Si è conclusa l’iniziativa delle Aree ANMCO Cronicità Cardiologica, Cardiorenale e Metabolica e Prevenzione Cardiovascolare
È noto che il fenomeno dell’inerzia medica causa una ridotta probabilità di raggiungere target intensivi di trattamento e/o una ridotta prescrizione di terapie innovative con sicura dimostrazione di un beneficio prognostico. Per esempio, potrebbe rientrare nel primo caso la scarsa prescrizione di potenti terapie ipolipemizzanti di combinazione (atorvastatina e rosuvastatina con ezetimibe) o il ridotto utilizzo degli ultimi ritrovati nel campo delle dislipidemie (anticorpi anti-PCSK9, acido bempedoico ed inclisiran). Poco dopo le linee guida ESC sulle dislipidemie, lo studio europeo DA VINCI dimostrava che solo il 18% dei pazienti in prevenzione secondaria raggiungeva il target di 55 mg/ dL e che gli inibitori del PCSK-9 venivano utilizzati solo nell’1% dei casi. Nella realtà italiana, lo studio PONTE-SCA Puglia, che ha incluso e seguito per 12 mesi oltre 2.400 pazienti dimessi dopo sindrome coronarica cronica, ha documentato come il 60% dei soggetti non fosse a target. In particolare, nonostante la quasi totalità dei pazienti fosse in terapia statinica (99.5%), solamente una quota esigua veniva trattata con ezetimibe (16.1%) e/o anticorpi anti- PCSK9 (9.9%), a dimostrazione della non ottimale aderenza dei Cardiologi alle linee guida. Nel secondo caso rientrano l’utilizzo non ottimale di una serie di nuove terapie già disponibili e raccomandate dalle linee guida (rivaroxaban 2.5 mg, ticagrelor 60 mg, colchicina) per i pazienti a rischio cardiovascolare estremo, ma anche, in prospettiva, alcuni approcci terapeutici che potrebbero diventare pratica clinica nel prossimo futuro indirizzati alla riduzione della lipoproteina(a) e del “vecchio” acido urico. Il fenomeno dell’inerzia medica è complesso e riguarda spesso questioni correlate con la variabile tempo: la spesa in termini di tempo necessaria alla formazione del medico per apprendere nuovi concetti e per metterli in pratica, il tempo eccessivo spesso richiesto dalle istituzioni per alcune prescrizioni farmacologiche ed il tempo necessario per spiegare al paziente qualcosa di nuovo (es. rischio di sanguinamenti con DAPT prolungata o rivaroxaban, spiegazioni relative alla modalità di somministrazione atipica per la Cardiologia dei nuovi farmaci iniettivi). Formare in modo diffuso i Cardiologi italiani sui nuovi fattori di rischio, sulle nuove terapie e sulla necessità di essere intensivi sui classici fattori di rischio cardiovascolare è quindi molto importante. Con questa Web Survey le nostre Aree si sono proposte di capire a che punto siamo nel nostro Paese con le conoscenze in merito ai target lipidici ed ai nuovi fattori di rischio cardiovascolare, in modo da poter mirare a un’attività formativa che contribuisca a ridurre l’inerzia terapeutica e migliorare la comunicazione medico-paziente, momento chiave di promozione dell’aderenza terapeutica. La Web Survey, approvata dal Consiglio Direttivo, composta da 28 domande a risposta multipla, è stata inserita sul Sito ANMCO per circa due mesi. Vi hanno partecipato 276 Cardiologi (circa 2/3 uomini, quasi la metà di età 36-59 anni). Il numero può sembrare basso, ma rappresenta un buon campione del mondo cardiologico italiano.
La percentuale di pazienti a rischio molto alto con Colesterolo LDL a target è inferiore al 50% per il 41,3% e al 25% per il 36,2%. Nonostante ciò, i target delle ultime linee guida ESC sono considerati ottenibili dall’83,3%, l’83,7% conosce la strategia strike early & strong e il 92% si ritiene soddisfatto delle strategie ipolipemizzanti a disposizione. La stragrande maggioranza (72,5%) imposta in prima battuta in soggetti ad alto rischio un trattamento con statina ad alta intensità più ezetimibe. Il 60,9% prescrive PCSK9-inibitori, e il 65,2% vede come limite più importante alla loro prescrizione le difficoltà burocratiche. Il 69,2% può prescrivere PCSK9-inibitori, il 65,9% acido bempedoico, e il 40,9 inclisaran. Solo il 43,5% ha ampie conoscenze sull’acido bempedoico, e il 52,2% ritiene che lo prescriverà in meno del 25% dei pazienti. Solo il 38,4% ha ampie conoscenze sull’inclisaran, e il 40,6% ritiene che lo prescriverà in meno del 10% dei pazienti. Il 68,5% prescrive il dosaggio della lp(a) solo nel 10% dei pazienti con SCA, nonostante il 75,4% dichiari di conoscere la raccomandazione delle linee guida sul dosaggio almeno una volta nella vita e il 41,3% ritenga che meno del 25% di questi pazienti abbia una lp(a) elevata. Il 72% dichiara di non conoscere farmaci attualmente in studio per la riduzione della lp(a). Nonostante il 75,4% sia a conoscenza della raccomandazione delle linee guida ESC sull’uso della colchicina nei pazienti con precedente infarto ad elevato rischio residuo, solo il 53% ritiene che questo farmaco possa essere un’arma effettiva e il 76,8% non lo ha mai usato in questo setting. Il 49,3% ha intrapreso una terapia con rivaroxaban 2,5 in meno del 10% di pazienti, ma il 77,9% ritiene che i criteri di prescrivibilità di questa molecola siano limitativi. Per il 76,8% l’acido urico è sicuramente un fattore di rischio da trattare e il 74,3% inizierebbe una terapia per valori superiori a 6 nelle donne e 7 negli uomini. Per l’80,1% il febuxostat non è controindicato nella cardiopatia ischemica. Il 66,7% conosce lo studio ALL-HEART con l’allopurinolo. Le ultime domande riguardavano il tema dell’aterosclerosi pluridistrettuale. Nei pazienti con cardiopatia ischemica il 79% afferma di ricercare i polsi periferici e il 43,5% dichiara di prescrivere sempre un ecodoppler arterioso, ma solo il 14,5% esegue sistematicamente un ABI. Nel loro complesso queste risposte, pur tenendo conto del noto bias di selezione, per cui rispondono alle survey i professionisti più interessati all’argomento, dimostrano una buona conoscenza dei Cardiologi italiani su queste tematiche, ma nel contempo la necessità di percorsi formativi dedicati per superare il gap, tuttora presente, tra linee guida e il mondo reale.