Le Cardiologie e la loro attrattività per i giovani Cardiologi <br>Una riflessione sulle cardiologie dei piccoli Ospedali

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Le Cardiologie e la loro attrattività per i giovani Cardiologi
Una riflessione sulle cardiologie dei piccoli Ospedali

Le Cardiologie di piccole dimensioni scontano maggiori difficoltà a mantenere la loro attrattività

L’integrazione con altre strutture e gli investimenti del PNRR possono aiutarle

Commento agli articoli del Dott. Gian Luigi Nicolosi “Quali caratteristiche possono rendere più attrattiva una Cardiologia per le nuove generazioni di Cardiologi?” e del Prof. Gianfranco Sinagra “Riappropriarsi del senso pieno della Medicina per rendere più attrattive tutte le organizzazioni cardiologiche”

Ho letto l’articolo del Dott. Gian Luigi Nicolosi (“Quali caratteristiche possono rendere più attrattiva una Cardiologia per le nuove generazioni di Cardiologi?) e il successivo commento del Prof. Gianfranco Sinagra (“Riappropriarsi del senso pieno della Medicina per rendere più attrattive tutte le organizzazioni cardiologiche”, pubblicati su “Cardiologia degli Ospedali” di settembre-ottobre 2023 e di gennaio-febbraio 2024, rispettivamente1,2. L’articolo di Nicolosi individua quali elementi attrattivi fondamentali per le nuove generazioni di Cardiologi le dotazioni tecnologiche aggiornate e le offerte di crescita formativa strutturata, nonché il clima lavorativo interno; aspetti che sono al centro anche della più ampia riflessione del Prof. Sinagra, che inoltre approfondisce la questione della maggiore difficoltà che incontrano le Cardiologie di piccole dimensioni a dotarsi di adeguate tecnologie e a strutturare percorsi formativi e di ricerca particolarmente necessari alla crescita professionale dei giovani Cardiologi. Su quest’ultimo aspetto, e sulla scorta della mia personale esperienza nelle Cardiologie dell’Umbria, vorrei portare il mio piccolo contributo a questo interessante dibattito avviato dai due illustri Cardiologi dell’Ospedale di Pordenone, e del Dipartimento Cardiotoracico dell’Università di Trieste. Primo punto, le tecnologie avanzate. In passato molte delle tecnologie cardiologiche – ecocardiografia, ultrasuonografia vascolare, Holter ECG e pressorio, test da sforzo, ecostress – erano abbastanza diffuse sul territorio (si parlava di democratizzazione delle tecniche) e non penalizzavano le piccole Cardiologie, mentre erano ovviamente più concentrate nei centri maggiori la cardiochirurgica e la elettrofisiologia. In Umbria la cardiochirurgia è arrivata negli anni ’90, insieme alla emodinamica e alla elettrostimolazione. Procedure di Cardiologia interventistica più complesse come la TAVI sono molto più recenti e fino all’inizio degli anni 2000 erano di esclusiva competenza cardiochirurgica. Successivamente il decreto 70/2015 e la definizione dei presidi, la istituzione della rete E/U e la classificazione tra Hub e Spoke, la cardiochirurgia, la rete del neonato critico hanno differenziato sempre di più le strutture per bacino di utenza, alta specialità e qualità delle prestazioni. L’Umbria con i suoi poco più di 850 mila abitanti è ora organizzata in 2 DEA di II° livello, nei capoluoghi Perugia e Terni (in questo secondo caso con popolazione limitata rispetto agli standard previsti), ma dotati anche di tecniche interventistiche, 5 DEA di I° livello e 12 Ospedali di base, di cui 4 dedicati alla riabilitazione. La forte riduzione della spesa sanitaria ha riguardato anche gli investimenti in macchinari e tecnologia, con effetti negativi su tutte le componenti della Cardiologia regionale, ma ne hanno risentito soprattutto le piccole Cardiologie, le cui dotazioni tecnologiche di conseguenza spesso non riescono a tenere il passo della sempre più rapida innovazione. In definitiva, quanto ad adeguatezza delle dotazioni tecnologiche si sta indubbiamente ampliando il divario delle piccole Cardiologie rispetto ai centri principali della regione. Il PNRR può essere l’occasione per recuperare almeno una parte degli investimenti non fatti nella sanità italiana e quindi anche nella nostra regione. Come è noto, la Missione 6 propone investimenti per realizzare una organizzazione complessa, fatta di accordi con i MMG, rete del cronico e dell’ospedaleterritorio, attivazione dei vari setting assistenziali previsti – degenziale, ambulatoriale, domiciliare – sviluppo della riabilitazione e perseguimento dell’obiettivo della multidisciplinarietà; il tutto legato e sostenuto da un forte investimento nella digitalizzazione. L’obiettivo centrale è realizzare le condizioni per prendersi cura delle persone affette da “malattie non trasmissibili” dopo dimissione da Ospedali per acuti, e in questo senso può essere considerato un completamento della riforma sanitaria della legge 833/78. In Umbria il PNRR sanità prevede molti interventi diffusi, oltre che nella medicina del territorio, anche nei piccoli e medi Ospedali. Il che può indubbiamente costituire una opportunità di sviluppo anche di tutto l’ambiente cardiologico territoriale e delle sue connessioni con le Cardiologie ospedaliere, rendendole