa centro di riferimento che, in sinergia con la centrale COT risponde al meglio alle esigenze di questi pazienti. Una rete strutturata di telemedicina, inoltre sarebbe realmente un supporto efficace in grado di poter coinvolgere in questo percorso anche le case della salute e l’abitazione stessa del paziente al fine di ottimizzare tempi e costi destinati alla prevenzione secondaria e al controllo periodico del paziente cardiopatico cronico. Sono moltissimi gli ambiti in cui è possibile immaginare dei “teleambulatori” in ambito cardiologico, e sono già parecchie le esperienze in merito. Il limite maggiore è che si tratta di esperienze distribuite a macchia di leopardo, isolate e lasciate all’autogestione del singolo centro ospedaliero, anzi della singola unità operativa, spesso con scarso supporto sia a livello locale che regionale. Una volta realizzata l’infrastruttura prevista dal Piano, sarà necessario aver già pensato al suo utilizzo pratico, stilando indicazioni, prestazioni, percorsi e tempi.

Alcuni esempi pratici: La cardiopatia ischemica: nel paziente meno complesso (frazione di eiezione conservata, non complicanze), la visita di controllo a 1 mese ha lo scopo di valutare presenza o assenza di sintomi, aderenza e efficacia della terapia e l’eventuale comparsa di effetti collaterali/danni jatrogeni. Gli esami ematici necessari vengono effettuati nei giorni precedenti alla visita, l’automisurazione della pressione arteriosa è efficace e attendibile, l’elettrocardiogramma potrà essere eseguito c/o la casa della salute dotata di elettrocardiografo con teletrasmissione. In tutti questi numerosi pazienti un teleconsulto sarebbe sufficiente a fornire al paziente gli strumenti necessari a proseguire le cure, a ottimizzare la terapia e a mettere in atto quei correttivi eventualmente richiesti. La riduzione dei tempi è evidente, ma non riduce l’efficacia della prestazione. Lo stesso discorso vale per la visita a 6 mesi, che spesso viene disattesa proprio per l’impossibilità di rispondere alle richieste. Lo scompenso cardiaco: è l’ambito nel quale le esperienze sono già più forti, non solo per quanto riguarda la televisita; già da anni esperienze di telecounseling medico e infermieristico si sono dimostrati efficaci nel ridurre le ospedalizzazioni e quindi i costi sanitari e nel migliorare la qualità della vita del paziente. Le aritmie cardiache: grazie all’impianto di device dotati di telecontrollo, le visite periodiche di controllo sulla durata della batteria stanno via via diventando effettivamente obsolete. Questo tipo di telemonitoraggio permette di raggiungere in particolare i pazienti che abitano in zone particolarmente disagiate (piccole isole, montagna, ecc) che sono maggiormente sfavoriti. Il telecontrollo dei PM diventa anche fondamentale nella rilevazione di episodi di fibrillazione atriale parossistica oltre che ovviamente di aritmie maggiori. Già dedicando delle piattaforme e percorsi condivisi a questi pazienti stiamo rispondendo ad un’ampissima platea di pazienti, ad oggi molto spesso abbandonati a sé stessi o nella quale la titolazione e le modifiche terapeutiche sono a carico del MMG. Ignorare la profonda mutazione del quadro epidemiologico delle malattie cardiovascolari e le potenzialità che questo tipo di approccio permetterebbe di ottenere in termini di copertura delle prestazioni e risposta alle reali necessità assistenziali di questi pazienti è il vero, unico rischio legato al PNRR. Non entrare oggi in questa visione ad ampio raggio potrebbe comportare un investimento di risorse legato a schemi scaduti sia dal punto di vista di efficienza che di validità perdendo una rara occasione di modernizzazione dei servizi di cura che siano più rispondenti ai bisogni reali dei pazienti e dei MMG che li hanno in cura.

Per approfondire l’argomento si rimanda alla lettura del White Paper ANMCO PNRR disponibile online alla seguente pagina.

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