Quando muore un amico vero si prova un gran dolore… e Salvatore Pirelli per me, e per tanti, specie in ANMCO, è stato un amico vero. In ANMCO la sua presenza è stata una costante, fino a raggiungere i maggiori traguardi con la Presidenza nazionale nel biennio 2008 – 2010 e il riconoscimento della Targa d’Oro nel 2017. L’amicizia è tante cose, ma resta comunque un sentimento privato, attenti che non diventi una pregiudiziale, specie quando incrocia intercorrenti rapporti professionali. Salvatore infatti è stato mio Primario a Cremona dal 2008 al 2016. E oggi non bisogna essere un suo amico per definirlo un primario con la P maiuscola, che riusciva a unire l’equilibrio e il buon senso clinico e gestionale ad una fine cultura cardiologica (a volte sorprendentemente aggiornata), estesa a tutti i settori della Cardiologia. Con una proverbiale capacità di mettere a fuoco con rapidità le criticità, di individuare la soluzione, soprattutto per il paziente, che si rivelava anche a distanza la più consona, all’insegna di una indiscutibile onestà comportamentale. Aveva l’imprinting del Niguarda, come si usa bonariamente dire in Lombardia per chi proviene dal Dipartimento De Gasperis, dove aveva iniziato la sua carriera ospedaliera nel 1976. Era stato, prima di arrivare a Cremona, uno degli ultimi colonnelli del Prof. Fausto Rovelli: ne andava più che fiero, e non perdeva occasione per ricordare gli anni del Niguarda come esempio di crescita etica e professionale. Esperto di diagnostica delle metodiche di valutazione della riserva coronarica, pioniere delle applicazioni congiunte dei test provocativi con la cardiologia nucleare, e successivamente della cardio-riabilitazione moderna. Indicare specifici campi di interesse è riduttivo. Era un cardiologo clinico completo, che negli anni della spinta interventistica mantenne serenamente la bussola della gestione clinica globale del paziente. Dal punto di vista organizzativo si è rivelato un precursore. Sin dal suo arrivo pretese di strutturare e integrare il percorso del Dolore Toracico, iniziò un programma di incontri periodici con tutte le Cardiologie vicine, organizzati dalla Cardiologia Ospedaliera di turno, preconizzando così già nei primi anni 2000 una lungimirante forma di rete di percorsi organizzativi omogenei. Tramite il coinvolgimento del Centro Studi inserì nella nostra Cardiologia la figura del data-manager/study coordinator, riferimento per la conduzione di studi clinici la cui adesione e conduzione rappresentava uno dei suoi “chiodi”, stimolando tutto il gruppo specie i più giovani a partecipare attivamente nell’arruolamento e a impegnarsi nella ricerca clinica collaborativa. La sua presenza in reparto era una sicurezza. Le indicazioni o strategie proposte, con la premessa che “l’ha detto Pirelli…”, rassicuravano il cardiologo di turno, protetto da una presenza culturale e soprattutto umana, nonostante una inziale spigolosità e laconicità che, all’inizio poteva non essere compresa da chi si aspettava una comunicazione più “formale”. Apparentemente sbrigativo, richiedeva in fondo solo attesa: si sarebbe capito che si trattava soltanto di un suo modo di porsi, che celava una profonda sincerità e concretezza. Era che aveva già capito e andava subito al dunque. La pensione per lui non fu un traguardo, anzi. La diffusa sensazione che fuori dalle mura dell’Ospedale non si sarebbe sentito molto a suo agio, nei mesi successivi è apparsa sempre più evidente, con una vena di malinconia che nonostante i modi sobri e riservati, non riusciva a nascondere nelle telefonate e nelle nostre occasioni di incontro. I tentativi di coinvolgerlo nelle iniziative si rivelavano sempre più difficili. Erano, a posteriori, i primi segni della malattia che lo ha inesorabilmente sopraffatto, colpendolo alle spalle proprio nelle sue prerogative di intelligenza e sveltezza di pensiero, limitandolo e allontanandolo dalla vita di tutti i giorni, non solo professionale e associativa.
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