Carta o digitale? Un commento sulla transizione culturale

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Carta o digitale? Un commento sulla transizione culturale

Innovazione o Tradizione? Il quesito continua a suscitare grande e prevedibile interesse e a stimolare approfondite, dotte e preziose riflessioni… Con grande piacere ospitiamo quelle del Prof. Indolfi, del Prof. Sinagra e di Giuseppe Ciliberti a nome dell’Area Giovani. Contributo, quest’ultimo, che assieme a quello di Francesca Simonelli pubblicato nel precedente numero, ampia la prospettiva, aggiungendo l’opportuna e necessaria visione di amici e colleghi “più giovani”, con un potenziale rapporto con la tecnologia e il digitale sicuramente più “friendly”, forse meno condizionato dalle abitudini e… dall’anagrafe.

Giuseppe Di Tano

La domanda se sia meglio la vecchia e profumata carta o la pagina di un display lanciata su “Cardiologia negli Ospedali” dal Direttore Mario Chiatto non è solo una questione di preferenza personale: è il segno di un’epoca di passaggio, di una trasformazione culturale profonda che stiamo vivendo in tempo reale. Ci interroghiamo su libri, giornali, riviste e persino sulle nostre abitudini di studio e di lettura, perché apparteniamo a una generazione di testimoni: siamo nati con la carta e abbiamo visto nascere e crescere il digitale. Per i più giovani, invece, la distinzione non avrà quasi più senso. Tra qualche decennio, probabilmente, non si parlerà più di “digitale” come di una novità: sarà semplicemente “il modo normale” di leggere, studiare, informarsi. Oggi questa transizione è ancora oggetto di confronto, anche perché tocca corde affettive, estetiche e persino fisiche: il profumo di un libro, la sensazione della carta tra le dita, l’esperienza concreta di uno scaffale pieno sono parte di un mondo che non scomparirà, ma che lentamente si trasformerà in qualcosa di diverso. Dal papiro al display: la storia che si ripete Ogni rivoluzione tecnologica nella scrittura ha generato timori e resistenze. I papiri egizi e le tavolette d’argilla mesopotamiche furono un tempo lo strumento più avanzato per custodire il sapere.

Il commento riflette sulla transizione dal cartaceo al digitale come inevitabile evoluzione culturale Il digitale, più accessibile e “democratico”, ha rivoluzionato la diffusione del sapere senza cancellare il valore affettivo e simbolico della carta Come gli Amish che rifiutano la modernità, chi rifiuta il digitale rischia di perdere le opportunità del futuro

Dal papiro al display: la storia che si ripete 
Ogni rivoluzione tecnologica nella scrittura ha generato timori e resistenze. I papiri egizi e le tavolette d’argilla mesopotamiche furono un tempo lo strumento più avanzato per custodire il sapere. Poi arrivarono la pergamena e il codice, che permisero di conservare e trasportare meglio i testi. La Biblioteca di Alessandria, con i suoi migliaia di rotoli, fu il primo grande simbolo della conoscenza universale, ma anche della sua fragilità: bastò un incendio per cancellare secoli di pensiero. Oggi viviamo un momento analogo. Il digitale è la nuova forma del sapere, e anche questa volta il mondo si divide tra chi lo abbraccia e chi lo teme. Ma la verità è che ogni passaggio porta con sé una perdita e un guadagno. Si perde il contatto fisico con la carta, il profumo di un libro appena aperto, la lentezza della lettura meditata; ma si guadagna in accessibilità, in velocità, in democrazia dell’informazione. 

