Uno dei quesiti più frequenti che il cardiopatico pone al medico è se può viaggiare e soprattutto a quale altitudine può arrivare
I cambiamenti fisiologici in alta quota possono influenzare parametri di pazienti affetti da malattie cardiovascolari
I cambiamenti nella fisiologia cardiovascolare in alta quota sono sufficientemente profondi da avere un impatto su molte forme di malattie cardiovascolari, anche in rapporto a sesso, razza ed età. Sebbene spesso asintomatica, l’esposizione ad alte quote presenta un certo rischio per gli individui con malattie cardiovascolari; questi rischi dovrebbero essere presi in considerazione sia dal paziente che dal medico, soprattutto per la crescente prevalenza di malattie cardiovascolari ed il gran numero di individui costantemente esposti ad altitudini elevate per lavoro o per svago. L’incremento dell’altitudine genera un aumento della frequenza cardiaca. Il meccanismo alla base di questa manifestazione, in particolare durante l’esercizio fisico, è solo parzialmente compreso. L’aumento dell’attività simpatica, delle catecolamine circolanti e una riduzione del tono vagale sono responsabili dell’aumento della frequenza cardiaca con l’altitudine. Si sono ipotizzati inoltre meccanismi che coinvolgono recettori alfa adrenergici cardiaci, recettori di stiramento dell’arteria polmonare e un incremento di endotelina 1 che determina un aumento citoplasmatico di ioni calcio con conseguente effetto su cronotropismo e inotropismo cardiaco; con l’esposizione cronica alle alte quote il tono parasimpatico tende ad aumentare con una consensuale riduzione della frequenza cardiaca.
L’automonitoraggio della PA, dedicare tempo all’acclimatamento e il monitoraggio preventivo, possono non solo ridurre il rischio di eventi avversi in questa coorte di pazienti, ma anche rispondere a eventuali preoccupazioni dei pazienti
I valori di pressione arteriosa durante l’esposizione ad alte quote risentono delle mutate condizioni: dapprima si verifica una diminuzione della pressione arteriosa sistolica dovuta alla vasodilatazione ipossica che, entro poche ore, viene contrastata da un aumento della vasocostrizione simpatica, per mantenere adeguate concentrazioni arteriose di O2, che ne aumenta i valori al di sopra della condizione basale; l’aumento della pressione arteriosa sistolica è evidente anche dopo un’esposizione ad altitudini moderate. Studi sperimentali su blocco simultaneo di recettori alfa e beta adrenergici hanno tuttavia ipotizzato altri meccanismi per l’incremento dei valori pressori come l’aumento della massa sanguigna legata alla policitemia compensatoria e l’attivazione del sistema renina-angiotensina. La gittata cardiaca aumenta con l’esposizione acuta all’altitudine per preservare l’apporto di O2 ai tessuti, sia per un aumento di frequenza cardiaca, ma anche per un aumento della gittata sistolica, probabilmente dovuta all’aumento del ritorno venoso legato all’aumentata attività simpatica sul distretto venoso.
Tale fenomeno tende a tornare a valori basali durante l’acclimatamento, legato verosimilmente alla riduzione del precarico per vasocostrizione polmonare. Quest’ultima è una conseguenza significativa dell’ipossia da alta quota. Il meccanismo alla base di questo fenomeno è legato al fatto che l’ipossia acuta chiude i canali ionici del potassio sensibili all’ossigeno nella muscolatura liscia vascolare, con successiva depolarizzazione di membrana e con l’aumento del calcio citoplasmatico con la conseguente contrazione della muscolatura liscia. L’ipossia cronica, inoltre, provoca un rimodellamento dei vasi polmonari con ipertrofia della muscolatura liscia distale dei vasi, con produzione di fattori di crescita e proliferazione di cellule muscolari (muscolarizzazione) nelle arteriole che normalmente ne sono prive. L’ipossia inoltre provoca anche un aumento della sintesi di aldosterone all’interno delle cellule endoteliali dell’arteria polmonare, che può promuovere ulteriormente il rimodellamento vascolare. Nei pazienti con malattia coronarica esposti acutamente alle alte quote, l’ipossia associata all’aumento della frequenza cardiaca crea discrepanza tra domanda e offerta di ossigeno con possibilità di eventi avversi, tra cui infarto miocardico secondario. Nonostante ciò, molti studi hanno dimostrato che i pazienti con coronaropatia stabile non presentano un aumento significativo del rischio fino a 3500 m, anche se pazienti con angina stabile possono manifestare sintomi a soglie di altitudine inferiori rispetto a quelle che normalmente si verificano a livello del mare. L’acclimatazione, come dimostrato da uno studio di coorte retrospettivo, è altamente raccomandata prima di qualsiasi sforzo fisico per ridurre il rischio di eventi avversi. I viaggi ad altitudini più elevate dovrebbero essere evitati, ma per coloro che scelgono di farlo si raccomandano esami clinici adeguati come un test provocativo ipossico. La sicurezza dei viaggi in quota in pazienti con scompenso cardiaco è carente di conoscenze. Sono stati condotti pochissimi studi di simulazione sugli effetti dell’altitudine in questa categoria di pazienti che hanno valutato oltre che la malattia di base, la presenza di comorbilità di cui molti pazienti con scompenso cardiaco possono soffrire come BPCO, anemia e ipertensione polmonare. Alcuni studi, sebbene di piccole dimensioni, concludono che trascorrere del tempo ad altitudini inferiori a 3500 m è sicuro per i pazienti con scompenso cardiaco stabile e comunque con drastica riduzione della capacità funzionale.
Studi clinici su persone sane, inoltre, hanno dimostrato come l’esposizione acuta all’altitudine sia aritmogena e che queste aritmie sono in gran parte benigne. Ciononostante, la morte cardiaca improvvisa rimane una delle principali cause di morte in quota responsabile del 30% dei decessi tra gli escursionisti e del 52% tra gli sciatori. I fattori che possono predisporre ad aritmie sono ipossia, alcalosi respiratoria e squilibri elettrolitici. L’ipertensione polmonare inoltre aumenta il rischio di aritmie per impegno delle sezioni destre come flutter atriale. L’incremento dell’aritmogenicità è inoltre favorito da rapide discese, fatto che potrebbe spiegare le numerose morti improvvise dello sci alpino. In sintesi, sebbene il medico possa avvertire il paziente dei rischi ad alta quota, è del tutto preferibile un approccio decisionale condiviso, in cui il paziente sia informato dei rischi rilevanti. Semplici opzioni di gestione, come incoraggiare l’automonitoraggio della PA, dedicare tempo all’acclimatamento e il monitoraggio preventivo, possono non solo ridurre il rischio di eventi avversi in questa coorte di pazienti, ma anche rispondere a eventuali preoccupazioni degli stessi. ♥
I cambiamenti nella fisiologia cardiovascolare in alta quota sono sufficientemente profondi da avere un effetto degno di nota su molte forme di malattie cardiovascolari, anche in rapporto a sesso, razza ed età Un approccio decisionale condiviso tra medico e paziente è fondamentale per tracciare i limiti di tale esposizione
Bibliografia:
HIGH ALTITUDE MEDICINE & BIOLOGY Volume 00, Number 00, 2017 a Mary Ann Liebert, Inc.
DOI: 10.1089/ham.2016.0112 Review
Physiological Changes to the Cardiovascular System at High Altitude and Its Effects on Cardiovascular Disease Callum James Riley1 and Matthew Gavin2

