Intervista con una leggenda per la next generation di donne leader in cardiologia

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Intervista con una leggenda per la next generation di donne leader in cardiologia

Intervista con la Professoressa Roxana Mehran

Breve biografia
La Professoressa Roxana Mehran, MD, FACC, FACP, FCCP, FESC, FAHA, MSCAI è una ricercatrice clinica riconosciuta a livello internazionale esperta nel campo della cardiologia interventistica. Ha costruito un centro di ricerca universitario dedicato allo sviluppo di studi clinici randomizzati e pubblicazioni di alto impatto. È stata princial investigator di numerosi studi clinici. Partecipa regolarmente allo sviluppo di linee guida ed è autrice di oltre mille articoli scientifici peer-reviewed. È attualmente componente del consiglio di amministrazione dell’American College of Cardiology. È fondatrice ed è stata Capo dell’Ufficio Scientifico del Cardiovascular Research Foundation. Negli ultimi 4 anni è stata inclusa da Clarivate Analytics tra i “Most Cited Researchers – Top 1%” e come “The World’s Most Influential Scientific Minds” (Thomson Reuters). Attualmente dirige la commissione Women’s Cardiovascular Disease di Lancet ed è Direttore del Women Heart and Vascular Center presso il Mount Sinai Heart. Nel 2019 ha fondato Women as One, un’organizzazione dedicata a promuovere le opportunità per le donne in medicina. È assegnataria di numerosi premi tra cui nel 2016 il premio Bernadine Healy Leadership in CV disease dell’ACC, nel 2018 il premio Nanette Wenger per Women’s Heart per l’eccellenza nella ricerca e nella formazione, la medaglia d’onore 2019 Ellis Island. Numerosi i premi ricevuti nel 2022 tra cui il premio Women in Cardiology Mentoring dell’American Heart Association.

Innanzitutto, ci piacerebbe sapere qualcosa di lei Professoressa Mehran. Sebbene i nostri lettori la conoscano bene, sono certamente interessati a sapere come mai si è occupata di medicina e perché ha scelto la cardiologia interventistica? Se non avesse fatto medicina cosa pensa che farebbe oggi?
Le scienze mi hanno sempre interessato, così come la loro applicazione al funzionamento del corpo umano e la possibilità di mettere queste conoscenze a disposizione di tutti quanti ne hanno bisogno. Fare medicina è stato, quindi, per me il risultato di una combinazione di una serie di fattori che mi appassionavano: imparare la biologia e la chimica quando ero più giovane e poi imparare la fisiologia umana e applicare queste conoscenze con capacità che non solo coinvolgono il mio cervello ma anche le mie mani, come l’esecuzione di procedure interventistiche. Mettere insieme tutto questo è stato enormemente gratificante. Questo a maggior ragione come donna, poiché noi siamo naturalmente portate a prenderci cura degli altri, è parte del nostro DNA. Negli ultimi anni numerosi studi clinici hanno evidenziato che le donne sono straordinari medici e quando si occupano dei pazienti questi vivono più a lungo e stanno meglio. Per me, è stato un fantastico percorso e sono molto grata per le opportunità che mi sono state offerte, ma riconosco anche la mia abilità nel vedere queste opportunità. Perché penso che tutti abbiamo delle opportunità nella vita, ma spetta poi a ciascuno di noi di vedere e cogliere queste opportunità e metterle a frutto con la propria passione, lo zelo, il lavoro duro.

Quale suggerimento si sente di dare ai giovani cardiologi? Quale consiglio darebbe per realizzare una carriera soddisfacente? Chi ha avuto un impatto maggiore nella sua carriera?
Innanzitutto, bisogna avere passione per quello che si fa. Il successo deriva dall’amore che ci metti nel fare le cose. Così il lavoro non sembra più lavoro, ma qualcosa che fai per te stesso e che ti rende felice. È, quindi, importante seguire la propria passione. Nessuno ti regala niente, a tutti i livelli. Si tratta di lavoro e certamente ci si sente meglio quando ricevi qualcosa dopo che hai fatto un lavoro, piuttosto che quando si riceve gratuitamente. È vero che alcune opportunità arrivano “gratuitamente” ma poi bisogna lavorarci, e il lavoro non è così duro quando è guidato dalla passione. Io mi sono dedicata alla cardiologia interventistica come sottospecialità perché amavo essere in un laboratorio di emodinamica, vedere i risultati, occuparmi di pazienti in condizioni molto critiche e con le mie capacità fare superare queste fasi critiche, portarli in condizioni più stabili fino a farli uscire dall’ospedale, farli tornare a casa, per poi rivederli dopo anni con risultati di successo. Non saprei cosa c’è di più emozionante di tutto questo. Tutto questo è la mia forza motrice. D’altra parte, nel corso della carriera si incontrano persone gentili, ma anche persone scortesi che possono farti deragliare a fare riconsiderare la propria passione. In questi casi suggerisco sempre di ascoltare il proprio cuore, la propria passione e non lasciare che gli ostacoli e le sfide che vengono poste davanti ti allontanino dall’obiettivo. Anche il mio percorso è stato pieno di difficoltà, ma posso testimoniare che negli ultimi 20 anni con tanto lavoro e sforzo le cose sono cambiate. Anche nelle sottospecialità più difficili come la cardiologia interventistica, c’è una maggiore apertura verso le donne, questo perché siamo brave in quello che facciamo, quando ci danno l’opportunità di fare. Ritengo, dunque, che dobbiamo essere ottimiste. Non dobbiamo più tollerare nessuna forma di molestia, di maltrattamento. D’altra parte, solo perché siamo donne, questo non vuol dire che dobbiamo combattere continuamente. Credo che il futuro sia molto luminoso, che le prossime generazioni, sia gli uomini che le donne, potranno avere un giusto equilibrio nella loro vita, che deve includere tempo per la famiglia, i propri cari, gli amici, la propria salute sia fisica che mentale, tutti aspetti che consentono di ricaricare le proprie batterie e essere più efficienti in quello che si vuole fare.

