La metamorfosi di pigiami e camici

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La metamorfosi di pigiami e camici

di Giovanni Gregorio

Introdurre un articolo di Giovanni Gregorio pubblicato postumo è da una parte un privilegio e dall’altra una
grande responsabilità.

L’articolo nasce da una relazione approntata da Giovanni per il Congresso Cardiologia Oggi e Domani 2021,
tenutosi a Paestum, poi non tenuta per la sua prematura scomparsa.

Nel testo che leggerete a seguire Giovanni Gregorio con il consueto acume e lucidità traccia un quadro della
evoluzione del mondo della sanità in cui noi viviamo, indicando ipotesi di sviluppo della figura del cardiologo, dal punto di vista olistico, per adeguarsi ai tempi.

Le necessità di pubblicazione ci hanno costretto a tagliare alcune parti dell’articolo, ma speriamo di aver
mantenuto il profondo significato culturale e morale delle riflessioni proposte, invitiamo a riflettere su alcuni
passi dell’articolo che, a nostro modo di vedere, assumono particolare risalto alla luce della consapevolezza
stessa della propria malattia che Giovanni aveva.

Buona lettura

Domenico Gabrielli e Furio Colivicchi


Pigiami e Camici

I cambiamenti nella Società in generale e nella Sanità in particolare, hanno profondamente modificato il modo di essere di pigiami (pazienti) e camici (medici e infermieri) (Gregorio,2008).

Il Paziente

L’evoluzione dello status di paziente è il risultato dei profondi mutamenti intercorsi nel panorama scientifico, culturale, tecnologico e sociale che hanno determinato il passaggio dal concetto di paziente a quello di persona e di cittadino al quale è riconosciuta la piena autonomia delle scelte e dei percorsi assistenziali. Il fascino esercitato dal cuore sulla mente dell’uomo ha avuto e continua ad avere importanti ripercussioni sul rapporto tra pazienti e medici. Il secondo dopoguerra ha rappresentato, socialmente, culturalmente e scientificamente una svolta epocale nello sviluppo. La transizione epidemiologica caratterizzata dal passaggio da un panorama dominato dalle malattie infettive ad uno caratterizzato dalla patologia degenerativa, cardiovascolare e neoplastica, si accompagna alla transizione sociale, da una realtà contadina ad una industriale, e ad una transizione culturale, da una medicina con conoscenze limitate ad una dominata dalla tecnologia e dalla esplosione delle conoscenze. La emigrazione, il contatto con altri paesi, l’alfabetizzazione della popolazione, la industrializzazione del paese danno il senso di questi mutamenti.

