Il Consenso (dis)informato

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Il Consenso (dis)informato

È una mattina come tante, e Giovanni, cardiologo di reparto, sta verificando le consegne subito dopo il breafing. In programma per oggi ci sono cinque pazienti che dovranno essere sottoposti a coronarografia elettiva, un paziente a CRT-ICD, uno a PM definitivo (un monocamerale perché il paziente è fibrillante) e una sostituzione di generatore di PM. In UTIC ci sono poi le coronarografie da eseguire in urgenza. È necessario che tutti i pazienti firmino i consensi informati. Il paziente del letto tre non sente quasi nulla, ha una grave ipoacusia e un decadimento cognitivo. Fargli firmare il consenso informato sarà veramente un’impresa. Non ha nemmeno figli, solo un nipote, ma abita in Francia. E la moglie non è mai venuta a trovarlo, abita con la badante, e non può uscire. Tuttavia il paziente ha un PM scarico, per cui è stato inviato direttamente dall’ambulatorio PM ieri pomeriggio. Del resto il paziente aveva saltato l’ultimo controllo. Giovanni controlla l’orologio, sono già le 9 e deve ancora iniziare il giro visita. Tuttavia la prima cosa da fare è verificare le terapie e far firmare i consensi dei pazienti da sottoporre a procedure interventistiche, prima che vadano in sala senza. Così Giovanni, con i consensi stampati e ben impilati sul carrellino della visita, inizia a spiegare ai pazienti da quale patologia sono affetti e a che tipo di procedura saranno sottoposti e poi presta la penna per far firmare i consensi informati. Stamattina c’è anche lo specializzando che gli da una mano. Giovanni va firmare il consenso ad ognuno di loro. Uno dopo l’altro. Il paziente del letto due dice a Giovanni, con un certo orgoglio, che sua figlia, che studia medicina (è bravissima, le mancano ancora solo 8 esami!) gli ha già spiegato che dovrà essere sottoposto a coronarografia perché ha dolore e una scintigrafia positiva, ma lui non ha ben capito di cosa si tratti, però, va bene, la farà ugualmente e si raccomanda però che vada tutto bene. Anche il vecchietto ipoacusico, pur senza grande convinzione firma. Poi, uno alla volta, i pazienti vengono portati in sala con i loro consensi informati. Ma che cosa è il consenso informato? Come si informa veramente il paziente? E soprattutto, come si fa a stabilire che il paziente sia stato veramente informato sul tipo di patologia da cui è affetto, sulla procedura per cui è stata posta indicazione e sui rischi ad essa connessi in caso di complicanze. E in ultimo aver fatto firmare preventivamente il consenso, ci solleva da eventuali responsabilità in un contenzioso medico-legali? Una regola generale della responsabilità civile stabilisce che è il danneggiato a dovere dimostrare, oltre il danno subito, la colpa che rende responsabile l’agente. Tale regola, però, viene ribaltata nei casi in cui la legge fa scattare automaticamente una presunzione di responsabilità al verificarsi del danno, onerando il soggetto colpito dalla presunzione legale della prova a discolpa. È quello che è accaduto in materia di responsabilità sanitaria, laddove la giurisprudenza, per il danno alla salute del paziente, ha caricato sul medico l’onere della prova elaborando la teoria, non prevista da nessuna legge, del c.d. “contatto sociale”. Ciò ha incentivato il fenomeno della medicina difensiva, costringendo i professionisti a preoccuparsi in ogni circostanza di precostituirsi gli elementi di prova volti a dimostrare, nell’eventuale futuro contenzioso, di non avere avuto colpa nella causazione del danno il cui risarcimento il paziente avrebbe potuto richiedere entro il termine decennale di prescrizione. La riforma Gelli-Bianco (legge 8 marzo 2017 n. 24) ha avuto il merito di distinguere la responsabilità del medico da quella della struttura sanitaria, stabilendo che è quest’ultima a dovere rispondere del danno alla salute, a titolo di responsabilità contrattuale e con presunzione di colpa salvo prova contraria, fino alla scadenza del termine decennale di prescrizione. In virtù della distinzione operata dalla riforma del 2017, oggi il medico risponde del danno alla salute a titolo di responsabilità extracontrattuale, per cui non se ne può presumere la colpa, rimanendo a carico del paziente l’onere della prova sulla sussistenza della colpa professionale. Colpa che si configura, ma è il paziente a doverlo dimostrare, in caso di negligenza, imprudenza, imperizia o “errore medico” (ritardata o errata diagnosi, errore di intervento chirurgico, cure insufficienti o errate, omissione di esami diagnostici). Altra non trascurabile differenza