Dei tanti traguardi raggiunti di quale è più orgogliosa?
Ho formato e fatto da mentore a centinaia di colleghi, davvero centinaia, i quali ora guidano programmi e fanno crescere altri colleghi. Ora è una grande soddisfazione vedere cosa possono fare loro, perché so che loro hanno imparato grazie alle esperienze fatte con me. Non c’è niente di più gratificante di vedere che un mio collega ora è in una posizione più alta della mia grazie all’opportunità di aver lavorato con me nel passato, opportunità che lo ha poi aiutato nella carriera. La ricompensa per me è vederli crescere, fare sempre meglio, e rendere la cardiologia una specialità della medicina sempre più “sana”, gratificante, ed includente. Sappiamo che la prima causa di morte nel mondo sono le malattie cardiovascolari, per cui gli uomini e le donne che si occupano della salute cardiovascolare sono estremamente importanti per la salute dell’umanità in tutto il globo. Dobbiamo, dunque, continuare a fare da mentore alla prossima generazione e rendere i giovani colleghi entusiasti di questa specialità e spronarli a pensare, creare, trovare nuove idee per ridurre il peso delle malattie cardiovascolari. È così gratificante vedere che il cerchio si allarga e sempre più persone sono incluse e crescono. È come vedere crescere una famiglia.

Professoressa lei è fonte di inspirazione non solo per tante giovani donne cardiologhe ma anche per cardiologi più anziani. Quale è la sua fonte di inspirazione per continuare a imparare, insegnare, e supportare il coinvolgimento delle donne in ruoli di leadership?
Non cerco di essere io una fonte d’inspirazione, però spero che tutti siano inspirati a fare meglio. In effetti, è importante essere apprezzati, ma quello che è più importante è fare quello che si “predica”, rendere nella nostra comunità tutti più vicini, meno competitivi, più collaborativi. Direi che abbiamo fatto dei progressi, ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Abbiamo bisogno di un esercito di persone e per costruire un esercito abbiamo bisogno di continuare a fare da mentori e fare crescere le nostre squadre. L’ambiente di lavoro deve ancora migliorare per le donne. Il grande “gap” deve essere colmato. Le diseguaglianze nella leadership devono essere abolite. Noi dobbiamo ricevere il riconoscimento per il lavoro che facciamo, non solo in termini economici ma anche nella posizione lavorativa che meritiamo. Questo non accade ancora. Ancora vediamo che i programmi di più alto livello sono molto più popolati di uomini e maggiormente uomini bianchi. Dobbiamo, dunque, riesaminare come scegliamo le leadership perché, se in un consiglio direttivo ci sono persone che provengo da realtà diverse, si ascoltano voci diverse, prospettive differenti, e si fanno cose migliori. In tal modo si possono trovare soluzioni che vanno bene per tutti e non solo per alcuni.

Quale è il modo migliore per essere un mentore? È sufficiente condividere conoscenze ed essere un esempio o ci vuole qualcosa di più per essere un bravo mentore?
Se qualcuno mi chiede chi è il mio mentore, devo dire che ne ho più di cento. Alcuni sono colleghi che io stesso ho formato. Alcuni miei allievi sono miei mentori, perché io imparo da loro. Quindi la mentorship è una relazione bilaterale tra te e il tuo allievo. Deve essere una relazione sana. Non può essere che tu fai tutto o che tu prendi tutto dai tuoi allievi e non dai in cambio. È un’abilità che deve essere insegnata. Tutto quello di cui abbiamo parlato non può realizzarsi senza una buona mentorship. Con Women as One abbiamo sviluppato un programma di abbinamento mentore/ allievo provenienti da diverse parti del mondo e abbiamo visto quanto imparano ciascuno dall’altro. Ad esempio, se prendi una donna del Nord America e l’associ con una del Mozambico, certamente entrambe avranno tanto da imparare, l’una dall’altra. Quando il mentore si rende conto di quanto sta ricevendo dal suo allievo dovrebbe continuare a dare di più. Penso che la mentorship è una vera arte che deve essere insegnata. Tutti abbiamo bisogno di una formazione per meglio comprendere come possiamo fare le cose meglio.

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