Ancora un attimo

HomeDalle Aree

Ancora un attimo

FILIPPA ROSA
Vive per diciotto anni in un piccolo paese del centro Italia, a metà strada tra mare e montagne.
Osservatrice silenziosa, appassionata di moda e letteratura tanto da scrivere nella stessa pagina di Shakespeare e Coco Chanel. Appena diciannovenne, si trasferisce nel reticolo torinese, tra le pareti arancioni della Scuola Holden. Le stesse in cui trascorre gli ultimi tre anni, imparando a raccontare l’unicità di quell’ordinario in cui è cresciuta.

Dalla finestra della stanza 308 si vedono gli aerei volare.
Leonardo l’ha imparato il primo giorno in cui è stato ricoverato. Contarli è diventato il suo passatempo preferito. Vuole diventare un pilota, se ne convince ogni settimana di più. Se ne convince ogni notte che passa tra le lenzuola bianche dell’ospedale. Non hanno lo stesso odore delle lenzuola di casa. Sanno di pulito certo, ma niente di più. Sua mamma gli ha promesso che, una volta tornato a casa, avrebbe trovato il letto più profumato che mai. Deve solo avere pazienza. Glielo ripete ogni giorno, passandogli una mano prima tra i capelli, poi sulle guance.

Ma Leonardo è stufo delle carezze, dei giocattoli e dei dottori. Aspetta con grande fremito il giorno delle dimissioni. Perfino la scuola è iniziata a mancargli, con il suo compagno di banco e le maestre che li rimproverano quando bisticciano. Ogni mattina segna una grande croce sui giorni del calendario per ricordarsi che, per quanto lento, il tempo continua a passare e che prima o poi anche per lui riprenderà a scorrere velocemente. Oggi si è svegliato all’alba per segnare l’ultima croce. Nessun broncio in viso perché il grande giorno è arrivato. Oggi gli metteranno un cuore nuovo. E questo basta a fargli spuntare un sorriso sulle labbra. La dottoressa gliel’aveva promesso all’inizio del mese, appena l’aveva conosciuto. Gli aveva detto che il suo cuore non funzionava più tanto bene e che bisognava cambiarlo. Un po’ come il motore di un’auto. Non sa da dove arrivi il cuore nuovo e neanche che fine farà il vecchio ma ciò che conta ora è che tornerà a casa. Dalla sua famiglia, dai suoi amici.

La mamma ha lasciato la stanza da poco. I suoi occhi erano più verdi stamattina. Sembrava stesse per piangere eppure Leonardo non aveva visto nessuna lacrima sul suo viso. Gli aveva accarezzato i capelli con le mani tremanti come se avesse paura di rompere qualcosa. Poi un lungo bacio sulla guancia, un sorriso a mezza bocca e aveva lasciato che le infermiere la scortassero fuori. Leonardo ci ha fatto l’abitudine: sua mamma è così prima di ogni intervento ma oggi vuole sperare che sia l’ultima volta in cui si devono salutare. Le infermiere gli stanno infilando il camice e la cuffietta. I suoi ricci sono nascosti e il suo corpicino è seminudo. Leonardo sente un brivido sulla schiena ma non dice nulla. Non vuole lamentarsi. Le infermiere sembrano già molto stanche. Anche un po’ tristi, a dir la verità. Eppure è un bel giorno, questo.

Ora è solo nella stanza, tra i muri azzurri e le lenzuola che sanno solo di pulito. Il suo vicino di letto non è più tornato dal giorno prima. I dottori non hanno risposto quando Leonardo ha chiesto dove fosse finito. Hanno solo portato via le sue cose in silenzio. Leonardo avrebbe voluto dirgli che gli hanno trovato un cuore nuovo ed è arrabbiato con lui per essere andato via senza salutare. Fuori da quelle mura, già si sarà dimenticato della loro amicizia. Non vuole vedere più il suo letto vuoto. Si volta verso la finestra. Dovrebbe passare un aereo tra pochi minuti. Lo attende con gli occhi sbarrati, quasi trattenendo il respiro. L’unico suono nella stanza proviene dal monitor che traccia il battito. Lo sente più forte che mai. Prima di allora non si era mai fermato a prestarci attenzione ma ora che il suo cuore verrà portato via, un po’ gli dispiace di non averlo mai ascoltato per bene. Dopotutto, anche se difettoso, era suo.

