Quella che poteva essere l’ultima vetta

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Quella che poteva essere l’ultima vetta

Si continua a valutare atlete ed atleti in modo “statico”: ogni anno fa storia a sé Nulla di più pericoloso

Negli ultimi anni sono troppi i centri che si improvvisano esperti di risonanza magnetica cardiaca, serve prudenza, esperienza, rigore Questa approssimazione spaventa

Lo skyrunning è uno degli sport più duri. Si corre su pendenze così ripide che spesso servono le mani per non cadere. La vetta è lontana, immersa tra le nuvole. Il cuore batte fortissimo, il meteo è
un avversario in più: caldo torrido, freddo, vento. Eppure, accanto alla fatica c’è la meraviglia: la natura, la solitudine, la possibilità di guardarsi dentro. Qualche mese fa abbiamo incontrato Giulia, campionessa italiana di skyrunning. Occhi verdi, fisico minuto, determinazione granitica. Da adolescente è vittima di bullismo. Si sente sola, derisa. Il padre Federico le regala una bicicletta. È l’inizio di tutto.

Lo sport diventa rifugio, forza, identità. Poi arriva la corsa in montagna, in solitaria. Giulia non vinceva: dominava. Le avversarie gareggiavano per il secondo posto. Ma qualcosa la spinge a chiedere una valutazione. Non si sentiva bene? L’ECG mostra un pattern familiare: onde T sempre più negative nelle derivazioni antero-laterali, perdita di vettori in V4-V6. Un’evoluzione sospetta (Figura 1). Ne abbiamo già visti, troppi, così. Nel 2023, le prime aritmie ventricolari. Poi tre sincopi da sforzo. La prima durante una gara al sole: si ferma, cade a terra. I test iniziali (Holter, ecocardiogramma) non mostrano nulla. Nessuna seduta di allenamento monitorata. Si continua a valutare atlete ed atleti in modo “statico”: ogni anno fa storia a sé. Nulla di più pericoloso. Le sincopi si ripetono. Dopo l’ultima va in Pronto soccorso. L’ECG è peggiorato, aritmie polimorfe anche a riposo. Finalmente si prescrive una risonanza magnetica con contrasto. Ma è negativa. Non ci convince. La ripetiamo: il quadro è devastante. Ventricolo sinistro moderatamente dilatato, funzione sistolica lievemente ridotta, parete laterale assottigliata e ipocinetica. Anche il ventricolo destro presenta una focale acinesia. E ovunque, un bianco che non consola come la neve che Giulia è abituata a vedere durante le sue salite invernali. È un bianco che spaventa, è il bianco del gadolinio che si accumula a disegnare la malattia. Diagnosi: cardiomiopatia aritmogena biventricolare. L’ECG non mentiva. Rivedendo la prima risonanza, scopriamo che il quadro era già presente.

«Perché non sono morta durante la corsa?»

Solo non era stato riconosciuto. Un errore interpretativo. Negli ultimi anni sono troppi i centri che si improvvisano esperti di risonanza magnetica cardiaca, serve prudenza, esperienza, rigore. Questa approssimazione spaventa. Le cardiomiopatie aritmogene sono malattie del miocardio, con alterazioni strutturali permanenti. Possono essere genetiche o acquisite. Quella di Giulia è cicatriziale, con fibrosi non ischemica che espone a gravi aritmie. La diagnosi arriva in un momento cruciale: Giulia ha appena firmato il contratto della vita. È venerdì. Prepariamo il colloquio, consapevoli che stiamo per dirle che la sua corsa è finita.

«Il pensiero che consola è che Giulia ha scalato le sue montagne…ed è ancora viva»

Arrivano Giulia, il padre Federico e il compagno Christian. Giulia ha già capito. Ci chiede solo conferma. Le spieghiamo il rischio. Anche nel sonno. Come Davide Astori. Federico piange. Christian dice: «Giulia ha scalato le sue montagne… ed è ancora viva». Poi Giulia ci guarda e chiede: «Perché non sono morta durante la corsa?» È una domanda disarmante. Non abbiamo risposta. Una recente metanalisi mostra che le atlete hanno un’incidenza di morte improvvisa sei volte inferiore rispetto ai colleghi maschi. Ma non ne conosciamo ancora le ragioni. Alla fine, le chiediamo come si sente. «Mi sento come se stessi surfando in un mare di merda. Ma non ci sono ancora caduta dentro». È una frase dura. Ma vera. Vera come lei. Oggi Giulia è laureata in Psicologia, quasi in Scienze Motorie. Allena gli altri. E ora deve allenare sé stessa. Ma non è finita. Il suo quadro è ad alto rischio: aritmie solo parzialmente controllate dal nadololo (40 mg al giorno) non più titolabile per la marcata bradicardia, ridotta funzione ventricolare sinistra, esteso accumulo di gadolinio. Le sincopi da sforzo confermano il pericolo. È necessario l’impianto di un defibrillatore. Giulia accetta subito. Ma il sottocutaneo non supera lo screening. Si prospetta l’impianto trans-venoso, opzione più rischiosa. Per fortuna esiste un’alternativa: il nuovo defibrillatore extravascolare, il modello Aurora – come le aurore che ha visto nascere correndo all’alba. Ripartiamo. Qui entra in gioco il nostro Centro con tre fasi ben definite. La prima è dedicata alla valutazione funzionale. La seconda nella nostra palestra dove vengono testate le indicazioni allenanti sotto il controllo di Roberto e Sara, i nostri due infermieri e Giovanna la chinesiologa dedicata alla pianificazione del programma di allenamento, gli angeli custodi dei nostri giovani pazienti. La terza è rappresentata dal ritorno all’allenamento personalizzato in autogestione secondo le nostre indicazioni. Qualche sabato fa ricevo un messaggio: “Ciao dottore, oggi ho fatto la prima uscita da cardiopatica!!! 9 km, 500 metri di dislivello. 89 bpm medi, 108 massimi. Tutto nella norma. Buon weekend.”
A volte basta questo per dare senso a tutto. Oggi Giulia non corre più per vincere. Ogni passo, ogni respiro, ogni salita è una vetta conquistata con il coraggio di chi ha trovato la forza di ricominciare.♥

Giulia, campionessa di skyrunning, scopre di essere affetta da una cardiomiopatia aritmogena. La diagnosi arriva solo grazie a una rilettura attenta e clinicamente guidata degli esami. Interrotta la carriera agonistica, affronta la malattia con forza e accetta l’impianto di un defibrillatore. Oggi continua a vivere lo sport in sicurezza, allenando gli altri e sé stessa.

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