Paziente-Malattia

Il quadro paziente-malattia agli inizi degli anni ’50 è caratterizzato da una popolazione, a basso reddito, con scarsa protezione sanitaria e con malati spesso in giovane età, colpiti per lo più da malattie infettive e che raramente ricorrono al medico. Il mondo sanitario è fatto da pochi medici, con limitate conoscenze, con scarso spazio per le specializzazioni, in una realtà ospedaliera povera e con un patrimonio culturale dominato dalla concezione deterministica della malattia. L’evento morboso è sempre riconducibile ad una causa, generalmente infettiva identificabile e direttamente responsabile del danno. L’eliminazione dell’agente patogeno determina la vittoria sulla malattia. In tale contesto la malattia viene vissuta in modo fatalistico tra povertà della popolazione e lo scarso sviluppo dei servizi sanitari. È questo il quadro di una malattia vissuta in solitudine, tra ignoranza e superstizione, nella quale l’intervento medico è marginale. Tutto ciò accade mentre incomincia a delinearsi la grande stagione della affermazione della cardiologia. Sono questi gli anni che danno inizio ai grandi mutamenti che trasformeranno radicalmente il mondo e la società italiana. La rapidità dei mutamenti sociali, culturali e scientifici alimenta il dibattito e la ricerca di una organizzazione dei servizi sanitari in grado di coniugare efficacia ed efficienza degli interventi. Le variazioni del significato del termine salute hanno accompagnato l’uomo attraverso i secoli acquistando valenze diverse in rapporto allo sviluppo, all’avanzare delle conoscenze, alla disponibilità di nuove e complesse tecnologie, al tempo ed al luogo considerato. Si è andato così delineando ed affermandosi il concetto di salute come il risultato di numerosi fattori, genetici, individuali, ambientali e sociali, che interagendo in maniera diversa tra di loro determinano lo stato di salute dell’individuo. Parimenti si è fatta strada la convinzione della differenza tra l’equità dell’accesso ai servizi sanitari e l’equità della salute, inglobando in tale definizione – come nota Amartya K Sen – non solo le cure ma anche fattori come l’accesso ad una buona alimentazione, l’epidemiologia sociale, le politiche sanitarie la sicurezza sul lavoro (Sen AK, 1999). Di pari passo va la presa di coscienza della importanza che la diffusione della patologia cardiovascolare ha nella società moderna. Il nuovo quadro demografico ed epidemiologico delle società occidentali, nelle quali l’invecchiamento della popolazione, i progressi della medicina, la transizione epidemiologica verso le patologie degenerative, pone in primo piano le esigenze di nuovi soggetti, più anziani e più bisognevoli di attenzione da parte dei Sistemi Sanitari, soggetti che sopravvissuti alle malattie rappresentano e rappresenteranno una parte cospicua della società.
L’affermazione di Paul White che “le malattie di cuore prima degli ottanta anni sono la conseguenza di un nostro errore, non il volere di Dio o della natura” e la precisazione di Burchel secondo cui “da un punto di vista strettamente biologico il limite di età suddetto (ottantenni) è troppo basso” andrebbe riscritta nel senso di porsi la risposta all’interrogativo di come, quando e perché le malattie di cuore influiscono sulla durata della vita. (White P., 1973; Burchel HB, 1991). Come argutamente ha scritto David T Kelly “Per la maggior parte di questo secolo il primo obiettivo della medicina è stato la riduzione della mortalità. Forse, man mano che ci avviciniamo al prossimo millennio Dovremo concentrarci sulla prevenzione della invalidità e sul miglioramento della qualità di vita della nostra popolazione, sempre più anziana.” (Kelly D T, 1997).
La malattia, come parte integrante dell’esperienza umana, si esprime con svariati linguaggi, miti, metafore, legende dando luogo ad atteggiamenti, comportamenti e pratiche la cui comprensione è possibile solo immergendosi nel contesto culturale e sociale del soggetto.
“Chiedersi se il malato è una persona, o un oggetto, o una cosa, o un conglomerato biochimico, non ha molto senso. Il malato, lo sanno tutti, è un po’ tutte queste cose… Il malato è una persona in virtù delle sue relazioni con il mondo e con se stesso.” (Cavicchi, 2004).
Ciò che lo caratterizza è il suo rapporto con la malattia e con il mondo esterno. “La malattia è il lato notturno della vita. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e nel regno dello star male. Preferiremmo tutti servirci del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino del mondo” (Sontag 1977). In Sociologia della salute è consolidata la distinzione tra disease, illnes e sickness dove con disease si identifica la condizione bio-fisiopatologica registrata dalla medicina, con illnes si identifica la percezione soggettiva della malattia, con sickness, si definisce la modalità con cui la società rappresenta la malattia. Così ad esempio si può far riferimento alla persona che si sente male (illnes), al medico che attesta la malattia (disease) e alla società che gli riconosce lo status di malato (sick). In realtà la situazione è più complessa in quanto le tre dimensioni della malattia possono combinarsi variamente tra di loro, dando luogo alle seguenti 6 varianti:

  1. Disease e Sickness senza Illness: tipico esempio di malattie/condizioni riconosciute dalla medicina e dalla società ma non percepite come tali dall’individuo (es. elevati livelli di colesterolo etc.).
  2. Disease e Illness senza Sickness: si tratta di condizioni riconosciute dalla medicina e dall’individuo ma non dalla società (es. mal di denti, alcoolismo).
  3. Illness e Sickness senza Disease: si tratta di condizioni di sofferenza riconosciute dall’individuo e dalla società ma non dalla medicina (cefalee essenziali, disturbi funzionali).
  4. Disease senza Illness e Sickness: alterazioni che non sono realizzate dall’individuo e dalla Società come malattie.
  5. Illness senza Disease e Sickness: il malessere sentito dall’individuo non è riconosciuto scientificamente né socialmente (melanconia, ansia etc).
  6. Sickness senza illness e Disease: condizioni socialmente ritenute anomale ma non percepite dall’individuo e dalla Medicina come malattia (es: l’omosessualità in taluni paesi) (Hoffman B, 2002; Cipolla C, Maturo A, 2005).

