Gettone 37# Racconti col cuore

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Gettone 37# Racconti col cuore

NICCOLÒ LEPORI
Niccolò Lepori è nato a Castelnuovo di Garfagnana nel 1993, ma è cresciuto a Livorno. Ha frequentato il corso diLaurea Triennale della Scuola Holden di Torino e il Master in scrittura creativa alla scuola Palomar di Rovigo. È autore di racconti. Sta scrivendo il suo primo romanzo.

Il pro è che sei vivo, il contro è tutto il resto.
Queste sono le parole di Carlo riguardo l’operazione al cuore che ha dovuto affrontare cinque anni fa. Ciò che mi ha colpito maggiormente del suo racconto è stata la divergenza tra il periodo pre-operazione: Non esiste un futuro, solo tanto presente, e il periodo post-operazione: Entri in uno stato di iper vigilanza in cui persino un mal di stomaco è percepito come un: Ahiò, muoio!
Mi piacerebbe indagare la sua paura di non farcela nonostante abbia effettivamente superato l’operazione. Scriverei in prima persona, dal punto di vista del paziente, creando un dialogo col medico e mostrando così come sia cambiata la sua percezione del mondo e del proprio corpo: Da quando mi hanno asportato il liquido sento battere di più il cuore rispetto a una persona normale.

Ciò che viene dopo
Dottore!
Ora lei dirà: “è normale”. Ma da quando mi ha operato sento ogni singolo battito. Metto la mano sul petto, lo ascolto pompare, e l’impressione è quasi di poterlo toccare, il mio cuore. È piacevole, ma fa anche paura. Come l’altro giorno, che sono andato al supermercato vicino casa. Era la prima volta che ci tornavo da quando sono stato dimesso e non mi ero mai reso conto di quanto fosse grande. Confesso che da subito avevo una strana sensazione, ma ho fatto finta di niente e dopo essere rimasto impalato davanti la porta a vetri per almeno cinque minuti, sono entrato. Ho preso una cesta piccola e nel frattempo ho salutato il ragazzone della sicurezza. Non ha risposto, non lo fa mai, secondo me neanche la madre saluta, ma chi se ne importa, io insisto.

Supero il tornello, pensando a come evitare la corsia dei dolciumi, per non cedere alla tentazione. Prima che me lo chieda, mi dichiaro subito colpevole: l’ingresso dà sul reparto panetteria e alla focaccia non ho rinunciato. In generale però ascolto i suoi suggerimenti e sto attento a ciò che mangio. Poco condimento, mezzo bicchiere di vino, e il caffè amaro. Comunque, avevo già i sensi di colpa per la storia della focaccia, e per compensare mi sono messo a cercare dei cracker integrali. Nel mentre, ho incontrato una ragazza. Tutta dritta, con le mani dietro la schiena e il sorriso impostato. Una venditrice. Indossava una camicetta bianca di cotone a maniche arrotolate, e una targhetta con su scritto Anna. Davanti a sé aveva un piccolo banco coperto da una tovaglia di carta blu scura; sopra c’erano sei piattini plastificati con diverse tipologie di formaggi Busti tagliati a cubetti, infilzati con gli stuzzicadenti. Ha preso un piattino e me lo ha puntato sotto al naso. Mi ha detto: “ne prenda uno!” Di solito fatico a dire di no e mi sono stupito della mia fermezza nel rinunciare. Le avevo giusto detto che ascolto i suoi suggerimenti.

Poi, è successa una cosa ancora più stupefacente. Appena la ragazza ha perso interesse per me, le ho raccontato tutto. Della rarità della mia sindrome e dell’operazione. È assurdo. La ragazza stava lavorando, l’espressione concentrata, come il suo modo di scuotere la testa per farmi capire di stare ascoltando… Erano di circostanza, semplice educazione. Lo sapevo, ma non mi interessava e sono andato avanti. Avevo una storia e fino a quel momento non mi ero reso conto di quanto avessi bisogno di buttarla fuori. Addirittura mi sono abbassato il collo della maglietta per farle vedere il cerotto sul petto. Parlavo di fretta, ero un vortice di parole. Le ho detto cose tipo: “Lo vedi? È un cerotto enorme. Eh Anna, mai visto un cerotto così. Dovresti vedere la cicatrice.” Da come a strabuzzato gli occhi deve avermi preso per matto. Alla fine si è scusata per avermi offerto del colesterolo, abbiamo riso e ci siamo fatti ciao con la mano.

A lei, Dottore, sembrerà una sciocchezza, ma prima non mi sarei mai agitato in quel modo, cercando tutte quelle attenzioni, mostrando il petto a una ragazza tanto più giovane di me, poi… Per carità! Ho scoperto di avere ancora paura di morire, forse più di prima. Nel periodo pre-operazione non esiste un futuro, solo tanto presente. Ti permetti di non fare calcoli perché la priorità è una sola: tutti i tuoi pensieri si concentrano sul giorno dell’intervento. Perciò, quando ti risvegli ed è andato tutto bene, il pro è che sei vivo, il contro è tutto il resto. Devi spicciarti a reinserirti nel quotidiano e allo stesso tempo devi adattarti a una nuova condizione. Basta niente, e ti trovi travolto da limiti che prima non avevi. Fisici e non solo.

