La responsabilità per colpa medica

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La responsabilità per colpa medica

La disciplina della responsabilità medica in materia penale rappresenta da anni una delle questioni più tormentate e controverse sulle quali, a più riprese, il nostro legislatore si è infelicemente cimentato nell’annunciata intenzione di fissare un limite alla colpa del sanitario, seppur tenendo in conto l’esigenza di garantire una efficace tutela della salute del paziente. Nonostante non possa sottacersi che il terreno sia quanto mai impervio, movendoci tra tematiche giuridiche di particolare complessità, oltre che di rilievo costituzionale, quel che forse è mancata sino ad oggi è stata una deliberata e netta scelta di campo, volta ad escludere radicalmente la rilevanza penale della colpa medica riconducendola nell’alveo dell’illecito civile e disciplinare, come peraltro avviene in molti Paesi. E se non questo, almeno la formulazione di un precetto normativo che assicuri una precisa determinazione delle fattispecie legale sanzionabile, scevra da classificazioni concettuali foriere di approdi esegetici diversi (leggasi oscillazioni giurisprudenziali), di un correlato aumento dei margini di discrezionalità degli interpreti e, dunque, di una maggiore aleatorietà degli esiti dei procedimenti giudiziari. Sebbene all’orizzonte si intravedano possibili ed ulteriori scenari di riforma della legge sulla responsabilità medica nei termini appena indicati, appare opportuno in questa sede tracciare le linee dell’attuale stato dell’arte. La legge n. 24/2017, nota come “GelliBianco”, attualmente in vigore, è sostanzialmente intervenuta quale correttivo ai plurimi problemi interpretativi insorti nella giurisprudenza di merito e di legittimità in sede di applicazione della previgente disciplina dettata dalla cd. Legge Balduzzi, la quale aveva tentato di restringere l’area della penale responsabilità del sanitaria ancorando, per i casi di colpa lieve, la valutazione della condotta al rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. La “laconica ed ambigua disciplina” introdotta dalla Legge Balduzzi aveva infatti sollevato molteplici interrogativi: quali sono le linee guida di riferimento? Che cosa sono le buone pratiche? La penale responsabilità è esclusa solo in caso di colpa per imperizia o anche per imprudenza e negligenza? Come distinguere fra colpa lieve e colpa grave? Così, intervenendo a gamba tesa nell’insorto dibattito dottrinario e giurisprudenziale, il legislatore ha tentato di offrire, purtroppo solo apparentemente, una soluzione ai problemi con l’introduzione nel codice penale dell’articolo 590 sexies, rubricato “responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”. Recita il secondo comma dell’articolo in parola: “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, dalle buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultano adeguate alla specificità del caso concreto”. Ma se ad una prima lettura sembrerebbero fornite alcune risposte agli interrogativi suscitati dalla precedente disposizione normativa (individuazione delle linee guida pubblicate ai sensi di legge, rilevanza scriminante alla sola imperizia e soppressione del grado della colpa), altri ed ancor più ampi i contrasti interpretativi suscitati dalla infelice formulazione della novella, come a dire “chiusa una falla, aperta una voragine”! In estrema sintesi, questi i nuovi temi di scontro in relazione ai quali, non appena promulgata la norma, si è pervenuti ad approdi divergenti:

  1. la rilevanza da attribuire alle linee guida così come delineate dal legislatore (precetti cautelari vincolanti o necessitanti un adattamento al caso concreto?);
  2. la difficoltà di “delimitare in concreto la nozione di imperizia da quelle confinanti e, talora, in parte sovrapponibili di negligenza ed imprudenza”;
  3. la difficoltà di conciliare il grave discostamento del sanitario dal proprium professionale con il rispetto delle buone pratiche clinico assistenziali, e, dunque, decisivamente, la difficoltà di conciliare la colpa grave con un giudizio positivo di adeguatezza delle linee guida al caso concreto”.

