Intervista alla Professoressa Catherine Otto: una guida riconosciuta a livello mondiale nell’imaging cardiovascolare

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Intervista alla Professoressa Catherine Otto: una guida riconosciuta a livello mondiale nell’imaging cardiovascolare

Professoressa Catherine M. Otto, MD Editor-in-Chief di Heart Cattedra di Cardiologia J. Ward Kennedy-Hamilton Professoressa di Medicina Università di Washington

La Professoressa Catherine Otto è una esperta di ecocardiografia di fama internazionale e autrice di diversi libri dedicati all’ecocardiografia. Tanti cardiologi, e non solo, hanno imparato l’ecocardiografia dai suoi libri di testo. È Professoressa di Medicina e Direttore della Clinica delle valvole cardiache presso l’Università della Washington School of Medicine di Seattle, Washington. Attualmente è Editor in Chief della rivista scientifica Heart.


Professoressa Otto, lei è un esempio per molti cardiologi. Che consiglio darebbe a coloro che stanno ora iniziando ad imparare l’ecocardiografia? I primi passi nell’esecuzione dell’esame ecocardiografico sono affascinanti ma non molto facili. Cosa consiglierebbe per diventare un esperto di ecocardiografia?

Per diventare un esperto di ecocardiografia, è necessario prestare molta attenzione al paziente e al motivo per cui stiamo eseguendo l’ecocardiogramma in quel paziente. Si impara l’ecocardiografia più rapidamente ed in maniera più completa se pensiamo al contesto clinico, alla storia del paziente e al quesito clinico che viene posto e, quindi, provando a rispondere al quesito con una diagnosi integrata, non solo con un elenco dei risultati. Si impara anche comunicando quanto osservato con l’esame ecocardiografico ai clinici di riferimento. Che impatto avrà il risultato dell’esame ecocardiografico sulla cura del paziente e cos’altro avrei potuto fare per aiutare il medico che si occupa del paziente a prendersene cura in maniera appropriata? L’integrazione dei risultati dell’eco con i dati clinici è cruciale per l’apprendimento. Io ho continuato a lavorare in questo modo nel corso della mia carriera. Quando interpreto gli esami ecocardiografici, il mio primo passo è aprire la cartella clinica per scoprire cosa si sa già del paziente, ad esempio, leggendo il referto operatorio, rivedendo le immagini TC o di Risonanza Magnetica. Quando possibile, si apprende ancora di più seguendo i successivi test diagnostici e, soprattutto, il decorso clinico del paziente. In questo modo io imparo tanto da ogni paziente. Il mio consiglio è di rimanere concentrati sul paziente, non guardare solo l’esame ecocardiografico ma integrarlo nel contesto complessivo.

Quali sfide ha dovuto affrontare all’inizio della sua formazione? Quale consiglio dà ai giovani tirocinanti per affrontare le difficoltà e le sfide iniziali?

Non ci sono state grandi sfide nella mia formazione iniziale. Nessuno mi ha trattato male per il fatto di essere una donna. Sebbene le donne in cardiologia fossero poche, non c’erano barriere o impedimenti evidenti per andare avanti. Infatti, i miei colleghi sono stati di supporto e molti sono stati miei mentori in diversi modi. Il mio suggerimento è quello di pensare alle difficoltà e alle sfide evidenti tenendo sempre presente le proprie priorità. Tutti abbiamo la carriera tra i nostri obiettivi, ma abbiamo anche obiettivi personali e sfide personali da superare che potrebbero non essere evidenti agli altri. È importante considerare anche la famiglia, gli amici e la cerchia di persone che sono più vicine, oltre che all’avanzamento nella carriera professionale. Trovare il tempo per ciò che è importante e cercare di minimizzare (o farsi aiutare da qualcun altro per) le cose che sono meno importanti. Nessuno ha il tempo o le risorse per fare tutto. Io ho un marito meraviglioso che mi ha sempre sostenuto e che ha partecipato pienamente alla crescita di nostra figlia.

In ecocardiografia, quali sono gli errori che vede più frequentemente e che potrebbero essere facilmente evitati nella pratica clinica quotidiana?

Un errore comune è non prendere in considerare il contesto clinico e ciò che si sa del paziente. Ad esempio, se è presente un dispositivo impiantato o se il paziente è stato sottoposto a un intervento chirurgico o procedura transcatetere, il referto ecocardiografico dovrebbe includere tali informazioni. Un’immagine iperecogena non è un elettrocatetere se il paziente non è portatore di pacemaker! In secondo luogo, c’è spesso la tentazione di fare “overdiagnosi”. Ad esempio, dovremmo evitare di misurare il rigurgito aortico in maniera troppo “entusiasmante”; un errore comune è misurare l’artefatto, piuttosto che il segnale di velocità. Nel quantificare il rigurgito, è facile sovrastimare la gravità in base all’area del getto al color Doppler, sebbene sappiamo che il color Doppler non è accurato. Terzo punto: dobbiamo evitare misurazioni incoerenti. Ad esempio, la gittata sistolica ottenuta con il 2D o 3D dovrebbe corrispondere alla gittata sistolica al Doppler. Se le misure non corrispondono, vanno riprese o bisognerà considerare di eliminare le misure ottenute con dati di imaging di bassa qualità. Infine, assicurarsi che il referto non sia contradditorio, ad esempio che vi sia una corrispondenza qualitativa e quantitativa della frazione di eiezione del ventricolo sinistro. Quindi, in sintesi, gli errori dell’ecocardiografia più comuni e facilmente evitabili sono: la non contestualizzazione clinica, l’“overdiagnosi”, l’incoerenza nei dati ottenuti con le misurazioni e la stesura di un referto contraddittorio.

