La seconda edizione della Convention Nazionale Centri Scompenso appena conclusa ha ribadito, tra l’altro, gli straordinari risultati di ottimizzazione terapeutica raggiunti dai cardiologi italiani delle 187 strutture coinvolte dal nostro Centro Studi nel BRING-UP Scompenso. L’elevata percentuale (65%) dell’utilizzo della quadruplice terapia raccomandata dalle Linee Guida per lo Scompenso a FE ridotta è un grande successo della Cardiologia ospedaliera italiana, frutto soprattutto di un impareggiabile modello culturale ed organizzativo ANMCO partito da lontano, dall’era GISSI, che negli anni ha alzato sempre più l’asticella della qualità delle cure per il paziente cardiologico. Da un lato concreti progetti di ricerca clinica collaborativa incentrati sulla soluzione di problemi clinici inevasi, dall’altro efficaci campagne formative nazionali con l’obiettivo di estendere l’evoluzione delle conoscenze, l’applicabilità e la sicurezza dell’utilizzo dei nuovi farmaci nella pratica quotidiana. Uno per tutti l’originale programma definito nella letteratura internazionale come l’“Italian approach to beta-blockers in heart failure”, messo in campo alla fine degli anni ‘90 per accelerare la familiarità dei cardiologi alla terapia beta-bloccante e aumentarne l’implementazione, dopo che lo studio SEOSI aveva mostrato che questi farmaci erano prescritti soltanto nel 4% dei pazienti.
La percentuale arrivò al 52% con la pubblicazione del primo BRING-UP nel 2003. Nel BLITZ-HF (2017) e nell’odierno BRING-UP Scompenso i beta-bloccanti sono oramai utilizzati in oltre il 95 % dei pazienti con scompenso cronico. Sul numero di ottobre di JAMA Cardiology è stata pubblicata una interessante stima di quanti pazienti nel mondo risulterebbero potenzialmente adatti a ricevere una terapia ottimizzata per lo Scompenso e quante sarebbero di conseguenza le morti evitabili se tutti o soltanto un singolo farmaco fosse prescritto agli eleggibili. Considerando che lo Scompenso cardiaco è identificato come problema di salute pubblica globale e riguarda oltre 28 milioni di pazienti nel mondo, si tratta ovviamente di milioni di vite salvate (circa 1.19 milioni all’anno, la maggior parte in Oriente, Africa, Sud-Est Asia e Pacifico occidentale; 187 mila con l’assunzione di un beta-bloccante, 350 mila per gli ARNI, 207 mila per gli MRA, 335 mila per gli SGLT2i). Come per le tante questioni che riguardano l’intero pianeta, anche queste proiezioni potrebbero apparirci “lontane”, specie se confrontate con gli ottimi risultati terapeutici di casa nostra, ma a mio avviso sono un utile spunto di riflessione per rendersi conto di quanto siano eterogenee le realtà geografiche distanti dai nostri confini, su quanto siano complesse e diverse in generale le problematiche di cura, in questo caso per lo Scompenso, condizionate da barriere sociali, economiche e soprattutto organizzative. È un messaggio forte per chi deve capire, per aumentare l’“intensità morale” del problema. Una spinta ad adottare strategie e modelli risultati efficaci nel rimuovere gli ostacoli in modo da tentare di facilitare l’accesso alle migliori terapie per tutti e garantire un equanime diritto alla salute in ogni luogo del mondo.
In copertina

«In periferia di Torino venne individuata un’area molto ampia e qui l’11 novembre 1881 fu posta la prima pietra. Completata la costruzione nel 1884, fu inaugurato e dedicato al re Umberto I in data 1° luglio 1885. L’area prescelta per la costruzione era allora all’estrema periferia sud di Torino, a lato del corso alberato che conduceva alla Palazzina di Caccia di Stupinigi e consentiva non solo di aumentare notevolmente il numero dei letti, ma anche di compiere un vero e proprio salto di qualità nell’arte edilizia. Infatti, re Umberto I dispose che si lasciasse la scienza medica giudice ed arbitra nel dettare le disposizioni dell’edificio. Il progetto venne elaborato dall’ing. Ambrogio Perincioli con la stretta collaborazione del dottor Giovanni Spantigati, direttore sanitario dell’Ospedale, e il supporto di una commissione consultiva composta da nomi illustri della disciplina medica, nonché da senatori del Regno. L’Ospedale venne progettato secondo le più avanzate teorie dell’epoca, e cioè a padiglioni isolati per degenze e cura, su di un’area rettangolare di m.173 x m. 202,75 (…). Nel 1911 il prof. Antonio Carle, primario di chirurgia, propone la costruzione a proprie cura e spese di un padiglione da intitolare al figlio Mimo, scomparso in tenera età; l’arch. Tempioni presenta il progetto di un padiglione (…) che viene concluso nel 1912 (…). A seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, si resero necessari interventi di ricostruzione o ristrutturazione di aree dell’Ospedale occupate da vecchi fabbricati distrutti. Nel 1973 viene aggiunto (…) un padiglione prefabbricato ad un piano fuori terra: l’Ospedale arriva così ad una capienza massima di 830 posti letto, con un volume di mc. 235.071 e un’area coperta di fabbricati di mq. 19.340. Negli anni ’90, su progetti dell’arch. Vittorio Valletti, vengono previsti lavori di costruzione e ristrutturazione da articolarsi in più fasi. (…) Viene costruito ex novo il nuovo blocco operatorio generale (padiglione 15), costituito da otto sale operatorie, e il blocco operatorio per la cardiochirurgia, costituito da due sale operatorie con la terapia intensiva. Utilizzati tutti gli spazi disponibili per ampliare l’attività ospedaliera con nuove costruzioni, diventano imprescindibili e costanti le manutenzioni straordinarie, l’innovazione clinica e la riqualificazione tecnologica, per rispondere adeguatamente alle esigenze dell’attività sanitaria».
Tratto da Ebook “Comunità & identità. Una prima mappatura dei patrimoni storici degli Ospedali piemontesi” – Progetto Editoriale a cura di: DAIRI – Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione SASP – Centro di Documentazione Storia dell’Assistenza e della Sanità Piemontese pp.184 – 186
Ringraziamo il Dottor Giuseppe Musumeci, Presidente Regionale ANMCO Piemonte e Valle D’Aosta, per averci messo a disposizione la fotografia con la quale è stata realizzata la copertina di questo numero di “Cardiologia negli Ospedali”