Dal che, l’immediato intervento delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (sentenza n. 8770/18, Mariotti) le quali, muovendo dal quesito “quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l’ambito applicativo della previsione di “non punibilità” prevista dall’art. 590-sexies c. p., introdotta dalla L. 8 marzo 2017, n. 24”, hanno operato una riscrittura, si vedrà persino additiva, della norma in esame, definendone i concreti margini applicativi. Prima di analizzarne i termini va necessariamente evidenziata la puntualizzazione operata dalla Corte sulla natura, finalità e rilevanza delle linee guida. Risultato della convergenza delle più accreditate fonti del sapere scientifico, le linee guida assumono la duplice valenza di rappresentare una autorevole guida per l’operatore sanitario e di fornire all’interprete giudiziario una maggiore determinatezza per la disamina delle fattispecie colpose. Tuttavia, nonostante l’espressa previsione contenuta nella legge Gelli Bianco, esse non danno luogo a norme propriamente cautelari e la loro violazione non configura ipotesi di colpa specifica: l’osservanza o l’inosservanza della guida terapeutica indizia soltanto la presenza o l’assenza di colpa ma non implica l’automatica esclusione o affermazione della imputazione soggettiva, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto. Peraltro, pur rappresentando un utile parametro nell’accertamento dei profili di colpa, le linee guida non eliminano la discrezionalità giudiziale insita nel giudizio di colpa: il giudice resta, dunque, libero di valutare se le circostanze concrete esigano una condotta diversa da quella prescritta dalle stesse linee guida. Venendo adesso al merito della concreta applicabilità della nuova norma, le Sezioni Unite, muovendo dal presupposto che l’ambito di operatività dell’art. 590 sexies c.p. si individua nella condotta del sanitario che, pur attenendosi a linee guida qualificate, accreditate ed adeguate al caso di specie, abbia cagionato per imperizia l’evento lesivo o mortale, operano una distinzione in due fasi dell’atto medico:

1 – La fase della individuazione-selezione delle linee guida
Tale azione dovrà essere effettuata in termini assolutamente corretti. Solo in questo caso potrà dirsi che le linee guida siano state rispettate. Di conseguenza, l’eventuale colpa (anche lieve) che ricada nella individuazione-selezione delle linee guida o del loro necessario adattamento alle peculiarità della situazione concreta non sarà scriminata.

2 – La fase della esecuzione delle linee guida (cd. attuativa)
Una volta superato correttamente il momento selettivo delle linee guida, l’eventuale errore colpevole per imperizia nell’atto medico, pur casualmente determinante alla verificazione dell’evento lesivo, non sarà punibile se attestato nel perimetro delle linee guida, sempre che esso sia conseguito ad uno scostamento da queste ultime “marginale e di minima entità” (id est: colpa lieve).

Dal riferimento alla limitazione della causa di non punibilità all’errore causato dallo “scostamento marginale e di minima entità” si coglie l’interpretazione “additiva” della Corte di Cassazione rispetto al tenore letterale dell’art. 590 sexies cp, che, al contrario, non contempla, ai fini della sua operatività, alcuna gradazione della colpa. Ma secondo le Sezioni unite, seppur a dispetto della “mancata evocazione esplicita da parte del legislatore del 2017”, la nozione di “colpa lieve sarebbe logicamente sottesa alla norma in esame o meglio “intrinseca alla formulazione del nuovo precetto”, giacché la costruzione della esenzione da pena per il sanitario rispettoso delle raccomandazioni accreditate in tanto si comprende in quanto tale rispetto non sia riuscito ad eliminare la commissione di errore colpevole non grave, eppure causativo dell’evento”. Da tutto quanto sopra, i principi di diritto (di fatto, la riformulazione dell’art. 590 sexies c.p.) fissati dalla giurisprudenza in tema di responsabilità sanitaria. L’esercente la professione sanitaria risponderà quindi, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medicochirurgica:
a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinicoassistenziali;
c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Purtroppo, la soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, per quanto possa risultare più o meno condivisibile sul piano metodologico, nemmeno risolve in maniera esaustiva l’indeterminatezza della novella, rimanendo privi di definizione normativa e tutt’ora dibattuti non solo le differenti connotazioni della colpa (come distinguere imprudenza, negligenza ed imperizia?) ma persino i suoi gradi (come distinguere tra colpa grave e colpa lieve?), senza parlare poi della genericità del concetto di buone pratiche clinicoassistenziali, con il che non resterà che affidarsi ancora una volta alle “personali convinzioni” degli interpreti, con buona pace per la certezza del diritto e la riduzione della discrezionalità giudiziaria. Quel che è certo è che, ancora una volta, pur sbandierando l’adozione di una riforma della responsabilità sanitaria, il legislatore ha mancato l’obiettivo di garantire “più certezze di irresponsabilità”, con la conseguenza che ai medici non resterà che sperare in un nuovo e più “perito” ritorno del legislatore sulla materia. Insomma, si cambi nuovamente tutto ma non facciamo che, come disse qualcuno, tutto rimanga sempre immutato.

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