Per esempio: alcuni miei amici la domenica prendono la bicicletta e pedalano fino solo Dio sa dove. Sono dieci anni che mi invitano e sa quante volte sono andato? Zero. Ora darei tutto per farmi invitare. Conoscere esattamente i limiti del mio cuore è frustrante. Aver perso delle occasioni mi brucia, anche se è sciocco. Non sarei mai andato in ogni caso. Come le dicevo, capita di aver paura. Sentirmi ascoltato da quella ragazza, Anna, mi ha emozionato così tanto che a un certo punto ho sentito una fitta allo stomaco. La prima cosa che ho pensato è stata: “Ora muoio!”

Per fortuna sono riuscito a controllare il panico, ma c’è voluto del tempo per calmarmi. Per un po’ ho girato in tondo senza sapere bene cosa fare. Mi sono accarezzato i palmi, erano sudati, e sentivo freddo sulla fronte e dietro la nuca. Ho poggiato il pollice sul polso e ho contato, ero di gran lunga sopra i cento battiti al minuto. Ancora oggi non saprei dirle quante persone avessi intorno, se fosse affollato. Un uomo mi ha strappato al torpore chiedendomi in malo modo di passare, stavo occupando il centro della corsia. “Quanta fretta” è stata la mia risposta ma sarò sincero, mi sono vergognato della mia vulnerabilità. Non ero ancora pronto per uscire da solo in un luogo pubblico.

Abbandonato lì la cesta, mi sono diretto verso l’uscita. Nel frattempo i miei sensi si sono come acuiti: il cigolio ferroso dei carrelli mi riverberava nella testa, come i passi frettolosi di qualche scaffalista, il chiacchiericcio indistinto dei clienti; sono riuscito persino a sentire il ronzio delle luci al neon sul soffitto. Sono secoli che mi servo in quel supermercato e non avevo mai fatto caso a queste cose, poi ho capito. La radio era spenta. Esiste un luogo più triste di un supermercato senza musica? Io dico di no. Insomma, ero vicino a uno scaffale con sopra le passate di pomodoro. Mi sono fermato e ne ho preso uno a caso, giusto per vedere le proprietà nutritive. Non volevo comprarlo davvero, tra l’altro mi fa acidità. Mi girava la testa e mi serviva un oggetto su cui concentrarmi. Stava funzionando, sentivo decelerare i battiti.

Poi il disastro. Ero lì lì per rimettere la bottiglia sullo scaffale quando una ragazzina correndo mi ha sbattuto contro. La bottiglia mi è scivolata dalle mani schiantandosi a terra. Vetro e pomodoro ovunque: non le dico in che stato erano le mie scarpe e i miei pantaloni. La ragazzina, quella piccola stronza, scusi, è scappata… mi ha guardato così… un po’ smarrita, e buttato un occhio a ciò che aveva combinato è corsa via. Ho provato a gridarle di fermarsi, ma ero a corto di fiato. Ora, non so se a lei piaccia fare la spesa o è di quelli che se la fa portare a casa, ma mi sarebbe piaciuto che lei fosse stato lì con me per vederli. Color nocciola, azzurri, verdi, non importa. Gli occhi di tutti i clienti erano su di me. Li sentivo poggiati addosso. Qualcuno guardava di sottecchi, altri fissavano senza pudore. Temevo potessero ficcarsi qui dentro, udire anche loro i miei battiti e pensare che fossi uno di quei poveretti con un piede nella fossa. Era come se si fossero accorti che ero diverso o comunque questa è stata la mia impressione. A ripensarci, guardi qui se le mento: mi viene la pelle d’oca. Ero nel panico. Le gambe avevano smesso di rispondere alla mia volontà e intanto il desiderio di andarmene cresceva. Allora ho poggiato la mano sul petto e per un po’ sono rimasto ad ascoltarlo battere: tutum tutum tutum.

E i battiti rimbombavano ovunque, non solo dentro il petto. Nella testa, sulle pareti, sopra il soffitto, sotto ai piedi…Gliel’ho detto, sento di più da dopo l’operazione. Penso di sentire tutto un po’ di più.
A ripensarci, che imbarazzo! Alla fine, grazie a Dio, è andato tutto bene. Anna mi ha visto e si è avvicinata: dopo avermi preso sottobraccio mi ha guidato verso l’uscita, mentre gli altri clienti… non sto neanche a dirglielo.
Era tutto un tutum tutum tutum: più loro mi guardavano, più io tutum tutum tutum.♥

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