l cambiamento climatico intensifica incendi e fumo, aumentando il carico di eventi cardiovascolari nella popolazione fragile
L’esposizione al particolato fine generato dagli incendi aumenta il rischio di infarto, scompenso e aritmie Il cardiologo ospedaliero deve riconoscere questo fattore ambientale come una minaccia concreta, soprattutto nei pazienti fragili
Introduzione
Negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha determinato un aumento significativo della frequenza e intensità degli incendi boschivi, con ripercussioni crescenti sulla salute pubblica, in particolare su quella cardiovascolare. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli incendi e le ondate di calore stanno contribuendo all’aumento di patologie croniche e della mortalità, soprattutto tra soggetti fragili come anziani e cardiopatici(1). Il fumo generato dagli incendi, ricco di particolato fine (PM2.5) e gas tossici, è una delle principali fonti di inquinamento atmosferico, in grado di favorire eventi acuti e aggravare condizioni croniche. Si stima che l’esposizione al PM2.5 da incendi causi oltre 675.000 decessi cardiovascolari ogni anno nel mondo(2). Studi recenti hanno confermato il legame tra inalazione di fumo da incendi e un aumento del rischio di ipertensione, infarto, aritmie e mortalità cardiovascolare(3).
Fisiopatologia degli effetti del fumo da incendi sugli eventi cardiovascolari
L’esposizione al fumo degli incendi rappresenta una minaccia cardiovascolare documentata, sia in caso di esposizione acuta che cronica. Il particolato fine (PM2.5), insieme a gas tossici e metalli pesanti, può penetrare in profondità nel tratto respiratorio e accedere alla circolazione sistemica, innescando infiammazione, stress ossidativo e disfunzione endoteliale(4). La composizione del particolato da incendi, ricca di agenti ossidanti e particelle ultrafini, lo rende più tossico rispetto a quello urbano, con concentrazioni che possono superare i 300–500 µg/m³ durante eventi estremi(5). Questi meccanismi favoriscono instabilità di placca, trombosi e aumento del rischio di infarto e scompenso(3). Nei vigili del fuoco, l’attività fisica intensa in presenza di fumo vivo determina alterazioni vascolari acute — aumento della rigidità arteriosa, tachicardia, ipertermia — che riflettono una risposta combinata a stress fisico, termico e psicologico. L’infarto rappresenta la principale causa di morte in servizio tra i pompieri, per l’effetto sinergico tra inquinanti, sforzo e scariche adrenergiche(5). Il rischio aumenta ulteriormente in condizioni di calore estremo, amplificando la mortalità e i ricoveri cardiovascolari anche nei soggetti fragili(2).
Epidemiologia degli eventi cardiovascolari associati agli incendi
Numerosi studi epidemiologici hanno confermato l’associazione tra esposizione al particolato fine (PM2.5) generato dagli incendi e l’aumento della morbilità e mortalità cardiovascolare. In Australia, durante una stagione critica di incendi, un incremento di 9 µg/m³ di PM2.5 è stato correlato a un aumento del 7% del rischio di arresto cardiaco extraospedaliero e a un incremento delle ospedalizzazioni per cardiopatia ischemica, con effetti più marcati negli anziani e nelle donne. Negli Stati Uniti, durante gli incendi in California del 2018, si è osservato un incremento del 23% degli eventi cardiovascolari acuti e del 36% della mortalità generale nei giorni con PM2.5 ≥35 µg/m³(4, 5). In Europa, lo studio multicentrico MED-PARTICLES ha analizzato i dati di dieci città dell’area mediterranea, evidenziando un aumento del 6.3% della mortalità cardiovascolare nei giorni con presenza di fumo da incendi, con un effetto sinergico tra PM10 e presenza di fumo. In Italia, un’ampia analisi su oltre due milioni di ricoveri ha documentato una correlazione tra esposizione al PM2.5 e aumento dei ricoveri per cause cardiovascolari, in particolare per scompenso cardiaco, anche in aree rurali e a concentrazioni inferiori ai limiti raccomandati(3). Infine, durante la stagione straordinaria di incendi che ha colpito la Calabria nel 2017, è stato stimato che l’impatto del fumo sugli abitanti delle aree più esposte fosse paragonabile al fumo passivo di 3–11 sigarette al giorno. Tali evidenze rafforzano l’idea che non esista una soglia “sicura” di esposizione, e che i soggetti con fragilità cardiovascolare siano particolarmente vulnerabili anche a brevi periodi di inalazione di fumo.