Leonardo inizia a battere le dita della mano destra sulla sbarra del letto, seguendo con gli occhi il ritmo sul monitor. Quando vede il tracciato accelerare, recupera il tempo battendo più velocemente. Si lascia sfuggire una risata, iniziando a tamburellare anche con le dita dell’altra mano proprio come gli ha insegnato suo nonno. Chiude gli occhi. Il letto diventa un enorme palco, i muri azzurri la folla che lo acclama. I raggi del sole sono ora due grandi riflettori puntati sul viso. Tutti lì per lui, a incitarlo con grida entusiaste: i suoi genitori, sua sorella, i suoi compagni di classe. Sorride e fa un inchino con la testa riaprendo gli occhi. Sulla soglia della porta una sagoma nera in controluce. L’ombra inizia ad applaudire e Leonardo arrossisce dall’imbarazzo. Non si aspettava compagnia. Solo quando avanza verso il letto di qualche passo, riesce a metterla a fuoco. È la sua dottoressa però non indossa il solito camice bianco ma un completo blu che gli ricorda quello degli infermieri. Anche i capelli sembrano diversi, raccolti in una cuffia simile alla sua. Non l’aveva mai vista sorridere prima di quel momento. Ha dei denti bianchissimi. Più bianchi di quelli di sua madre.

«Devi farti regalare una batteria».
Leonardo si gratta il collo, stringendo le spalle. «Ma non so suonarla».
«Imparerai più velocemente di quanto immagini».
«Tu la sai suonare?»
«Io?»
Leonardo annuisce incuriosito.
«Assolutamente no! Mio figlio però l’ha voluta al compleanno e da allora non si sente altro in casa».
«Può insegnarmi?»
La dottoressa si ritaglia un piccolo spazio sul bordo del letto, accanto a Leonardo.
«Non so se lui sia la persona più adatta per fare da maestro».
«Ma poi dove la metto?», riprende il bambino.
«Non avevi un grande garage a casa?»
«Non so se ci entra, ci sono già un sacco di cose».
«Ne compri una più piccola per iniziare».
«Devo chiedere alla mamma prima».
«Questa è la prima regola. Sempre», ribatte lei puntandogli l’indice sul petto.

Rimane ad ascoltare mentre il suo piccolo paziente avanza ipotesi, come se avesse stampata sulla fronte la planimetria di casa, in cerca di un posto per la sua futura batteria. Per un attimo, immagina che quell’angolo di letto sia una delle panchine al parco o il tavolo di una caffetteria. Nessun intervento, nessuna paura di sbagliare. Avrebbe voluto lasciarlo lì, al sicuro, ma non c’è più tempo.
La dottoressa si rialza dal letto, buttando giù un sospiro:
«Sei pronto?»
Leonardo la guarda fissandola negli occhi. Il suo viso ora è serio:
«Sì, voglio andarmene da qui».
«Allora vediamo di fare il più veloce possibile».
Poi si volta e mentre si avvia verso la porta, Leonardo riprende a parlare con tono incerto:
«Dottoressa?»
«Sì?», gli risponde girandosi.
«Dove andrà?»
«Cosa?»
«Il mio cuore. Lo buttate?»
La dottoressa lo fissa seria per qualche secondo, poi i lineamenti del suo volto si ammorbidiscono e si riavvicina al letto, questa volta piegandosi sulle ginocchia.
«Dove vuoi che finisca?»
«In un contenitore. Me lo porto a casa, per lui lo spazio lo trovo».
«Vuoi tenerlo in esposizione?», chiede lei ridendo.
«Sì, lo faccio vedere ai miei amici».
«Un po’ da film horror, no?»
«A noi piacciono», risponde Leonardo lasciandosi sfuggire un sorriso.
«Vedrò di lasciarti un souvenir di questo soggiorno allora, ma ora dobbiamo andare».
«Ancora un attimo», ribatte lui, quasi sussurrando.

Lei lo guarda confusa ma non apre bocca. Si guardano negli occhi e rimangono ad ascoltare il silenzio. Ad ascoltare un’ultima volta il cuore di Leonardo battere. Come per ringraziarlo degli sforzi di quegli otto anni, per congedarlo dalla fatica e augurargli buona fortuna. Le due infermiere tornano nella stanza, chiedendo il permesso per procedere. La dottoressa strizza l’occhiolino a Leonardo, poi fa un cenno di approvazione alle due donne, rimettendosi in piedi.
«Ci vediamo dentro», dice prima di lasciare la stanza con passo svelto.
Le infermiere abbassano le sbarre del letto e iniziano a spingerlo verso la porta. Leonardo ha gli occhi rivolti verso la finestra. Deve essere appena passato l’aereo che stava aspettando. La scia bianca è ancora ben marcata.
Sorride. ♥

Autore