Il digitale come strumento “democratico” 
Il digitale, tuttavia, ha un merito che non si può ignorare: ha reso la conoscenza più accessibile, più “democratica”. Un tempo, per consultare un articolo scientifico, un quotidiano straniero o una rivista di settore, bisognava recarsi in una biblioteca ben fornita, spesso lontana o con orari limitati. Ricordo ancora, nei miei primi anni da giovane cardiologo partito dal SUD, il fascino delle biblioteche americane, sempre aperte, luminose, modernissime, dove era possibile, anche a mezzanotte, trovare perfino il Giornale Italiano di Cardiologia accanto alle riviste internazionali più prestigiose. Quelle esperienze erano quasi mitiche, ma al tempo stesso riservate a pochi privilegiati che avevano la fortuna di trovarsi nel posto giusto. Oggi, invece, l’accesso all’informazione scientifica e culturale è istantaneo. Bastano pochi secondi e una connessione internet per consultare archivi sterminati, banche dati, quotidiani di tutto il mondo, o leggere l’ultima pubblicazione di una rivista specialistica. L’indicizzazione digitale permette ricerche rapide e precise: nulla sfugge, nulla si perde. È una rivoluzione silenziosa ma potentissima, che ha cambiato il nostro modo di pensare, di lavorare e di imparare.

 

La biblioteca che cambia 
Di fronte a questa trasformazione, anche la mia libreria personale è cambiata. Un tempo rappresentava non solo uno spazio di studio, ma anche una sorta di specchio della mia identità professionale e culturale. Oggi, invece, contiene solo pochi volumi selezionati, scelti per ragioni affettive, per la loro bellezza grafica o per il valore simbolico che conservano. Libri che si sfogliano più per nostalgia che per necessità. Il resto, ciò che serve davvero per aggiornarsi, informarsi o approfondire, è nei tablet, nei computer (che sono aumentati), nel cloud. Un patrimonio immateriale, ma sempre disponibile. Non c’è più bisogno di grandi scaffali, né di spazi dedicati alla conservazione di riviste e annate. Tuttavia, questo non significa la fine del libro come oggetto: piuttosto, la sua rinascita in una forma nuova, più consapevole, quasi artistica. 

Un equilibrio possibile 
Naturalmente, il fascino del cartaceo non può essere sostituito del tutto. Molti ancora preferiscono stampare un articolo per sottolinearlo, per annotare a margine, per ricordare meglio. Anche questo è un gesto di memoria, un modo per mantenere un contatto concreto con il sapere. Ma la direzione della storia è chiara: la carta diventa eccezione, il digitale diventa regola. Il digitale non cancella la cultura, la amplifica; non elimina la profondità del pensiero, ma ne accelera la diffusione. E con l’avvento dell’intelligenza artificiale, la possibilità di accedere, collegare e comprendere informazioni crescerà ancora di più. Gli Amish e la rivoluzione tecnologica Certo, potremmo scegliere di rifiutare la tecnologia, come fanno gli Amish, che vivono ancora secondo le regole del Settecento e si spostano in calesse. È una scelta coerente, ma anche una rinuncia. Possiamo ammirare la loro fedeltà alle tradizioni, ma non possiamo ignorare che il mondo intorno cambia, evolve, inventa. Resistere al digitale significherebbe rinunciare alle opportunità che ci offre: la condivisione immediata del sapere, la collaborazione scientifica senza confini, e, sempre più, l’aiuto dell’intelligenza artificiale, che non sostituisce l’uomo ma lo potenzia, liberandolo dai limiti di tempo e memoria. Come gli Amish che scelgono il calesse al posto dell’auto, anche noi potremmo decidere di leggere solo su carta, ma perderemmo la corsa del futuro. L’importante, forse, è non dimenticare il valore del viaggio che sia su ruote o su bit. Conclusioni In definitiva, la contrapposizione tra carta e digitale è solo apparente. La vera sfida è saper abitare entrambi i mondi, valorizzando ciò che ognuno di essi offre. La carta conserva la memoria, il digitale apre il futuro. L’una rappresenta la solidità del sapere, l’altro la sua espansione. Noi, testimoni di questa transizione, abbiamo il privilegio e la responsabilità di saperli conciliare. Forse tra qualche anno nessuno si chiederà più se sia meglio sfogliare una pagina o scorrere uno schermo. Ci importerà solo del contenuto, della qualità del pensiero, della bellezza delle idee. E in quel momento capiremo che la vera rivoluzione non è tecnologica, ma culturale.♥

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