Un team multidisciplinare, attivabile in tutti gli ospedali dotati di emodinamica, potrebbe affrontare anche in Italia come in altre nazioni del mondo, mediante piattaforme dedicate, la diagnosi e corretta cura dei pazienti con embolia polmonare a rischio intermedio-alto ed alto
Il “Pulmonary Embolism Response Team” mette insieme tempestivamente svariate competenze cliniche (cardiologo clinico ed interventista o radiologo interventista, radiologo, chirurgo vascolare, anestesista, medico del pronto soccorso, cardiochirurgo) al fine di fare diagnosi ed una precoce valutazione per garantire il migliore trattamento precoce ed outcome nei pazienti con embolia polmonare a rischio alto, intermedio alto
Il tromboembolismo venoso (TEV), inteso come embolia polmonare (EP) e/o trombosi venosa profonda (TVP), è la malattia cardiovascolare più frequente per mortalità dopo l’infarto miocardico e lo stroke. Ed in una società che invecchia le malattie a genesi tromboembolica non solo arteriosa ma anche venosa sono e saranno sempre più al centro dell’attenzione. Gli scenari clinici dell’EP sono estremamente vari, complessi e talora inquietanti. L’istituzione di un “Pulmonary Embolism Response Team” (PERT), ovvero un consenso multidisciplinare di esperti di EP che si riunisce ed agisce in tempo reale è auspicabile. Condivide diagnosi, trattamento medico, interventistico e chirurgico al fine di identificare la strategia migliore da istituire nel più breve tempo in relazione alla categoria di rischio del paziente. Il primo PERT è stato istituito nel 2012 presso l’Ospedale di Massachusetts (Figura 1), di lì ha pian piano coinvolto sempre più Ospedali fino a giungere ad un numero di circa 30 tra Boston e Massachusetts creando un PERT “consortium” dedicato che attualmente si occupa anche di formazione e ricerca ad ampio raggio sulla tematica.
Nell’EP ad alto rischio è l’anticoagulazione precoce e la trombolisi a dose piena, la terapia di scelta in prima istanza, ma sappiamo bene che quest’ultima è controindicata nel 50% dei pazienti. L’emorragia intracranica è la più temibile complicanza emorragica nei pazienti anziani, con trauma e/o neoplasia, come la maggior parte dei pazienti con EP, oltre che alle emorragie gastrointestinali ed addominali spontanee. Si sono affacciate nell’ultimo decennio, tecniche interventistiche percutanee transcatetere (Figura 2), di frantumazione e aspirazione diretta del trombo o di trombolisi sistemica locoregionale (CDT), anche adiuvata da ultrasuoni per trombi più inveterati (USAT), utilizzando dosi ridotte di trombolitico e per tempi sempre più brevi (in attesa dei risultati del PEITHO-3 per la validazione di dosi ridotte di rTPA, nei pazienti a rischio intermedio alto), utili nei pazienti con profili di rischio emorragico a vario titolo più complessi, ed una alternativa alla temibile trombectomia chirurgica, con il suo noto carico di complicanze.
È riportato che il 5-10% dei pazienti con EP a rischio intermedio non risponda efficacemente alla terapia anticoagulante e che talora peggiorino repentinamente, potendo andare incontro a morte, e la mortalità in caso di embolia polmonare non diagnosticata nella prima ora è anch’essa del 10%. Il PERT interpellato può esprimersi per una “escalation” della terapia in atto, offrendo soluzioni di assistenza intensiva al paziente critico (fino all’ECMO) e mettendo in atto una delle tecniche di riperfusione alternativa in dotazione al centro. Nell’esperienza americana, l’istituzione del PERT ha comportato nel tempo la riduzione nell’utilizzo di trombolisi con rTPA a dose piena ed un incremento significativo (oltre il 10%) dell’utilizzo della trombolisi locoregionale con dosi ridotte di rTPA (Figura 3), oltre che ad una mortalità per embolia polmonare del 25%, meno della metà della media nazionale.
Nelle Cardiologie Italiane la realtà della diagnosi e cura dell’embolia polmonare è a macchia di leopardo: poche emodinamiche sono in grado di gestire in autonomia la trombectomia percutanea, mentre in molti centri (anche ad alto volume) essa è appannaggio delle radiologie interventistiche ed il Cardiologo assume un ruolo di secondo piano. L’utilizzo dell’esperienza creata in questi anni dalla rete per la cura delle sindromi coronariche potrebbe essere una via da perseguire per l’istituzione di percorsi dedicati anche per il circolo polmonare. In alcuni degli ospedali ove è attivo il PERT, è stato istituito un numero di telefono dedicato (cicalino) disponibile 24 ore su 24, attivabile da tutti i reparti in caso di diagnosi di embolia polmonare a rischio alto ed intermedio alto: il “fellow” PERT di turno visiona la documentazione via server (anamnesi, rischio emorragico, ECG, ecocardiogramma, angioTC), fa diagnosi di embolia a rischio alto ed intermedio alto, e convoca il team multidisciplinare per definire rapidamente la strategia terapeutica e metterla in pratica: terapia anticoagulante semplice, terapia trombolitica a dose ridotta o piena, o trombectomia percutanea con o senza trombolitico, o assistenza di circolo (ECMO) per eventuale trombectomia chirurgica, seppur ormai quasi aneddotica. In Italia vi è sicuramente un problema di standardizzazione delle metodiche di trombectomia percutanea (ancora poco usate e con grande eterogeneità, come mostrato dal registro PETER), ma anche delle figure eventualmente da coinvolgere nel team. Una proposta di applicazione nei nostri Ospedali (Figura 4) potrebbe essere di coinvolgere un Cardiologo esperto in malattie del circolo polmonare e/o di terapia intensiva cardiologica, che può proporsi vista l’expertise come coordinatore del gruppo, un Cardiologo emodinamista o un radiologo interventista (a seconda delle esperienze locali) a patto di avere on board almeno uno dei device di trombectomia percutanea, un radiologo, il medico di pronto soccorso, un medico internista o angiologo, un chirurgo vascolare in caso di elevato rischio emorragico, ed eventualmente un anestesista in caso di necessità di asssistenza ventilatoria o supporto meccanico al circolo (ECMO in vista di trombectomia percutanea).
Ogni ospedale dovrebbe dotarsi del suo team, con l’avallo di un percorso diagnostico terapeutico aziendale, e del suo “cicalino” dedicato (come nelle realtà americane), ed eventualmente avere già dei contatti con ospedali di 2° e 3° livello se non disponibile onsite la trombectomia. Se correttamente istituito e applicato anche in Italia, e se la trombectomia percutanea iniziasse ad essere più presente nelle nostre Cardiologie e laboratori di emodinamica, il PERT potrebbe essere una modalità di lavoro multidisciplinare con impatto positivo sull’outcome precoce ed a lungo termine dei pazienti con EP.