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A volte vanno… E a volte ritornano. La storia di alcuni farmaci utilizzati nella terapia cardiovascolare è caratterizzata da parabole apparentemente definitive, in altri casi da un andamento ciclico, o da un diverso utilizzo, imprevisto rispetto alle originali indicazioni. L’elenco non è breve. Solo alcuni esempi recenti. Il Trial DIGIT – HF presentato all’ESC quest’anno e simultaneamente pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha riportato benefici effetti dell’aggiunta in terapia di una specifica formulazione di digitale, la digitossina, in pazienti con scompenso cardiaco cronico a FE ridotta, mostrando un miglioramento anche se non significativo degli end – point primari, in una ampia popolazione già sottoposta in una larga percentuale a terapia ottimizzata con i quattro farmaci raccomandati. 

Dopo il DIG trial, pubblicato nel 1997, ritornano quindi nuove evidenze sull’utilità di un farmaco oramai storico e pochissimo utilizzato. Per un farmaco che ritorna, uno che apparentemente va: l’ivabradina. Il tasso del suo utilizzo in pazienti con scompenso cardiaco a FE ridotta, nell’appena concluso Bring – Up Scompenso (anni 2023 – 2024) è risultato, nella prima e seconda fase, del 5.2%. Nel Blitz – HF (anno 2017) era del 19% nella prima fase e del 15% nella seconda. Da notare che la prescrizione dell’ivabradina nel protocollo era considerato un criterio di buona performance. Una manifesta riduzione del suo utilizzo nel tempo quindi, nonostante non siano emersi nuovi o contradditori dati. Infine i beta – bloccanti nel post – infarto. Da farmaci raccomandati e routinariamente prescritti dopo un infarto miocardico perchè in grado di ridurre l’ischemia, le aritmie ventricolari e la mortalità, rischiano di andare in pensione dopo i risultati degli ultimi studi. E’ possibile che questa serie di recenti evidenze possano indurre disorientamento. Solo effetto del tempo, di mode, di mutevoli strategie di marketing, di nuove facility? In alcuni casi non escludibile, ma attenzione a non generalizzare e banalizzare. Il continuo riesame delle terapie è infatti una positiva caratteristica, insita nel metodo scientifico. 

È questa capacità di autocorrezione che rende la Medicina una scienza affidabile nel lungo periodo. Dobbiamo essere aperti a rimettere in discussione le convinzioni consolidate, in quanto anche in Medicina non esistono dogmi perenni e gli approcci terapeutici vanno sottoposti ad una periodica, critica revisione. Che quando metodologicamente adeguata, deve essere recepita con la serena consapevolezza del “mutare e adeguarsi”.♥

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