La concezione di malattia è sostanzialmente riconducibile a due modelli: quello biomedico e quello bio-psico-sociale. La concezione biomedica riduce la malattia a termini meramente fisici, tralasciando gli aspetti emotivi, comportamentali e comunicativi. In tale ottica per qualsiasi evento morboso è identificabile una causa biologica, da combattere. In tale modello il medico è portatore della conoscenza ed il paziente è depositario della malattia, delle informazioni ad essa connesse, ed è oggetto passivo delle decisioni del medico con conseguente disumanizzazione della relazione medico-paziente. In questa prospettiva per qualsiasi malattia esiste una causa biologica identificabile in modo oggettivo ed il metodo clinico è “centrato sul medico”. Il modello biomedico comporta una visione frammentaria del paziente frutto della iperspecializzazione e della frammentazione del sapere e del fare medico, con una tendenza alla ipermedicalizzazione e alla ipertecnicismo, basato sulla convinzione che per qualsiasi evento morboso esiste un farmaco, una macchina, una procedura in grado di curarlo. Nel modello bio-psico-sociale prevale una visione globale della malattia, dove oltre che fattori biologici giocano un ruolo importante fattori comportamentali e relazionali. A fronte della crescente medicalizzazione della società, l’approccio al paziente con malattia cardiovascolare avviene oggi sul duplice fronte della acuzie e della cronicità, della diffidenza e della fragilità del paziente, dell’esasperato tecnicismo e della esigenza di un nuovo umanesimo, dalla riscoperta della nuova centralità del paziente, non solo nel rapporto con il medico ma anche e soprattutto nel rapporto con la organizzazione sanitaria. (Liberati E. G, Moja,2014; Stewart M et al., 2000; Luxford K et al, 2011). Il paziente infatti ha bisogno:

  • di non sentirsi abbandonato;
  • di sentire che la organizzazione sanitaria lo pone al centro delle sue attenzioni;
  • di avere capacità di comunicazione con il personale sanitario ed i familiari;
  • di sentirsi sicuro;
  • di sentirsi parte integrante, motivata ed attiva di un progetto assistenziale;
  • di essere trattato con rispetto;
  • di conservare la vicinanza emotiva con il curante e i familiari.

I familiari hanno bisogno:

  • di avere una corretta informazione sullo stato del paziente;
  • di sentirsi parte integrante ed attiva di un progetto assistenziale;
  • di comunicare ed affrontare l’esperienza di malattia del familiare che stanno vivendo;
  • di sentire la vicinanza con il curante e la sua equipe.

Il Medico in Cardiologia

L’evoluzione del significato e dei contenuti della Dirigenza Medica è la conseguenza dei profondi mutamenti che hanno investito l’organizzazione e gli assetti del Sistema Sanitario Nazionale. Ciò è il risultato, da un lato, delle modifiche della normativa che regola la Dirigenza della Pubblica Amministrazione e, dall’altro, della introduzione di disposizioni particolari riguardanti la Dirigenza Medica. La Cardiologia ha subìto gli effetti dell’enorme sviluppo delle conoscenze e della rivoluzione tecnologica che ne ha profondamente modificato il modo di essere. Parimenti il modo di essere o più semplicemente l’essere Cardiologo all’interno della organizzazione sanitaria assume contenuti assai diversi a seconda della epoca considerata. Le problematiche relative allo sviluppo dei nuovi assetti della professionalità del dirigente medico risentono in maniera notevole di alcuni provvedimenti normativi, alcuni dei quali succedutisi nel tempo ed altri attualmente all’esame del parlamento. Da sempre il Cardiologo pubblico è stato collocato in diversi contenitori: la specialistica ambulatoriale interna, i convenzionati e la dipendenza. Il Regio decreto settembre 1938, n. 1631 e il DPR 128/1969 ordinava lo status del Cardiologo pubblico nei classici livelli di assistente, aiuto e primario, stabilendone in maniera rigida le funzioni. Il DPR 761/1979 sostituiva ad assistente, aiuto e primario le posizioni funzionali iniziale, intermedia e apicale. Il decreto legislativo 502/1992 colloca la dirigenza in due livelli. Il decreto legislativo 229/1999 pone la dirigenza medica in unico livello dirigenziale, diversificando per la tipologia dell’incarico, che può essere di struttura, professionale, verifica ispezione o di studio. Ciò è di fatto la conseguenza del dibattito sviluppatosi negli anni sulle competenze professionali e su quelle manageriali richieste ai professionisti. Tra questi particolare riguardo riveste il dibattito ex art 22 del patto della Salute riguardante la riforma del percorso formativo della classe medica. L’orientamento prevalente prevede la “specializzazione in corsia” per i laureati in medicina con contratto pre-dirigenziale. Appare chiaro che il Cardiologo vede radicalmente mutato il suo modo di essere all’interno di una organizzazione sanitaria profondamente diversa da quella attuale. Uno dei pericoli maggiori è che si vada verso una condizione che ricorda quella evocata da Aldous Huxley nel libro “Il Nuovo Mondo” nel quale la popolazione è divisa in maniera predeterminata in individui alfa (comando), beta (management), gamma, delta ed epsilon (manovalanza) (Huxley A, 1933). La sfida è quella di costruire un sistema che salvaguardi autonomia, competenze e professionalità secondo quanto indicato nella Carta della Professionalità Medica per come di seguito indicato (Fondazione ABIM, Fondazione ACP-ASIM, Federazione Europea di Medicina Interna; 2002):