più attrattive per i giovani Cardiologi. E forse non solo per quei Cardiologi che, come dice il Prof. Sinagra, tendono (o tendevano) a privilegiare la capacità di interazione multidisciplinare e l’approccio globale al malato, che sono fondamentali nella Cardiologia ambulatoriale e della cronicità. Il PNRR potrebbe favorire un modello alternativo di attrattiva per i giovani Cardiologi fondato anche sulle tecnologie della digitalizzazione e l’impulso che esse possono dare alla conoscenza dei dati epidemiologici, delle patologie prevalenti e relativi outcome, dei trattamenti e recidive, di abitudini e comportamenti, e alle relative attività di ricerca. Secondo punto, l’offerta di crescita formativa strutturata. Su questo mi permetto anch’io di fare riferimento alla mia esperienza personale, sia lontana nel tempo come giovane Cardiologa negli anni iniziali della mia carriera, sia più recente, quando ho avuto la responsabilità di una delle attuali 5 DEA di I° livello. Da giovane Cardiologa ho potuto fare numerose esperienze formative, più o meno lunghe. Dopo il tirocinio specialistico all’Ospedale Lancisi di Ancona, ho frequentato la Cardiologia di Firenze, il “Bambino Gesù” di Roma, uno stage di sei mesi a Rochester (NY) per l’ecocardiografia e uno a Londra per il neonato. Tutto a mie spese, naturalmente. Ma ciò che va sottolineato non è tanto che il Sistema Sanitario non finanziava già allora queste fondamentali attività, ma soprattutto che, allora, era almeno possibile prendere delle aspettative allo scopo, anche non brevi, perché le Cardiologie, come tutte le specialità ospedaliere, erano dotate di sufficiente personale. Più di recente, dieci o quindici anni fa, come Primario di una Cardiologia (Gubbio-Gualdo Tadino) – e per due anni anche di quella di Città di Castello – proprio a causa della già carente disponibilità di personale, è stato molto più difficile far ripetere ai giovani Cardiologi che collaboravano con me esperienze formative simili alla mia. E tuttavia, qualcosa è stato possibile fare: un congedo formativo in ecostress, una formazione sullo scompenso cardiaco promosso dall’ANMCO, uno presso il Bambin Gesù per la Cardiopatie Congenite, uno per aritmologia e PMK, uno presso l’emodinamica di Perugia. Oggi che le carenze di personale sono quelle drammaticamente evidenziate negli articoli di cui parliamo, è evidente che le difficoltà di organizzare percorsi formativi sono enormemente aumentate. Ed è altrettanto evidente che chi ne risente di più sono le piccole Cardiologie, che non hanno la possibilità di organizzarle al proprio interno ma devono necessariamente rivolgersi ai centri maggiori. Il che richiede, come sottolinea il Prof. Sinagra, l’attitudine a integrarsi con professionisti di diverse strutture, anche fuori dal proprio contesto territoriale. Una più forte integrazione, orizzontale e verticale, tra le diverse strutture della rete è indubbiamente uno strumento importante per rendere vitali e attrattive per i giovani Cardiologi anche le piccole Cardiologie. Ma è chiaro che con gli attuali problemi di personale e di generale drammatico sottofinanziamento della sanità pubblica non c’è integrazione che tenga. E non è questione di piccole o grandi Cardiologie, ma di tenuta del sistema nel suo complesso, cardiologico e no. Basti pensare che la Francia, con una popolazione di poco più del 10% maggiore dell’Italia, ma mediamente molto più giovane (l’età media è di 43,9 anni contro i nostri 48,4) e quindi con un fabbisogno di cure probabilmente minore del nostro, spende per la sanità più del doppio dei 134 miliardi dell’Italia. La Fondazione Gimbe3 peraltro nella sua recente analisi dei dati OSCE ha calcolato che per colmare il divario di spesa pro capite rispetto alla media europea il fondo sanitario nazionale italiano dovrebbe aumentare di quasi 50 miliardi, per non parlare dei divari con la Francia e con la Germania (che è ancora maggiore), per colmare i quali non basterebbe raddoppiarlo. In quanti anni, con l’enorme debito pubblico del paese e con il rapporto deficit-Pil di recente balzato al 7%? In questa situazione, ormai compromessa, in cui il Sistema Sanitario pubblico si trova oggi dopo due decenni di ridimensionamento della spesa sanitaria – avvenuta mentre altri paesi al contrario la espandevano decisamente – per quanta buona volontà ci si possa mettere da parte degli operatori sanitari, mi sembra difficile pensare che le nostre Cardiologie pubbliche, grandi e piccole, possano diventare più attrattive per i giovani Cardiologi. È molto più probabile che diventino sempre più attrattive quelle private.


Bibliografia:

  1. Nicolosi GL: Quali caratteristiche possono rendere più attrattive una Cardiologia per le nuove generazioni di Cardiologi? Cardiologia negli Ospedali. N. 255. Settembre -ottobre 2023.
  2. Sinagra GF: Riappropriarsi del senso pieno della Medicina per rendere più attrattive tutte le organizzazioni cardiologiche. Cardiologia negli Ospedali. N. 257. Gennaio-febbraio 2024.
  3. Fondazione Gimbe, 6° Rapporto sul sistema sanitario nazionale, Roma 10 ottobre 2023.

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