Come vede il futuro dell’ecocardiografia nell’era dell’imaging cardiaco multimodale?

L’ecocardiografia è una metodica con basso costo e portatile, quindi è improbabile che scompaia. Invece, verrà utilizzato ancora più estesamente. Ogni studente di medicina imparerà l’imaging di base e ogni medico userà frequentemente l’eco al letto del paziente e in ambito ambulatoriale. Uno dei nostri obiettivi come cardiologi dovrebbe essere quello di assicurarsi che l’ecocardiogramma sia fatto bene e correttamente con un continuo controllo di qualità. L’imaging multimodale ha ovviamente enormi potenzialità e continueremo ad usarlo, ma in realtà viene utilizzato nel paziente che è già stato identificato come affetto da malattia cardiaca e quando c’è bisogno di vedere qualcosa di particolare. Nella pratica clinica, per essere in grado di fornire assistenza sanitaria a tutti, dobbiamo concentrarci maggiormente sulle informazioni minime necessarie per una corretta gestione, piuttosto che eseguire ripetutamente test in un piccolo sottogruppo di pazienti. Gli esperti di ecocardiografia hanno un ruolo importante nel garantire risultati di alta qualità e che i pazienti ricevano cure adeguate. È necessario anche garantire che la diagnosi ecocardiografica sia accessibile a tutti, selezionando i pazienti che devono essere sottoposti ad esami più completi, ecocardiografia avanzata o altri tipi di imaging.

Ad oggi, grazie ai progressi tecnologici, l’ecocardiografia 3D, lo strain e lo speckle tracking sono tecniche sempre meno dispendiose in termini di tempo. A suo avviso queste tecniche dovrebbero essere utilizzate nella pratica clinica quotidiana o devono essere riservate ad alcuni pazienti per i quali questo tipo di valutazione può avere successive implicazioni gestionali?

L’ecocardiografia si è evoluta e ha sviluppato nuovi approcci negli ultimi 50 anni. Tradurre in diagnosi l’imaging è sempre complicato. Quando siamo passati dalla modalità Monodimensionale al 2D, è stata una sfida lasciare alle spalle le tracce M-mode a noi tanto familiari e guardare le immagini 2D. Quando il Doppler è diventato disponibile, da molti è stato accolto con scetticismo. Per esempio, mi è stato spesso detto che era troppo difficile registrare una velocità aortica con l’ecografia Doppler e comunque non era utile nella pratica clinica. Come cambiano le cose! Ora abbiamo molte modalità a disposizione che sono ancor troppo dispendiose in termini di tempo e non necessarie. Penso che non possiamo registrare tutte le immagini possibili, tutti i segnali di flusso o fare le analisi avanzate per ogni paziente e continuare a fornire assistenza a tutti quanti ne hanno bisogno. Ogni laboratorio dovrebbe scegliere come utilizzare le tecniche avanzate, come l’eco 3D e lo strain, sulla base della popolazione di pazienti che afferisce al laboratorio e delle esigenze cliniche. Un possibile approccio consiste nel definire uno standard, un esame ecografico minimo e quindi aggiungere nuovi approcci specifici a seconda della diagnosi del paziente. Gli ecocardiografisti dovrebbero essere consulenti, non eseguire solo l’imaging in maniera routinaria. Ad esempio, in un paziente trattato con chemioterapia lo strain ventricolare sinistro può essere importante per decidere eventuali successive modifiche del trattamento. In un paziente con malattia della valvola mitrale, l’eco 3D è essenziale per decidere in merito alla riparabilità della valvola, per il monitoraggio chirurgico o di procedure interventistiche. Dovremmo concentrarci sui dati che sono importanti per la cura del paziente, il che richiede che l’esame ecocardiografico deve essere adattato alla specifica domanda clinica in ciascun paziente. Naturalmente, università e i laboratori di ricerca stanno acquisendo dati di imaging avanzati su molti pazienti che possono essere raccolti in database in modo da poter generare informazioni utili a definire l’utilità clinica di ciascuna di queste modalità. Tuttavia, per un laboratorio clinico ordinario, un esame ecocardiografico di base con imaging 2D di alta qualità, i dati Doppler e le misurazioni quantitative standard saranno sufficienti per la cura del paziente.

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