attiene al termine di prescrizione che per il mediconon è più determinata in dieci anni, ma si dimezza a cinque anni dalla data del verificarsi dell’evento dannoso. Nello stesso anno della riforma Gelli-Bianco, ma con altro testo normativo (legge 22 dicembre 2017 n. 219), che ha disciplinato il consenso informato, senza però risolvere le numerose questioni sorte intorno al corretto adempimento di tale obbligo. La giurisprudenza si era orientata nel senso di configurare, quella del medico che ometta di informare compiutamente il paziente per ottenerne il consenso, come responsabilità da “contatto sociale qualificato”, facendone conseguire la presunzione di colpa, l’onere della prova a discolpa a carico del professionista e l’applicazione del più ampio termine di prescrizione decennale. Mentre la riforma Gelli- Bianco nulla ha statuito sul punto, avendo operato il distinguo nella configurazione della responsabilità civile fra medico e struttura sanitaria esclusivamente sul piano del danno alla salute, presidiato dall’art. 32 della Costituzione come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il consenso informato, viceversa, fondandosi sul combinato disposto degli art. 13 e 32 della Costituzione, mira a salvaguardare non il danno alla salute in sé, bensì il potere di autodeterminazione del paziente quale espressione del diritto di libertà, generalmente presidiato dall’art. 13 Cost., in relazione ai trattamenti sanitari cui debba essere sottoposto. Scopo del consenso informato è di mettere il paziente in condizione di comprendere pienamente i rischi e i vantaggi del trattamento sanitario propostogli, in modo che egli possa esercitare e mantenere la piena facoltà di scegliere tra diversi percorsi terapeutici quello preferibile, conservando in ogni momento il diritto di interrompere la terapia. Il consenso, pertanto, deve essere frutto di una reale ed effettiva informazione, che il medico ha l’obbligo di fornire con chiarezza e completezza assicurandosi che il paziente abbia compreso il contenuto dell’informazione. La semplice apposizione della firma del paziente sul modulo predisposto al fine di attestarne il consenso potrebbe non bastare, poiché produce unicamente l’effetto giuridico di invertire l’onere della prova, ma non impedisce al paziente di contestarla adducendo di non avere in effetti compreso l’informazione assentita. La legge 22 dicembre 2017 n. 219 stabilisce che, affinché il consenso sia validamente prestato devono essere fornite al paziente “informazioni sufficientemente chiare, trasparenti, esaurienti, dettagliate, complete e facilmente comprensibili”. Una storica sentenza della Corte costituzionale (n. 438 del 2008) ebbe ad affermare che il mancato adempimento dell’obbligo del consenso informato, da parte del medico, costituisce una illecita violazione indipendentemente dal fatto che il trattamento sanitario sia andato a buon fine. Una simile affermazione, per un verso chiarisce che vanno tenute distinte le due obbligazioni (quella di acquisire il consenso informato, rispetto a quella di eseguire correttamente il trattamento sanitario), ma nel contempo, essendo il rapporto medico-paziente una relazione giuridicamente complessa, comporta che il mancato consenso informato potrebbe generare una risposta plurioffensiva, pregiudicando sia il diritto all’autodeterminazione, sia quello alla salute. Recentemente la Corte di Cassazione (sentenza n. 26104 del 5 settembre 2022) ha stabilito che i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato sono i seguenti: a) nell’ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sarà dovuto; b) nell’ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a più accurati attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici. In buona sostanza la Corte fa dipendere il diritto del paziente, che non abbia subito danno dal trattamento sanitario, al risarcimento per omessa o insufficiente informazione sulla quale abbia prestato il consenso, dall’assolvimento dell’onere di provare di avere subito un danno “morale”, la cui consistenza è rimessa alla valutazione “equitativa” del giudice. Rimane irrisolto il nodo, che la stessa riforma Gelli Bianco non ha saputo sciogliere, della estensione al consenso informato del regime di responsabilità differenziato frail medico e la struttura sanitaria. Speriamo che la lettura di questo articolo sia stata utile al Dott. Giovanni, cardiologo di trincea, e a tutti noi che, come lui, animati dalla passione per la medicina ci dibattiamo ogni giorno nella tela del ragno costituita dalla burocrazia in medicina.

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