Prevenzione e mitigazione degli effetti cardiovascolari legati agli incendi
La gestione del rischio cardiovascolare associato agli incendi richiede un approccio integrato che coinvolga misure individuali, comunitarie e di sanità pubblica. A livello personale, è raccomandato ridurre l’esposizione al fumo restando in ambienti chiusi dotati di filtri HEPA, limitare le attività all’aperto nei giorni critici e utilizzare mascherine ad alta efficienza (N95 o FFP2)(2). Sul piano comunitario, strategie efficaci includono sistemi di allerta precoce, “clean air shelters” per i soggetti fragili, e interventi di pianificazione urbana e forestale per ridurre l’esposizione al rischio. Recentemente è stato sottolineato il valore della collaborazione tra sanità pubblica e protezione civile, con piani locali che prevedano anche il monitoraggio e il supporto dei pazienti cardiovascolari noti(3). Non esistono farmaci con efficacia dimostrata nella prevenzione del rischio cardiovascolare legato agli incendi. La strategia più solida resta la gestione ottimale dei fattori di rischio. È stato ipotizzato un possibile ruolo protettivo delle statine, grazie ai loro effetti anti-infiammatori e stabilizzanti sulle placche aterosclerotiche, ma servono ulteriori studi per supportarne l’utilizzo specifico in questo contesto(7).
Conclusioni
Gli incendi rappresentano una crescente emergenza ambientale e sanitaria, con effetti ormai ben documentati sul rischio cardiovascolare, sia in caso di esposizione acuta che prolungata. Il cardiologo ospedaliero deve essere consapevole di questo legame e informare i pazienti fragili sulle misure preventive: evitare l’esposizione al fumo, utilizzare filtri e dispositivi di protezione, seguire i piani locali di allerta. Serve una maggiore integrazione tra cardiologia, sanità pubblica e protezione civile, per rafforzare la risposta del sistema sanitario a queste sfide ambientali.♥
Il fumo degli incendi aumenta il rischio cardiovascolare. Il cardiologo deve riconoscerlo come fattore ambientale emergente
Bibliografia
1. World Health Organization. Wildfires. 2019. Accessed June 19, 2025. https://www.who.int/health-topics/wildfires
2. Hadley MB, Henderson SB, Brauer M, Vedanthan R. Protecting cardiovascular health from wildfire smoke. Circulation. 2022;146(10):788-801.
3. Williams VA, Perreault LR, Yazbeck CT, et al. Impact of wildfires on cardiovascular health. Circ Res. 2024;134(9):1061-1082.
4. Haikerwal A, Akram M, Del Monaco A, et al. Impact of PM2.5 exposure during wildfires on cardiovascular health outcomes. J Am Heart Assoc. 2015;4(7):e001653.
5. Chen K, Lu Y, Krumholz HM. Wildfires, compound extreme events, climate change, and cardiovascular health. J Am Coll Cardiol. 2025;85(12):1379-1381.
6. Rajagopalan S, Al-Kindi SG, Brook RD. Air pollution and cardiovascular disease: JACC state-of-the-art review. J Am Coll Cardiol. 2018;72(17):2054-2070.
7. Vuorio A, Budowle B, Raal F, Kovanen PT. Wildfire smoke exposure and cardiovascular disease—should statins be recommended to prevent cardiovascular events? Front Cardiovasc Med. 2023;10:1259162.