Il cuore che visse tre volte di Maria Frigerio 

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Il cuore che visse tre volte di Maria Frigerio 

Questi esempi rivelano quanto sia importante “ascoltare” le storie degli altri, umanizzando e personalizzando davvero le cure

Nonostante dal primo trapianto di cuore ad opera di Barnard siano trascorsi molti anni, e non ci si senta più un “Frankenstein”, ricevere un trapianto è ancora tra le più sconvolgenti avventure che possano capitare e, forzatamente o forzosamente, predispone l’individuo (l’individuo paziente e l’individuo medico) a un cambiamento di vita e di prospettiva. Maria Frigerio ci trasporta senza retorica nelle vite degli altri 

Maria Frigerio è stata direttrice della struttura complessa di Cardiologia del Dipartimento Cardiotoracovascolare dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano dal 2000 al 2021, concentrando il suo lavoro sulla gestione dello scompenso cardiaco avanzato e del trapianto cardiaco. Personalità poliedrica e medico instancabile, ha una grande passione per la letteratura ed è anche diplomata in pianoforte. Ha contribuito a formare molti giovani colleghi e a “instillare” gocce di entusiasmo! Nel 2023 Maria Frigerio ha vinto il primo premio per la sezione saggistica e il premio speciale “Giuseppe Moscati” per la sezione narrativa del concorso letterario per medici scrittori “premio Cronin”, promosso dall’Associazione Medici Cattolici Italiani, sezione di Savona. Quest’anno al Salone del Libro di Torino era presente il suo libro “Il cuore che visse tre volte. Storie di cuori in transito” (De Nicola Editore). Per un medico ospedaliero l’ospedale diventa quasi la “prima casa”, un “piccolo mondo antico” nel quale si concentrano molte emozioni, spesso tra le più disparate, in tempi anche molti “ristretti”. Essere medico, peraltro in uno degli ospedali migliori del mondo, è un grande privilegio. Inoltre vivere l’esperienza del trapianto rende il tutto ancora più particolare: nonostante dal primo trapianto di cuore ad opera di Barnard siano trascorsi molti anni, e non ci si senta più un “Frankenstein”, ricevere un trapianto è ancora tra le più sconvolgenti avventure che possano capitare e, forzatamente o forzosamente, predispone l’individuo a un cambiamento di vita e di prospettiva. L’individuo primariamente interessato è il paziente, ma anche il medico ne rimane totalmente coinvolto: è chiamato a valutare tante “storie di vita”. “Il cuore che visse tre volte. Storie di cuori in transito” è un libro che racconta l’uomo, da entrambi i lati di un letto di ospedale: malato e medico, intimamente e inesorabilmente connessi tra loro, ad affrontare la malattia, la cura e la morte; la morte di uno sconosciuto che ha concesso in dono i suoi organi. Nelle storie che vengono raccontate traspare la necessità e la capacità di rimanere umani pur essendo medici, di provare empatia nei confronti dell’essere umano e della sua fragilità, non solo quella di chi è ammalato ma anche delle persone che gli stanno accanto. L’autrice ci racconta di volta in volta il frammento della vita di una persona malata di cuore, in un breve racconto, eppure dentro ogni racconto di un paziente c’è l’introspezione di un medico che si rimette in discussione come persona e come parte responsabile di un sistema sanitario. “C’è una cultura antica secondo la quale se salvi una persona ne sei responsabile per il resto della vita. I ‘salvatori’ possono essere considerati responsabili delle azioni, dei comportamenti della persona salvata?”. “Secondo una frase del filosofo Schopenhauer la salute non è tutto, ma senza la salute, tutto è nulla”. Il titolo del libro corrisponde a quello del primo racconto, la storia del cuore di Alberto, il fratello di Maria Frigerio, venuto a mancare poco dopo aver compiuto 40 anni. Il suo cuore ha “compiuto” poi altri due viaggi in due pazienti in attesa di trapianto proprio nel reparto della dottoressa. Il medico è chiamato in causa secondo il criterio dell’imparzialità: spesso, però, le proprie convinzioni personali rischiano di influenzarne le scelte. È questo il caso dell’Uomo “senza nome”, un paziente condannato a “fine pena mai”, già “scartato” dalla lista d’attesa per il trapianto, al quale viene data una possibilità. Maria Frigerio chiede a se stessa e a noi “Se ci mettiamo a categorizzare i pazienti in base a principi di natura etica o sociologica, qual è la soglia? E quali sono i criteri?” A volte i pazienti sorprendono ancor di più: Erica, ad esempio, ringraziando il centro di Milano per aver compiuto su di lei “un miracolo” rovescia il paradigma secondo il quale, generalmente, i pazienti attribuiscono un enorme valore all’atto chirurgico a discapito della terapia farmacologica: le medicine l’hanno davvero salvata! Svela, poi, qualcosa di ancora più inatteso: da quando “sta meglio” il marito la picchia. Come può accadere qualcosa di simile? L’animo umano è una macchina precisa, anche se può diventare beffarda: la forza, riacquistata, di Erica ha rivelato la debolezza del marito, che si è tramutata in violenza. Erica chiede aiuto proprio a quella dottoressa che, a suo parere, ha ribaltato le sorti della sua vita: vedete quanto il rapporto medico-paziente possa andare oltre? Poi ci sono pazienti che conosci talmente a fondo che ti accorgi subito di “piccole note stonate” (“la voce di Livia non c’è”) in uno spartito che prima era, o almeno sembrava, armonico. In conclusione questi esempi rivelano quanto sia importante “ascoltare” le storie degli altri, umanizzando e personalizzando davvero le cure. Cosa è più apprezzato dal paziente? Sentirsi preso sul serio dal medico, saper “andare oltre” nella valutazione individuale, spesso evitando anche quella che a volte sembra una “ossessione per le linee guida”.

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