GYH è un paziente egiziano di 42 anni, disoccupato, che vive con un fratello vedovo con 4 bambini in alcuni locali temporaneamente offerti del Comune di residenza. Ricoverato per recidiva di uno Scompenso cardiaco biventricolare avanzato, post-multipla chirurgia valvolare, CRT-D, cirrosi epatica cronicizzata, ora svezzato dagli inotropi e da cicli di UFH. Intercorrente valutazione in centro di riferimento con esclusione da possibile sostituzione cardiaca per intuibili motivi clinici e sociali. Sempre lucido, ma minimamente autonomo con un persistente stato congestizio nonostante diuretici ad alte dosi. Oltre ad essere un paziente “end stage” (o meglio, in Stage D-middle/late), GYH è diventato da oltre 2 settimane anche un “bed blocker”, per una finora infruttuosa anche se sistematica ricerca di ricollocazione tra le teoriche alternative proposte (alcune escluse per intrinseca limitazione – RSA, ADI, Cure Palliative Domiciliari – altre per indisponibilità, non gradimento o limitazione socio-economica – Hospice, Subacuti, RSD, ecc – ). Il termine, introdotto nel Regno Unito indica quei pazienti che, una volta terminato il percorso di cura e pronti per le dimissioni, continuano ad occupare un posto letto per acuti, e non lasciano l’ospedale perché non viene attivato un percorso di continuità assistenziale. Gli economisti sanitari iniziarono ad usare il termine bed-blocking come esempio di fallimento dell’efficienza ospedaliera, adottando poi un termine più politicamente corretto, “delayed discharge”, considerando che non sono i pazienti a “bloccare” i posti letto in modo inappropriato, ma è la struttura a non predisporre il percorso successivo. Anche se viene da chiedersi quanto la “Struttura” sia, da sola, effettivamente in grado di provvedere ad una collocazione adeguata, garantendo un percorso clinico, socialmente ed eticamente appropriato. L’NHS inglese riporta che nel 2023 solo 1 paziente su 7 riusciva ad essere dimesso con facilità e oltre 14.000 pazienti restano in ospedale in media una settimana in più per difficoltà logistiche alla dimissione. È circa lo stesso tempo, indicato recentemente da FADOI, secondo cui circa un milione di anziani rimarrebbe in più in Ospedale rispetto alla data di dimissione prevista. Quello che è certo, è l’impatto sull’organizzazione sanitaria ospedaliera, indiscutibilmente negativo. Turn-over bloccato e tempi di attesa più lunghi, aumento dei costi, aumento di eventi avversi, ulteriore declino funzionale e disagi per personale, pazienti e familiari. Senza considerare che l’eventuale disponibilità individuata sia poi la più idonea, e non garantisca invece solo la temporanea risoluzione del problema tempo-dimissione. Se qualcosa appare non funzionare nella pratica della continuità dell’assistenza, alcune esperienze virtuose ci dicono che più l’Ospedale è in grado di comunicare in tempo reale con la rete territoriale, di condividere il ventaglio di servizi offerti e di prendere parte alla definizione del bisogno assistenziale sin da quando il paziente entra in Pronto Soccorso, più facilitate saranno le dimissioni. Sarebbe interessante e utile conoscere numeri, specifici modelli organizzativi aziendali o regionali messi in opera su un problema tanto delicato, complesso, e sempre più diffuso.
In copertina
L’Ospedale San Filippo Neri è stato costruito nel 1940 e poi ampliato negli anni sessanta ed è situato nella zona Nord di Roma, compresa tra la via Trionfale e la via Cassia. È attivo il modello organizzativo dipartimentale, all’interno del quale sono compresi i Reparti di degenza, Day Hospital, Day Surgery e Ambulatori in modo da poter offrire un percorso diagnosticoterapeutico completo, superando così il preesistente frazionamento delle attività per funzioni specialistiche. Dal 1º luglio 1994 l’ospedale è diventato “Ospedale di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione”, a seguito dei riconoscimenti ottenuti nelle attività ad elevata specializzazione presenti, quali: neurochirurgia e neurologia intensiva, cardiologia, cardiochirurgia e oncologia. Contemporaneamente l’ospedale si è costituito in azienda ospedaliera, ai sensi dell’art. 6 della Legge Regionale n.18 del 16 giugno 1994, acquisendo quindi personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale, ed ha assunto la denominazione di Azienda complesso ospedaliero San Filippo Neri Ospedale di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione. Attualmente è sede dei centri di riferimento regionale per: oncologia; cardiologia; chirurgia vascolare; neurochirurgia. A seguito della riorganizzazione aziendale sono stati avviati una serie di interventi di riprogettazione strutturale del complesso ospedaliero, con una completa rivisitazione della distribuzione interna dei padiglioni A e B, sia dal punto di vista edile che impiantistico. È stato quindi attivato il nuovo edificio C, per ospitare il Dipartimento di emergenza e accettazione (DEA) di II livello. Gli interventi di ristrutturazione edilizia ed impiantistica, tuttora in corso, prevedono anche il miglioramento alberghiero dei reparti. Sebbene oggetto di numerose ristrutturazioni e ampliamenti, l’edificio originario riporta resti di simboli architettonici di stampo fascista, tipici dell’epoca, come ad esempio i fasci littori presenti sulla facciata dell’ingresso principale.
(Tratto da Wikipedia)