  • Il principio della centralità del benessere dei pazienti;
  • Il principio dell’autonomia dei pazienti;
  • Il principio della giustizia sociale;
  • Impegno alla competenza professionale;
  • Impegno all’onestà verso i pazienti;
  • Impegno alla riservatezza riguardo al paziente;
  • Impegno a mantenere un rapporto corretto con i pazienti;
  • Impegno a migliorare la qualità delle cure;
  • Impegno a migliorare l’accesso alle cure;
  • Impegno ad un’equa distribuzione delle risorse limitate;
  • Impegno alla conoscenza scientifica:
  • Impegno a conservare la fiducia, affrontando i conflitti d’interesse;
  • Impegno nei confronti delle responsabilità professionali.

Le problematiche che caratterizzeranno il futuro del cardiologo ospedaliero sono:

  • Modifica dei meccanismi di accesso al SSN con superamento dell’attuale farraginoso meccanismo concorsuale;
  • Modifica dello sviluppo di carriera risolvendo il dilemma tra professionalità e managerialità, ridefinendo il sistema degli incarichi e delle funzioni;
  • Modifica dei contenitori organizzativi;
  • Modifica dei criteri di programmazione nazionale;

Più in generale il medico del futuro, come sottolineato da FNOMCeO (3a Conferenza Nazionale della Professione Medica e Odontoitarica; 2016) dovrà essere:

  1. proattivo nell’affrontare l’innovazione, partendo dalle proprie radici;
  2. detentore di competenze professionali che continuamente sviluppa e mantiene aggiornate;
  3. detentore di un metodo scientifico e attento alla produzione di nuove conoscenze;
  4. attento alla dimensione etica quotidiana della professione, partendo dall’adesione alle pratiche raccomandate e sostenute da evidenze scientifiche;
  5. capace di esercitare una leadership professionale rispetto a colleghi, professionisti, pazienti e persone assistite;
  6. cosciente del proprio ruolo sociale e politico: il fatto di poter intervenire sulla salute e sulla vita conferisce un “potere” di “tutela e protezione” (advocacy);
  7. cosciente di essere un attore economico che determina e gestisce risorse economiche ingenti;
  8. capace di ascoltare e comunicare con la persona nel bisogno in un’unica e irripetibile relazione;
  9. capace di tenere conto della dialettica tra risposta alla singola persona e quella alla comunità (Public Health);
  10. attento a perseguire il miglioramento continuo proprio e dell’organizzazione in cui è inserito, oltreché a dimostrarlo.

“Oggi l’attualità chiede al medico tre cose:

  • di riorganizzare le prassi per ridurre i costi della regressività del sistema sanitario che dipendono da lui, quindi di ridurre diseconomie e antieconomie che dipendono dai suoi comportamenti e dai suoi atti;
  • di imparare ad avere relazioni con i malati, i cittadini, la società ma soprattutto di imparare a servirsene per conoscere di più, per scegliere meglio, per fare una clinica più avanzata nella quale vale tanto la co-terapeuticità che la corresponsabilità;
  • di aggiornare i suoi modi di conoscere, di fare e di ragionare per governare la complessità in tutte le sue forme e in tutti i suoi modi a qualsiasi livello, per imparare a ragionare in modo più ricco, per essere pragmatico nelle situazioni e nelle contingenze.” (Cavicchi, 2015).

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